La febbre di Gennaro, la recensione: La lezione di Gennaro

La recensione de La febbre di Gennaro il documentario che ripercorre la storia di Gennaro Giudetti, il giovane volontario che da dieci anni non smette di correre per aiutare gli ultimi.

La Febbre Di Gennaro
La febbre di Gennaro: una scena

Ad appena vent'anni Gennaro Giudetti decide di lasciare Taranto e partire per il servizio civile in Albania, con i Caschi Bianchi: "Non accettavo le ingiustizie, volevo dare il mio contributo e sono partito, poi da lì non mi sono più fermato". Sì, perché poi sono arrivati la Palestina, il Libano, la Colombia, l'esperienza sulla Sea Watch nel 2017 e il Congo. Mentre scriviamo la recensione di La febbre di Gennaro, il documentario (dal 2 aprile su Sky Primafila, Chili, Rakuten Tv, Apple Tv, Google Play, The Film Club) che ripercorre la storia del giovanissimo volontario italiano fino a Lodi in piena emergenza Covid, arrivano le notizie sull'ennesimo naufragio nel Mediterraneo: questa volta si tratterebbe di 85 migranti a bordo di un gommone al largo della Libia. A lanciare l'allarme è l'ong Alarm Phone.
La storia di Gennaro e il film che la racconta sono legati indissolubilmente a queste vicende, quelle vicende degli ultimi in ogni angolo del mondo, destinati a scontare il fatto di essere nati nel posto sbagliato. Una narrazione semplice, lineare che si sviluppa in poco più di un'ora guidata dall'urgenza del racconto più che da qualsiasi altra velleità artistica.

Una storia universale

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La febbre di Gennaro: un momento del film

Prima che personale quella de La febbre di Gennaro è una storia universale sul valore della solidarietà. Il bisogno quasi febbrile e irrequieto di rendersi utile e correre a dare una mano nelle zone più rischio del pianeta, è la ragione alla base dell'incessante peregrinare del protagonista che insegna a riscoprire a ritrovare l'umanità perduta. Figlio di artigiani a 19 anni abbandona i comfort di una vita tranquilla e da Taranto parte come Casco Bianco vero l'Albania. Sarà di un viaggio che continua ancora oggi: la giovane età non gli ha impedito di battersi senza sosta, prima come mediatore culturale poi come operatore umanitario, per la difesa dei diritti umani. Oggi Gennaro ha 31 anni, ma i suoi occhi hanno già visto tanto: dal Libano nel 2016 per organizzare insieme alla Comunità di Sant'Egidio un corridoio umanitario per siriani, ai territori palestinesi nei quali zaino in spalla e tanto coraggio si dà da fare per accompagnare i bambini a scuola, dalla comunità di pace di San José de Apartado in Colombia dove un villaggio di contadini resiste caparbio agli assalti dei paramilitari alla crisi per l'epidemia di Ebola nella Repubblica Democratica del Congo.

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La febbre di Gennaro: una sequenza del film

Ma c'è una data che probabilmente ha fatto da spartiacque, segnandolo come poche altre esperienze prima di allora: il 6 novembre del 2017 si imbarca su una nave di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, la Sea Watch, e finisce per assistere al naufragio che costò la vita a oltre 50 persone. Sono ore terribili in cui vede annegare uomini, donne e bambini e spesso dovrà decidere chi salvare guardando quelle mani che riemergono convulse dalle acque o si lasciano andare per sempre sopraffatte dalla fatica. Da quel momento media e istituzioni iniziano ad ascoltarlo come testimone oculare di una delle più grandi tragedie del muovo millennio.

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Una lezione di umanità: gli ultimi come protagonisti

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La febbre di Gennaro: un'immagine

Il documentario ne segue il cammino attraverso un turbinio di filmati e immagini tenuti insieme da un comune denominatore: la vocazione a combattere le ingiustizie. La vita di Gennaro è cadenzata dai suoi spostamenti, dalla prossima missione: sale e scende da un aereo, appena può torna nella sua Taranto baciata dai "due mari" e piegata dai fumi dell'Ilva, ad aspettarlo ci sono mamma, papà, i nonni e gli amici di sempre, ma ha giusto il tempo di preparare un altro zaino e lasciarsi nuovamente alle spalle quella bolla di normalità. Il racconto, che lo segue durante il viaggio che nel 2019 lo porta a Bunyakiri in Congo a bordo di un mezzo di Medici Senza Frontiere, è inframmezzato da alcuni video delle missioni in Palestina, Libano, Colombia e Mediterraneo, una galleria di flashback che si alternano agli attimi di quotidianità in famiglia e alle interviste dei genitori.
Il merito della regia firmata da Daniele Cini è quella di dare voce attraverso l'impegno di Gennaro, a tutti quelli che non ne hanno una: protagonisti diventano così la resistenza contadina di San José de Apartado, i ragazzi palestinesi scortati fino a scuola tra i soldati israeliani, le famiglie siriane nei campi profughi del Libano e tutti quei sommersi e salvati che il mare ci ha restituito.

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La febbre di Gennaro: una sequenza

Il flusso di immagini si ferma laddove Gennaro non avrebbe mai immaginato di dover prestare servizio: nel lodigiano, nel cuore produttivo del nostro paese, dove l'emergenza Covid appena esplosa nel 2020 aveva messo a dura prova un intero sistema sanitario e falcidiato quasi un'intera generazione di anziani. Tra le corsie d'ospedale bardato di guanti, tuta e mascherina avrebbe portato tutte le tecniche di prevenzione acquisite durante l'esperienza in Congo per fronteggiare l'epidemia di Ebola. Una storia di coraggio, una lezione di umanità e una riflessione sul senso di condivisione, perché in questo mondo non ci si salva da soli.

Conclusioni

Concludiamo la recensione de La febbre di Gennaro con la convinzione che il cuore di questo film non sia nella forma, ma nel contenuto. Sì, siamo in uno di quei rarissimi casi in cui fuori da ogni retorica la sostanza prende il sopravvento; con questo non si vuole assolutamente non riconoscere l’identità di una regia ben precisa. Il linguaggio è quello del documentario classico, ma proprio nella profonda lezione di umanità e nell’eroica resistenza degli ultimi, risiede il valore di questa storia.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • Per la carica di umanità di cui il documentario si fa portatore.
  • Per la semplicità della storia, guidata dall’urgenza del racconto più che da qualsiasi altra velleità artistica.
  • Una regia capace di far parlare gli ultimi attraverso la narrazione di una vita al servizio degli altri.

Cosa non va

  • Non sempre la regia riesce a portare avanti il racconto in maniera organica attraverso i tre piani temporali scelti: le incursioni nelle poche occasioni di quotidiana normalità a Taranto, le missioni in zone di conflitto e il viaggio da Bukavu a Bunyakiri nella Repubblica Democratica del Congo nel 2019.