Nella vita ci vuole fortuna. Che sia per banalità quotidiane come trovare un parcheggio libero proprio dove ci serve o per eventi più determinati ai fini dello sviluppo delle nostre esistenze, l'intervento della dea bendata è di quelli che riescono a dare una spinta considerevole. Ciò non si limita solo all'ambito personale delle nostre vite, ma anche spostandoci a sfere professionali, tecnologiche e artistiche: basta guardarsi intorno per rendersi conto di quante volte il flusso della storia umana avrebbe potuto deviare se solo la Fortuna fosse intervenuta in qualche modo.
Pensiamo per esempio a La cosa, quello che ora consideriamo tra i grandi film di John Carpenter, uno dei cult dell'autore di Halloween - La Notte delle Streghe e Fog, che fu in realtà molto sfortunato al suo debutto: arrivò nelle sale americano il 23 Giugno del 1982, 35 anni fa, solo tre settimane dopo E.T. L'Extraterrestre di Steven Spielberg, quando la gente aveva amato, e voleva, un tipo di entità aliena diverso da quella che proponeva il film di Carpenter. Quel particolare momento storico era stato adatto ad influenzare l'approccio dell'autore alla storia e ai suoi temi, ma non a sbancare i botteghini, perché i cuori degli spettatori (e anche di tanti critici) avevano risposto di buon grado ai buoni sentimenti dell'extratterestre creato da Carlo Rambaldi e non erano pronti a vivere i brividi di paranoia proposti da Carpenter.
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Polo, ultima frontiera
E non usiamo a caso la parola brividi. Non solo perché il film, che pur apre con una nave aliena che precipita sulla Terra, è di base un horror che usa la fantascienza in modo non dissimile dall'Alien di Ridley Scott; ma anche perché l'ambientazione antartica asseconda il gelo nelle ossa che tutto l'impianto del film evoca. Se l'E.T. di Spielberg è di fatto un pet, anche La Cosa di Carpenter apre con uno di essi, con un cane che fugge ai colpi sparatigli contro da un elicottero. Un cane che verrà accolto dalla base in cui si terrà l'azione, ma che darà il via al contagio che, uno dopo l'altro, farà fuori i protagonisti.
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Da Cosa nasce Cosa
Come un virus, La Cosa di Carpenter si propaga di organismo in organismo, di persona in persona. Un timore delle malattie e della loro diffusione che è cruciale in un decennio in cui la paura per l'esplosione dell'AIDS si diffondeva tra la gente, tra prime notizie e incertezze. Il tocco di un autore capace di raccontare sensazioni e ansie del nostro mondo pur in una storia costruita con l'evidente intenzione di creare tensione, senza rinunciare a qualche colpo ben assestato nello stomaco: gli effetti visivi di Rob Bottin, infatti, sono tra le eccellenze del campo per quanto riguarda le tecniche pre-CGI, a base di massicce dosi di trucco prostetico e modelli meccanizzati (che si devono anche ad un altro esperto del settore, Stan Winston), e non possono lasciare indifferenti per il realismo con cui mettono in scena le varie, disgustose, fasi di trasformazione dell'entità aliena.
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Tra terrore e paranoia
Il racconto La cosa da un altro mondo di Campbell, dal quale Carpenter ha tratto La Cosa, aveva già ricevuto un adattamento nel 1951 ad opera di Howard Hawks, ma il regista di Halloween fa un passo in più del suo predecessore, raccontando la storia con una chiave di lettura di interesse maggiore di quella usata nell'adattamento precedente, permettendoci di considerarlo tra i migliori remake mai realizzati: se per Hawks i protagonisti umani fanno squadra contro il nemico alieno, Carpenter li mette gli uni contro gli altri, lasciando che la paranoia e il sospetto diventino un avversario tanto temibile quanto il mostro contro cui devono combattere. In una comunità esclusivamente maschile, gli scontri di potere vanno di pari passo con le ansie e i pregiudizi, completando il discorso accennato nel paragrafo precedente riguardo la paura delle malattie e del contagio fino all'ambiguo quanto inquietante finale.
L'icona Kurt Russell
D'altra parte il film è considerato dal suo autore il primo capitolo di una trilogia dell'Apocalisse, che avrebbe completato nella dozzina d'anni successivi con Il signore del Male e Il seme della follia, ed è giusto che suggerisca un drammatico epilogo. Ma è anche la conferma di una collaborazione preziosa, quella con il protagonista Kurt Russell che aveva già vestito i panni dell'iconico Jena Plissken di 1997: Fuga da New York l'anno precedente: il carismatico attore, che qui veste i panni incappucciati di R.J. MacReady è perfetto per incarnare l'antieroe di Carpenter, dai modi bruschi e fuori dagli schemi, ritagliandosi uno spazio importante nell'immaginario popolare di quegli anni e capace di restare in salute fino ai nostri giorni, restando vivo e inquietante anche a 35 anni di distanza dal suo debutto in sala. È la forza dei cult movies, quei film che possiamo guardare e riguardare scoprendo sempre nuovi e preziosi dettagli. Un tipo di film che John Carpenter in quegli anni sapeva fare fin troppo bene!