La casa di Jack: analisi di una scena del film di Lars von Trier (e la sua arte di uccidere)

La casa di Jack è al cinema: vi raccontiamo la nuova provocazione di Lars von Trier con un'analisi della scena d'apertura del film con Matt Dillon e Uma Thurman.

Io credo che il Paradiso e l'Inferno siano la stessa cosa: l'anima appartiene al Paradiso e il corpo all'Inferno.

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La casa di Jack

Quasi cinque anni dopo il dittico di Nymphomaniac, con La casa di Jack, proiettato fuori concorso a Cannes 2018, Lars von Trier firma un'opera, se possibile, ancor più controversa e "scabrosa" della precedente, che era sembrata la sua provocazione più coraggiosa ed estrema, con la quale il regista danese si era avventurato nei territori della sessualità e del sadomasochismo. Per chi fosse interessato a una disamina ad ampio raggio di un film tanto complesso e singolare, vi rimandiamo alla nostra recensione de La casa di Jack; in questa sede, invece, abbiamo deciso di accostarci all'opera di von Trier con un approccio diverso, mediante l'analisi di una scena de La casa di Jack, ovvero la macrosequenza del cosiddetto "primo incidente" con cui si apre la pellicola.

Se tutti i film di von Trier sono attraversati da un'ineludibile violenza psicologica, la sua ultima fatica si distingue infatti per la scelta di rendere la violenza assolutamente esplicita e tangibile: quella compiuta dal serial killer Jack, interpretato da Matt Dillon, è una violenza "materica", che si consuma davanti agli occhi del pubblico e che al tempo stesso veicola una riflessione sul cinema dell'autore di Copenaghen. Una riflessione beffarda, corrosiva, autoreferenziale, destinata ancora una volta ad accrescere la distanza fra gli estimatori di Lars von Trier e i suoi detrattori.

L'incontro con Jack

La Casa Di Jack
Uma Thurman ne La casa di Jack

Nell'incipit de La casa di Jack, dopo il brevissimo prologo con il voice over, il personaggio del titolo viene mostrato alla guida del suo furgone rosso lungo una strada innevata in mezzo ai boschi. Il serial killer si ferma quando, sul proprio percorso, si imbatte in una donna sola, con un problema all'auto. La donna, a cui non viene attribuito un nome specifico, è l'unica fra le vittime di Jack ad avere un volto immediatamente riconoscibile per tutti gli spettatori: quello di Uma Thurman, già comparsa in un breve ma intenso ruolo in Nymphomaniac. L'incontro fra il maniaco e una donna sola in cerca d'aiuto potrebbe sembrare una situazione canonica nel filone sui serial killer, ma ovviamente von Trier è pronto a sovvertire le nostre aspettative fin dal principio: del resto nulla, nel suo film, segue le regole tradizionali.

Ecco dunque che, già nei primi scambi di battute fra Matt Dillon e Uma Thurman, le convenzioni del caso sono del tutto ribaltate, e alla suspense di cui dovrebbe essere innervato il racconto viene preferita una vena di umorismo grottesco. La donna, con il suo aspetto curato, il cappotto elegante e i modi melliflui, utilizza il piano dialogico per prendere il sopravvento su Jack: il serial killer è refrattario, vorrebbe proseguire per la propria strada, ma lei insiste fino a convincerlo ad accompagnarla all'officina più prossima, a una decina di chilometri di distanza, per farle riparare il cric. E tanto Jack è freddo, impacciato e a disagio, quanto la donna appare spigliata, disinvolta e sicura di sé, al punto da cominciare subito a stuzzicare il proprio interlocutore.

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Lei potrebbe essere un serial killer...

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La casa di Jack

Mentre la donna e il serial killer si trovano a bordo del furgoncino, la conversazione avviata da Uma Thurman contribuisce al senso di straniamento indotto da von Trier: "Questo forse è stato un errore". "Che cosa forse è stato un errore?", replica Jack; "Salire su questo veicolo con lei. Lei potrebbe essere un serial killer. Scusi, ma un po' ne ha l'aspetto". A questo punto, il sovvertimento dei canoni è totale: se d'abitudine è il 'carnefice', pregustando il proprio delitto, ad introdurre una prima nota insolita o minacciosa nei dialoghi, qui al contrario è la potenziale vittima ad offrirsi come tale, avviando un gioco fra il gatto e il topo a parti invertite. Jack la invita infatti a rinunciare al passaggio, ma la donna mantiene le redini della situazione e rilancia, facendo perfino riferimento al cric come possibile arma a portata di mano (e, si badi bene, il termine inglese per cric è proprio jack).

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La casa di Jack

Il meccanico esegue il proprio compito, e così pochi minuti più tardi Jack e la donna sono di ritorno; peccato che, al primo tentativo di utilizzo, il cric si rompa di nuovo, suscitando la frustrazione di Jack. E Uma Thurman, sfruttando le sue capacità affabulatorie e una sbarazzina insistenza, ottiene di farsi ricondurre all'officina. Questa ripetizione della sequenza di poco prima è talmente paradossale, e talmente inusuale nell'ambito dei thriller, da sancire definitivamente il nostro distacco emotivo rispetto a quanto sta avvenendo: perché in quel momento l'angoscia di noi spettatori per la sorte della donna è soffocata dall'irrisione nei confronti del maniaco, trasformato in oggetto di scherno per lei e per noi. "Lo sa, ritiro tutto quanto, quello che ho detto prima sul fatto che sembrava un serial killer. No, no, no, lei non ha la disposizione per quel genere di cose: è decisamente troppo incapace (wimp è il termine usato in originale) per assassinare qualcuno".

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Il primo delitto

The House That Jack Built
La casa di Jack

L'ultimo oltraggio, il più gratuito, smaccato e feroce, è quello che fa perdere il controllo a Jack, scatenando la trasformazione da Henry Jekyll a Edward Hyde. Di colpo ha luogo l'azione che tutti noi avevamo preventivato fin dall'inizio, la "pistola di Cechov" finalmente fa fuoco: Jack afferra il cric e, in un impeto di furia omicida, lo abbatte più e più volte sul volto della donna, in una prima esplosione granguignolesca. In altre parole: ne La casa di Jack, Lars von Trier mette in scena l'orrore, ma lo depotenzia di tutta la sua componente di sofferenza e di suspense. Perché quell'apoteosi di orrore è il risultato (l'unico possibile) di una commedia dell'assurdo, in cui alla partecipazione emotiva si sostituisce un macabro divertimento 'intellettuale'. Von Trier ci mostra la genesi di un serial killer abbattendo però i codici del thriller, svuotati di significato in funzione di una sorta di saggio metalinguistico sulle modalità d'espressione e di racconto del cinema stesso. E in questa prospettiva, ci fornisce già un'indicazione chiarissima su quanto ci attende per le due ore successive...