La storia del cinema lo ricorda soprattutto come il maestro della suspense, ma Alfred Hitchcock nell'arco della sua lunga carriera è riuscito ad essere molto di più di un genio innovatore dall'animo noir. Traendo forza dalla stabilità di una vita famigliare e perfino dalle proprie debolezze ha sviluppato una sensibilità spesso ben celata dietro la corpulenza del suo fisico e l'impassibile freddezza britannica. Ed è proprio grazie a questa capacità d'intuire l'animo del suo pubblico e i misteri che sono custoditi in lei che il regista si è trasformato in un direttore d'orchestra, capace di modulare alla perfezione le necessita e le attitudini più inconfessabili dell'animo umano. Non stupisce, dunque, che questa figura così complessa abbia attirato l'attenzione di Sacha Gervasi, deciso ad esordire nel lungometraggio di finzione proprio con il film Hitchcock , che verrà distribuito dalla 20th Century Fox da febbraio 2013 probabilmente a ridosso degli Oscar. Dopo aver firmato la sceneggiatura di The Terminal e realizzato il documentario Anvil! The Story of Anvil, dedicato alla metal band canadese, il regista si è lasciato sedurre dalle pagine del libro di Stephen Rebello Come Hitchcock ha realizzato Psycho, concentrato su uno dei momenti allo stesso tempo più critici e più stimolanti vissuti dall'autore di pellicole indimenticabili come Rebecca, la prima moglie e La donna che visse due volte. Il risultato è il ritratto tenero, sofferente e divertito di un artista alle prese con la controversa realizzazione del suo capolavoro assoluto Psycho e di un uomo deciso a non perdere l'appoggio incondizionato della collaboratrice più importante, la moglie Alma Reville. A presentare la pellicola, che ha aperto ufficialmente il Noir in Festival di Courmayeur, è proprio il regista Sacha Gervasi, pronto a raccontare la sua esperienza su di un set colmo di star come Anthony Hopkins, Helen Mirren, Scarlett Johansson e Jessica Biel. Tutti, naturalmente, a disposizione del genio capriccioso di Alfred Hitchcock.
Lei è londinese di nascita, con radici italiane, ha studiato a Los Angeles ed ha firmato la sceneggiatura di The Terminal. All'interno di tutte queste esperienze, compresa la sua attività da documentarista, come si inserisce il progetto di Hitchcock? Sacha Gervasi: Nella mia vita ho avuto la possibilità di fare cose diverse come il musicista e il giornalista ma, dopo aver trascorso molto tempo come scrittore ad Hollywood, sentivo di voler tentare anche la regia di un lungometraggio. In lizza per girare il film, che ormai aspettava da dieci anni di vedere la luce, c'erano ben ventisei registi. Naturalmente io ero l'ultimo ed il meno plausibile, visto che avevo poca esperienza, ma la produzione ha deciso di rischiare rispettando proprio lo spirito di sperimentazione che aveva mosso Hitchcock durante la lavorazione di Psycho.
Il suo film è liberamente ispirato al libro di Stephen Rebello che verrà editato nuovamente da Castoro dal 6 febbraio. Quali sono, però, gli elementi fondamentali attraverso il quale ha scelto di costruire la sua personale visione del maestro della suspense? Sacha Gervasi: Più di ogni altra cosa mi ha intrigato l'idea di un uomo e artista affermato che, a sessant'anni, decide di rischiare il tutto per tutto con un film horror nonostante il disappunto generale. A spingerlo è il bisogno incessante di ricordare a se stesso e al suo pubblico di essere ancora in grado di sorprendere. Il secondo elemento che mi ha conquistato, invece, è il rapporto affettivo e professionale con la moglie Alma. Attraverso la loro collaborazione, che andava dal montaggio all'adattamento della sceneggiatura, abbiamo la possibilità di scoprire un aspetto nuovo di Hitchcock. Ci troviamo di fronte ad un genio della cinematografia che, nonostante la sua grandezza, non ha mai smesso di ascoltare gli altri e di rimanere permeabile alla realtà che lo circondava. Perché, realizzare un film vuol dire dare corpo ad un arte collaborativa che non ha alcuna possibilità di esistere senza un team valido.Quanta libertà ha avuto nell'utilizzo del materiale biografico e cinematografico da parte della Paramount e della famiglia? Sacha Gervasi: Partiamo dal presupposto che non avevamo alcuna intenzione di realizzare un documentario, quindi abbiamo preso notizie dal libro di Rebello e da altre biografie per poi utilizzarle attraverso la narrazione di fiction. in modo particolare desiderava attuare un'esplorazione drammatica di quello che si stava muovendo dentro l'animo e la mente di Hitchcock durante la lavorazione di Psycho. E' logico che ci sono degli elementi assolutamente reali come i molti ostacoli posti di fronte al film e il rischio economico sostenuto in prima persona dal regista, mentre possiamo solo intuire quanto forte fosse il rapporto che lo legava alla moglie. Quando abbiamo iniziato la lavorazione di questo film eravamo perfettamente consapevoli che avrebbe suscitato delle reazioni in coloro che hanno condiviso quel set particolare, ma volevamo più di ogni altra cosa che rimanesse intatto lo spirito un pò cattivo dell'uomo e dell'artista. Allo stesso modo abbiamo messo in evidenza il suo incredibile umorismo. Sua moglie Alma, ad esempio, lo ha sempre descritto come l'uomo più divertente che avesse mai incontrato. Tutto questo ci è servito per ridare al pubblico l'immagine inaspettata del primo regista capace di trasformarsi in una star. Forse per questo motivo non abbiamo incontrato difficoltà nè da parte della Paramount nè della famiglia. Anzi, abbiamo saputo, attraverso un articolo apparso sul New York Times, che la nipote è rimasta particolarmente soddisfatta, soprattutto per aver rivalutato la figura di sua nonna.
Questo film mette in rilievo la forte personalità di Alma, una grande donna e intellettuale capace di sostenere la genialità di Hitchcock e di offrire alla sua interprete Helen Mirren un ruolo intenso da co-protagonista. Come è stato il suo rapporto con la Mirren e, di contro, con Anthony Hopkins? Sacha Gervasi: Lavorare con loro è stato fantastico. Naturalmente, trovandomi alla prima regia, di fronte a questi due incredibili protagonisti mi sono sentito in soggezione. Ad un certo punto mi sono detto, Oh, mio Dio adesso devo dirigerli. Cosa faccio? Dopo la paura iniziale, però, tutto è andato perfettamente. Anzi, loro sono stati incredibilmente collaborativi, mettendo a disposizione tempo e capacità senza risparmiarsi. Durante uno dei nostri primi incontri lavorativi ho scelto di ascoltarli mentre leggevano la scena. Dopo la quarta ripetizione, mi sono reso conto che, quasi naturalmente, avevano iniziato a trovare l'armonia giusta anche per quanto riguarda l'impostazione fisica. All'improvviso mi sono ritrovato nel doppio ruolo di direttore ma anche di pubblico, come se fossi seduto in prima fila al London Theatre perché Helen e Anthony sono soprattutto due grandi interpreti teatrali. Quindi, ho capito che quando hai a disposizione degli attori così incredibili non devi far altro che lasciargli fare il loro lavoro.