Killers of the Flower Moon è la recente pellicola diretta da Martin Scorsese, ambiziosa e iconoclasta, che, adattando l'omonimo saggio di David Grann, demolisce con forza ed efficacia la società capitalistica americana appoggiandosi a reali eventi storici, raccontati appunto nel testo originale (qui potete leggere la nostra recensione). Nel romanzo, infatti, viene ripercorso un sanguinoso fatto di cronaca risalente agli anni Venti del Novecento, ovvero l'eccidio sistematico della tribù degli Osage, in Oklahoma, da parte degli statunitensi visto attraverso diversi punti di vista, anche se il prevalente fa riferimento all'FBI, con le indagini del Bureau che rappresentano la principale chiave narrativa.
Ebbene, Scorsese, in Killers of the Flower Moon - presentato in anteprima a Cannes 2023, dove è stato accolto in modo caloroso, e nelle sale italiane dal 19 ottobre 2023 - ha scelto volutamente di diluire la storia in 3 ore e 26 minuti, spostando l'attenzione sul personaggio della nativa Molly (una sentita Lily Gladstone) così da alimentare una critica più ampia e corposa. Il risultato è un complesso e intricato quadro cinematografico che ha assolutamente bisogno di un minutaggio così imponente per esprimersi al meglio.
Un cinema che non esiste più (o quasi)
Prima di parlare più approfonditamente degli elementi che dimostrano che una durata simile è assolutamente congrua e coerente con la portata del film stesso, è doveroso chiarire un punto alla base del discorso. Si è parlato tanto, negli ultimi anni, dell'eccessivo minutaggio delle pellicole che sembra essere aumentato recentemente, per la maggior parte di volte senza però un'apparente utilità. Ecco, è importante, con Killers of the Flower Moon, non ricadere proprio in questo pensiero perché, a differenza di altri progetti che allungano il brodo inutilmente, l'opera scorsesiana dà valore ad ogni singolo minuto, proponendo tra l'altro un cinema che quasi non esiste più e che continua ad appartenere perlopiù alla vecchia scuola della New Hollywood (e forse, non a caso, trova tra i suoi estimatori proprio Francis Ford Coppola). Una filosofia cinematografica che sembra oramai lontana che si prende tutto il tempo necessario per raccontare la propria storia senza aver paura di andare oltre ed essere bersagliata dalle solite critiche di turno che vedono solo lentezza e verbosità, non riflettendo sul valore delle immagini.
Martin Scorsese: una vita nel nome del cinema
Più spazio alle immagini
E infatti partiamo proprio da qui, dalla ricchezza delle immagini presenti in Killers of the Flower Moon che, proprio grazie alle 3 ore e 26, hanno modo di estendere la propria potenza durante tutto lo sviluppo della storia. Il paradosso, alla fine, è proprio questo: con un timing simile, ci si poteva aspettare un progetto estremamente verboso, quando invece, in realtà, l'impianto metaforico-simbolico, che parla per sequenze e fotogrammi, domina la scena. Le parole ci sono, ma sono dosate in maniera centellinata, mentre le immagini vanno a creare due livelli diversi di comprensione del film. Se quelle più chiare e lampanti fanno parte del messaggio lineare della pellicola, quelle più enigmatiche e simboliche, che si presentano parallelamente, aggiungono un contenuto più complesso da leggere nell'immediato, che però rimane impresso nel pubblico. C'è quindi la possibilità di raddoppiare, per certi versi, il valore contenutistico presentato muovendosi agilmente tra un linguaggio esplicito ed implicito.
Gli Osage: chi sono i nativi di Killers of the Flower Moon?
Replicare l'ampio respiro di un saggio
La lunghezza del film (che doveva durare inizialmente ben 4 ore), tra l'altro, ha anche un altro significato che si collega direttamente alla fonte principale del racconto. Il romanzo di partenza, come vi abbiamo già anticipato precedentemente, è un vero e proprio saggio giornalistico esaustivo che, in qualche modo, riporta tutta la storia dell'eccidio degli Osage, dagli albori, fino ad arrivare ai giorni nostri. Il lungometraggio, proprio sfruttando questo minutaggio massiccio, cerca di fare la medesima cosa, riducendo largamente, però, sia la premessa introduttiva (che spiega come hanno fatto i nativi Osage a diventare così ricchi) ma anche la chiusura, con un breve ma incisivo passaggio che racconta l'epilogo, coinvolgendo anche la stessa troupe cinematografica dell'opera. Chiaramente, essendo una pellicola, la parte più corposa è rappresentata dalla narrazione centrale dei fatti, ma comunque si respira a pieni polmoni un'aria fortemente narrativa e letteraria e infatti, come dimostrazione del fatto, l'autore del libro, Grann, ha apprezzato l'approccio di Scorsese alla storia.
Vivere i personaggi intensamente
Una caratteristica fondamentale dei romanzi che li differenzia rispetto a qualsiasi altra opera audiovisiva è che la caratterizzazione dei personaggi fluisce in una chiave atipica, spiegando dettagliatamente ogni elemento che li definisce. I lettori riescono ad immaginare con la propria mente le varie figure letterarie senza aver bisogno necessariamente di stimoli visivi. Tornando a noi, Killers of the Flower Moon ha quindi un altro punto di collegamento con l'universo letterario, nello specifico l'incredibile capacità di costruire i personaggi in modo estremamente stratificato, perlomeno i tre principali ovvero Molly Burkhart, Ernest Burkhart (uno strepitoso Leonardo DiCaprio) e lo zio William Hale (un Robert De Niro straordinario). All'interno della pellicola, quindi, c'è tutto il tempo di analizzare con calma la loro psicologia e mettere in evidenza, soprattutto, le grandi contraddizioni che li caratterizzano: Molly sia consapevole che rapita dal fascino dell'uomo bianco; un Ernest innamoratissimo della moglie e anche crudele sgherro dello zio; William Hale, un amorevole imprenditore di facciata, dall'animo mefistofelico.
Un campionario esaustivo delle nefandezze americane
In conclusione, Killers of the Flower Moon sfrutta inoltre una runtime così colossale anche per un altro motivo, tematico e contenutistico. Il film infatti, in queste 3 ore e 26, pone le basi, passo dopo passo, per la creazione di una strutturata e spietata critica verso la società capitalistica, ponendo l'accento in particolare sulle illusioni e le nefandezze che il Dio Denaro smuove nell'animo umano (in questo caso, quello degli statunitensi). Da sempre Martin Scorsese ha esplorato, con le sue opere, il marciume e l'oscurità degli uomini, ma, stavolta, per l'appunto usando come pretesto l'omicidio massificato degli Osage, ha voluto oltrepassare il limite, costruendo un campionario esaustivo delle empietà commesse dagli americani nei confronti dei nativi che non si riducono, semplicemente, alle brutalità perseguite in nome dell'avidità, ma anche alla sedimentazione di un pensiero profondamente pericoloso, razzista e classista, che vediamo espresso ancora oggi. Tutto questo è possibile, ancora una volta, grazie ai 206 minuti che scuotono prepotentemente gli animi del pubblico, portando ad una riflessione urgente e necessaria.