A sensazione, e con i dovuti confini, vedendo il film abbiamo pensato a Colazione da Tiffany. Il motivo? Molto semplice: pur strutturalmente differenti (ovvio), la Holly di Audrey Hepburn (e di Truman Capote) è molto simile alla Jeanne du Barry portata in scena da Maïwenn. Entrambe figure femminili di rottura, entrambe figure in cerca di una dimensione, aggrappate ad una scaletta sociale che le avrebbe portate a raggiungere un'effimera auto-realizzazione. Uno spunto interessante, un parallelo inaspettato. E, alla fine, una sorpresa: Jeanne du Barry - La favorita del re, che ha aperto Cannes 2023 (fuori concorso, però), dietro la cipria da dramma in costume (senza rinunciare a sferzate di pura e macchiettistica commedia), è un'interessante variazione sul tema, traslando per il cinema la storia vera di Marie-Jeanne Bécu, divenuta poi contessa du Barry, nonché la leggendaria (e ultima) favorita di Luigi XV di Francia.
Racconto, di per sé, estremamente cinematografico, oltre che efficace nel suo intrinseco obbiettivo: traslare la Storia nelle sfumature contemporanee. Dunque, giù di uguaglianza di genere, di indipendenza, di egocentrismo smisurato, miscelato con smania dell'apparenza sacrificando la sostanza. Funziona? Funziona se Jeanne du Barry - La favorita del re viene affrontato senza il capogiro di cercare l'opera granitica in tutte le sue forme. Anzi, potrebbe essere proprio l'approccio pop e svagato a rendere il film di Maïwenn più riuscito di quanto si possa credere.
Jeanne du Barry, rivoluzione a coorte
In fondo, bisogna partire da un presupposto: un film in costume, se ben scritto e ben ideato, non si confina nel periodo storico che mette in scena, bensì diventa terreno fertile per le riflessioni moderne. Maïwenn, più che basarsi sulle documentazioni storiche (le uniche nozioni, in questo caso, arrivano da Wikipedia, oltre che da Lady Oscar), vuole infatti raccontare la storia di una donna venuta dal nulla che, grazie al fascino e all'intelligenza (o grazie alla scaltrezza?), riesce a conquistare le attenzioni di Luigi XV (Johnny Depp), quel Re prima amato e poi dileggiato dal popolo per essere più attento alle sue amanti (appunto) che agli affari di Stato.
Jeanne Du Barry - La favorita del re, allora, vola ben presto al punto, fermandosi sullo zenit narrativo: Jeanne, di umili origini, sembra prestarsi con eclettico spirito alla vita di coorte (con annessi e connessi), conquistando in un batter di ciglio il cinerino Re. Piantandosi a Versailles, si farà nemiche le civettuole figlie del Sovrano, portando un pruriginoso scompiglio nel cosmo di un Re che, per volere della regista, sarà avvolto dai tratti umani e mortali, rendendolo pretesto perfetto per un discorso sociale di più ampio respiro, e quindi di più ampie digressioni metaforiche.
Cannes 2023: Johnny Depp accolto da un'ovazione alla proiezione di Jeanne du Barry
Spazio, luce, tempo. E lo sguardo pop di Maïwenn
Al netto delle voci che hanno accompagnato la produzione (sembrerebbe che Maïwenn abbia asciugato le battute di Johnny Depp), è proprio l'umanizzazione regale l'aspetto forse più coerente e riuscito del film, indirizzato su una regia che riempie gli spazi, sfrutta la luce (Versailles è un palcoscenico di meravigliosa bellezza) e gestisce come meglio può il tempo, magari sovraccaricato da un commento musicale un po' troppo pressante. Tuttavia, soffermandoci sul discorso, ci sono almeno un paio di momenti che enfatizzano il concetto di umanità: il primo incontro tra Jeanne e Luigi XV, consumato in penombra, con il Re scevro di corone e mantelli, e la sfida dello stesso Luigi XV verso quelle figlie che mal sopportavano la presenza dell'amata Favorita. Questione di tridimensionalità.
Quella tridimensionalità che Maïwenn confeziona - in modo non sempre coerente - attorno ai personaggi di riferimento. In questo caso, se Jeanne cerca un posto nel mondo, puntando sull'istruzione e sulla partecipazione attiva (facendosi mal volere dalle altre donne), distruggendo gli schemi e i dogmi (si vestirà da uomo, avrà un paggetto indiano) il Re è il pretesto e il gancio che permette al film di allargare il prospetto, e di conseguenza rendendo Jeanne una figura di rottura in un contesto che aberrava ogni forma di individualità, oltre quella legata al Sovrano. A proposito di umanità, nota finale per l'ottimo Benjamin Lavernhe, che interpreta Jean-Benjamin de La Borde, fedele assistente del Re, e tra i pochi capaci di andare oltre le apparenze. Sia quelle regali, che popolari.
Conclusioni
Come vi abbiamo raccontato nella nostra recensione di Jeanne du Barry, la Versailles di Maïwenn è pop e umana, oltre che efficientemente cinematografica. Sfrutta in modo intelligente spazi e luce, e sfrutta poi la storia come riverbero sociale che pone l'attenzione sull'individualità femminile. Una femminilità di rottura, ma anche legata al concetto di "arrampicata sociale" già raccontata da Truman Capote in Colazione da Tiffany. Appunto, ieri come oggi.
Perché ci piace
- Il taglio pop.
- Johnny Depp convince.
- L'utilizzo dello spazio e della luce.
Cosa non va
- Potrebbe soffrire di superficialità.
- Dieci minuti in meno avrebbero aiutato.