Una masterclass con un protagonista "giovane", come il produttore Jason Blum, è sicuramente un evento insolito. Tuttavia Blum, classe 1969 e già un ventennio di carriera alle spalle, si è ritagliato un posto di tutto rispetto nel panorama del cinema di genere (indipendente) americano: al punto che la sua Blumhouse Productions, nata nella seconda metà degli anni 2000, è diventata punto di riferimento per tutti gli appassionati di quel genere horror che nella sua variante statunitense, proprio in quegli anni si vedeva minacciato dalla vitalità degli omologhi prodotti orientali. La serie di Paranormal Activity, titoli come Insidious e Sinister, veri e propri blockbuster di genere quali Le streghe di Salem; pur nella forte riconoscibilità dei suoi prodotti, segno di un'identità molto marcata, l'etichetta di Blum ha saputo differenziare la sua produzione, contribuendo a lanciare la carriera di alcuni registi (Oren Peli) o a restituire a una dimensione più congeniale quella di altri (James Wan).
L'equilibrio tra tradizione e modernità che rappresenta, fin dai suoi inizi, una delle caratteristiche della opere prodotte da Blum, si ritrova nei due episodi de La notte del giudizio, entrambi diretti da James DeMonaco. I rimandi a John Carpenter e a Walter Hill, la tensione sociale del cinema di George A. Romero, l'attitudine indipendente di Roger Corman: l'inserirsi dei due episodi di questo nuovo franchise in un filone forte del cinema americano, il loro rifarsi a una tradizione consolidata, mostrano che il giovanilismo d'accatto, e l'arroganza "nuovista" che (almeno nel nostro paese) contraddistingue parte della generazione dei quarantenni, non abitano qui. I film prodotti da Blum camminano "sulle spalle dei giganti": e lo fanno con consapevolezza. Il nuovo Anarchia - La notte del giudizio, in uscita a luglio e tema centrale (ma non esclusivo) di questo incontro, ne è un'ulteriore prova.
Il low budget al potere
Lei è uno dei pochissimi produttori nella storia del cinema, e l'unico al momento, che ha un tratto distintivo simile a quello di un regista. Vedendo un film da lei prodotto, si può dire "questo è Jason Blum". Le piace lavorare intorno a certi temi?
Jason Blum: I nostri film hanno un gusto particolare, che ha anche a che fare col budget. Soprattutto, non andiamo mai sopra i 4-5 milioni: diamo una libertà creativa totale, con storie che diversamente non avrebbero mai avuto un finanziamento.
Cos'è che le consente di riuscire in questa impresa, ovvero spendere pochi soldi facendone tanti?
A Hollywood si pensa ad un low budget con registi piuttosto "novelli", ma non è il nostro caso: noi scegliamo gente con esperienza, che possa dare fiducia, sicurezza. I nostri sono registi giovani, ma non alle prime armi: diamo loro un controllo creativo totale, e questo è insolito per Hollywood.
Come seleziona i registi?
In base al loro lavoro: la maggior parte di loro aveva già fatto film che ammiro, come ad esempio James Wan, che aveva iniziato la serie di Saw - L'enigmista. Lui, quando ha iniziato a fare film con gli studios, si è trovato compresso: noi abbiamo dato il via alla sua ripresa di fama. Io cerco sempre di relazionarmi con registi che hanno fatto almeno un film che ritengo importante, anche se magari non sono popolarissimi.
Nonostante i bassi budget, lei lavora con attori a volte molto noti...
Quando si parla di casting, dico sempre ai miei collaboratori: pensate di essere all'università, quando il vostro problema era solo scegliere gli attori giusti per quei personaggi. A Hollywood invece si fa spesso il contrario: prima si va dalla star, e poi si cerca di adattargli il personaggio.
Cosa pensano a Hollywood di lei?
C'è un rapporto amore/odio, diciamo. Molti ci apprezzano perché facciamo cose diverse dagli altri, ma altri si sentono minacciati, perché pensano il nostro lavoro faccia diminuire la qualità generale dei prodotti.
Nella prima parte della sua carriera, lei ha lavorato con i fratelli Weinstein: conoscendo il loro modo di lavorare, si può pensare sia stata un'esperienza abbastanza dura. Che insegnamento ne ha tratto?
Ho lavorato con loro dal 1995 al 2000. Il primo film che abbiamo fatto era un film per bambini, intitolato The Blue Hero: ci sono voluti 4 giorni di trattative per raggiungere l'accordo. Ho imparato moltissime cose da quell'esperienza: soprattutto ad ascoltare gli altri e ad osservare ciò che fanno, prima di iniziare un lavoro. Adesso, facciamo parte dello stesso sistema, ma con approcci molto diversi al nostro lavoro.
Bret Easton Ellis ha recentemente dichiarato che la fascia di budget dei 20 milioni di dollari è morta. Secondo lei, sono stati i suoi film a sostituirla?
Penso di sì, questo è vero. Film come i nostri, prima, venivano realizzati con cifre simili a quella.
Come si inizia a fare questo lavoro?
Nello stesso modo in cui si inizia a fare il regista o lo scrittore, credo. Non bisogna chiedere permesso a nessuno, si prende e si inizia. Certo, la tecnologia aiuta, e le possibilità di riuscita dipendono anche dall'argomento. C'è anche bisogno di qualcuno che ti aiuti ad iniziare. Io dico sempre che non ci sono barriere di ingresso, e che bisogna essere propositivi: evitare di stare ad aspettare che qualcuno venga a proporti le cose.
"Dire" intrattenendo
Prima dei due La notte del giudizio, erano decenni che i film horror non erano così politici. Aveva paura di questo aspetto, quando ha prodotto il primo film?
No, al contrario: speravo che ci fosse una forte reazione. Sono esempi di film che non potevano essere realizzati con un budget più alto. Ho preferito il secondo ma sono fiero di entrambi, visto che condividono un forte messaggio sociale.
Com'è nata l'idea forte della violenza legalizzata, e come l'avete sviluppata?
L'idea è di James DeMonaco: lui è di New York ed ha una mente strana, deviata! Un giorno, parlando con la moglie, disse "io quella persona vorrei farla fuori". La moglie gli ha detto: "ok, facci un film".
Ormai ne La notte del giudizio c'è una vera e propria mitologia. Potrebbero venirne fuori dieci film, o più.
Io sono pronto! Intanto, vorremmo proseguire la storia parlando dei rivoluzionari, e poi eventualmente fare anche un prequel.
Come considera registi come John Carpenter e Roger Corman? Lei, forse, può essere definito un po' il Corman del XXI secolo.
Li amo entrambi, mi piace buona parte della loro produzione. Hanno fatto entrambi film bellissimi, io spesso mi riferisco proprio a Corman per ciò che è stato capace di fare. A Carpenter abbiamo pensato per i due La notte del giudizio: moltissimi suoi film hanno un messaggio sociale come il nostro.
Qualcuno non potrebbe reputare il contenuto di quest'ultimo film "diseducativo"?
No, al contrario. Per me il film parla del rapporto dell'America con le armi: ogni volta che c'è un'efferatezza, la nostra risposta è quella di aumentare il commercio delle armi. È un'idea pessima per la società, anche se ottima per un film. Noi cerchiamo di mostrare la violenza in modo responsabile, sperando serva a far discutere le persone, e a poter almeno iniziare un cambiamento.
Cinema, televisione e linguaggi di confine
Internet ha abbattuto le barriere, adesso la fruizione online si sposa col business delle sale. State lavorando anche a questo aspetto?
Internet ha soprattutto fatto sfumare la linea di demarcazione tra cinema e televisione. Credo che ci sarà un passaggio, e ciò avrà un effetto su come realizzeremo i nostri film. Non so ancora di preciso come ciò succederà. Noi ci fermiamo a un budget di 5 milioni di dollari perché ci limitiamo a una distribuzione classica, la sala, l'home video, ecc. Quando avremo la possibilità di divulgare i nostri film anche attraverso altri canali, l'approccio cambierà.
Conosce la Asylum? È un piccolo studio che produce film con un budget che è forse ¼ del vostro. Il loro modello di business è incredibile.
Sì, loro hanno un modello diverso rispetto al nostro, ma è di successo anche quello. Fanno film con molto meno, in genere qualche centinaio di migliaia di dollari. A volte funziona, a volte no.
Hanno un'intelligenza non comune, visto che fanno finti blockbuster, che replicano con pochi soldi titoli d successo come Lo Hobbit: un viaggio inaspettato e Transformers. Hanno la capacità di capire, e cavalcare il trend del mercato.
Sì. Analizzano ciò che potrà avere successo, e fanno immediatamente qualcosa di simile. È una cosa diversa da quello che facciamo noi, ma è comunque interessante.
Voi avete la tendenza a serializzare i titoli, creando anche delle vere e proprie mitologie. Ritiene che questa più generale spinta alla serialità abbia anche a che vedere con ciò che è successo nella tv? Il pubblico è ormai abituato a racconti seriali grandi, complessi.
Il lavoro in tv, negli ultimi anni, è migliorato molto. Ciò spinge a trasferire sul piccolo schermo idee che altrimenti sarebbero nate al cinema. Registi indipendenti degli anni '90 ora si esprimono in gran parte in televisione.
Anche lei sta lavorando a due serie tv...
Tre, in realtà. Noi la vediamo come un'alternativa, o piuttosto un'aggiunta al cinema. Quando fai un film hai 90 minuti a disposizione, mentre in tv un'idea puoi ampliarla. I nostri processi di produzione, comunque, sono già molto simili a quelli televisivi.
Paura, e non solo
Il primo Paranormal Activity ha due finali. Come andò la storia, e quale dei due finali preferisce?
In realtà i finali erano quattro: avevamo diverse idee, e alla fine abbiamo scelto l'ultima, che era quella suggerita da Steven Spielberg. Oren Peli voleva il suo finale, ma io gli ho detto "stai calmo, quello è Spielberg, dai, ci sono voluti tre anni per fare il film. Scegliamo il suo finale". Lui però è molto testardo.
Tradizionalmente, a Hollywood, il produttore ha più peso del regista. Per lei, la figura del regista quanto è importante?
Mille volte più di me. Noi ai registi diamo suggerimenti, ma i film sono i loro, sono frutti del loro lavoro. Noi siamo un'azienda, e all'ingresso dei nostri uffici abbiamo le immagini dei nostri registi: la nostra azienda si basa sul loro lavoro. Per noi il regista è il volto del film: cerchiamo sempre di spingere quel volto il più possibile.
Tra i vostri futuri progetti c'è anche una versione di Jem and the Holograms. Non proprio un horror, quindi... come mai?
Di tanto in tanto realizziamo anche film di altri generi: se c'è qualcosa di veramente buono, possiamo decidere anche di fare altro. Quella, poi, è una storia popolare negli USA e in Italia, ma molto meno in Francia e in Germania, per esempio.
Anche il marketing, in termini di low budget, subisce delle modifiche?
Uno dei mei obiettivi è fare nel marketing ciò che abbiamo fatto nei film: ridurre il prezzo dell'80-90%. Non ci sono differenze nel metodo, anche se bisogna considerare che ci sono tipi diversi di marketing. Credo i soldi siano un modo per corrodere la creatività. I problemi sono legati sempre alla spesa, ma noi dobbiamo pensare a come fare le cose al meglio. Questa è una sorta di discorso politico.
Nel concept di un film, partite dal basso per poi aggiungere dettagli, o viceversa?
Intanto, va detto che noi non scriviamo. Io, per esempio, sarei uno sceneggiatore terribile. Se abbiamo una sceneggiatura molto lunga, tendiamo a sfrondarla, ma affidiamo questo lavoro al regista, dandogli totale creatività. L'unico limite è sempre il tetto di 4-5 milioni di dollari nel budget.
E' vero che lei non è nato come appassionato di horror, ma ha scoperto successivamente, in questo genere, una connessione particolare col pubblico?
Sì. Io da giovane amavo il cinema nel modo più generale, all'università ho studiato Alfred Hitchcock. Ho iniziato la mia carriera nell'ambiente dei film d'autore, indipendenti. 6-7 anni fa, poi, mi sono appassionato al genere.
E' vero che una delle sue sceneggiature ebbe l'appoggio di Steve Martin?
Sì. Mio padre era un gallerista, e Martin era interessato a quel settore. Alla fine del college, ho prodotto un film intitolato Kicking and Screaming: Martin era amico di mio padre, e allora, tra i tanti, chiesi proprio a lui di leggere quella sceneggiatura. Dopo 6 mesi, con mia grande sorpresa, venne fuori che l'aveva letta, e mio padre mi disse di chiamarlo: mi tremavano le mani, all'epoca, ma lui disse che gli era piaciuta! Si era anche offerto di investire nella produzione, anche se poi la cosa non ebbe seguito. Quando però mi scrisse la lettera in cui mi fece quest'offerta, la incollai alla copertina della sceneggiatura.