E ho visto l'eterno Lacché reggere il mio soprabito ghignando/ E a farla breve, ne ho avuto paura
Difficile codificare cosa sia esattamente l'orrore e come si evolvano tale concetto e le sue modalità di espressione. E in un periodo in cui l'horror cinematografico sembra aver raggiunto un punto di saturazione, limitandosi spesso a ripiegare sulle convenzioni più tradizionali e sfruttate dei filoni di riferimento (è il caso, ad esempio, della produzione di James Wan), cosa può risultare ancora efficace in termini di suspense? E soprattutto: oltre all'obiettivo - comunque imprescindibile - di spaventare il proprio pubblico, cosa può dirci oggi il cinema horror?
Sono interrogativi che, evidentemente, deve essersi posto David Robert Mitchell, regista e sceneggiatore nato in Michigan che due anni fa, nella sezione Semaine de la Critique del Festival di Cannes, ha sbalordito la critica con il suo secondo lungometraggio, It Follows, girato nella periferia di Detroit. Un film a basso costo ma traboccante di idee che, dopo aver ricevuto un consenso unanime e diversi riconoscimenti in ambito festivaliero, ha riscosso un buon successo nelle sale americane nella primavera del 2015, ma soprattutto ha assunto lo statuto di instant cult grazie a un passaparola formidabile, tale da renderlo il fenomeno horror dello scorso anno.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
Approdato finalmente anche nei cinema italiani, dopo la sua presentazione al Torino Film Festival 2014, It Follows costituisce un recupero obbligato non solo per gli appassionati dell'horror, ma per chiunque ami il cinema. Perché la grande abilità di Mitchell, che nel frattempo si prepara a dirigere Andrew Garfield in un crime thriller dal titolo Under the Silver Lake, consiste nel muoversi su un duplice piano: realizzare un horror elettrizzante e funzionalissimo, in grado di inchiodare lo spettatore alla poltrona, ma al contempo rielaborare i canoni del genere per dar vita a un'opera d'arte gravida di suggestioni, e in cui il linguaggio filmico, in tutte le sue componenti, è utilizzato in maniera superba. Alla riuscita del prodotto, ovviamente, contribuisce anche un soggetto di innegabile impatto, ispirato a Mitchell da un sogno ricorrente della sua infanzia.
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La trama di It Follows (senza rivelare troppi dettagli) ruota infatti attorno a Jay Height (Maika Monroe), una ragazza appena maggiorenne, risvegliata dalla placida noia di una cittadina di provincia del Michigan grazie all'incontro con il coetano Hugh (Jake Weary). Dopo una piacevole serata trascorsa insieme, Jay decide di non dare ascolto ad un sesto senso che la vorrebbe mettere in allerta e, al loro secondo appuntamento, si concede a Hugh sui sedili posteriori della sua auto; la giovane, però, non immagina che da quel momento in poi per lei avrà inizio un autentico incubo, che la costringerà a guardarsi costantemente le spalle in cerca di qualcuno - qualcosa - che la sta seguendo. Partendo da questo pretesto narrativo, proviamo dunque a illustrare quali sono gli elementi di maggior fascino ed interesse del film di Mitchell, e in che modo una piccola produzione indipendente ('piccola' solo nel budget) si è imposta, a giudizio di chi scrive, come il miglior horror dell'ultimo decennio.
1. I volti dell'orrore: uno, nessuno e centomila
Parlavamo, in apertura, di come esprimere l'orrore nel cinema odierno. Il fulcro dell'horror, in fondo, risiede in questa esigenza: racchiudere un'emozione astratta in una forma concreta, tentando di conferire corpo e identità a ciò che la mente umana assimila al concetto di Male assoluto. Non a caso il genere a cui facciamo riferimento è popolato da uno stuolo di 'mostri' ricorrenti: quegli spauracchi, ironicamente raggruppati da Drew Goddard in Quella casa nel bosco, che corrispondono alle varie possibili declinazioni delle nostre paure. Ebbene, in It Follows l'orrore si ammanta al contrario di un'emblematica indefinitezza: è it, il pronome neutro della lingua inglese, la 'cosa' impossibile da coniugare al maschile o al femminile. La parola impiegata, guarda caso, come titolo del più famoso romanzo di Stephen King, in cui il Male poteva indossare fattezze diverse. In It Follows il principio è assai simile, ma con una componente, se possibile, ancora più inquietante: il 'mostro' assume sempre apparenze umane.
"Potrebbe avere l'aspetto di qualcuno che conosci o potrebbe essere uno sconosciuto nella folla", spiega Hugh a Jay, per prepararla alla sfida che la attende: "Qualsiasi cosa le permetta di avvicinarsi a te". Ed è proprio tale ambiguità uno dei tratti distintivi del film: il Male, in It Follows, fa rima con "normale", se non fosse che tale presunta normalità è incrinata, di volta in volta, da un dettaglio raccapricciante. È solo un dettaglio, si badi bene, ma abbastanza da rendere quell'individuo "fuori posto", e pertanto fonte ambulante di angoscia: che si tratti di una condizione di nudità o di abbandono fisico (anziani in camicia da notte, donne che perdono liquido amniotico), di una 'deformità' (un gigante) o, peggio ancora, del doppelgänger di un familiare. E qui la memoria corre immediata a Shining di Stanley Kubrick: cosa c'è di più terrificante di quando il Male si incarna nelle persone più prossime e amate?
2. L'occhio della cinepresa
Abbiamo parlato del "cosa", ma a garantire l'indubbia efficacia del film è anche e soprattutto il "come". E pure in questo It Follows si distingue dagli altri horror contemporanei: nelle peculiarità di una messa in scena mai scontata, ma in cui ciascuna sequenza e ciascuna inquadratura hanno una loro precisa ragion d'essere. In questo genere di pellicole, la regia è solita seguire certe convenzioni, mentre il montaggio - spesso e volentieri frenetico - punta ad alimentare il tasso di adrenalina durante la visione. It Follows, al contrario, segue un'impostazione assai più intrigante: David Robert Mitchell alterna infatti una studiata 'lentezza' (che, attenzione, non coincide nemmeno per un istante con la prolissità o la noia), volta a far immergere il pubblico nel mondo della protagonista, con le sequenze in cui quella tensione costruita gradualmente esplode all'improvviso al manifestarsi di It. Dimostrando una profonda conoscenza delle potenzialità della cinepresa e del suo 'linguaggio', Mitchell ci regala diversi campi lunghi - oltre ad una magistrale ripresa a trecentosessanta gradi - che non hanno solo lo scopo di catturare la cornice del racconto, ma anche quello di metterci in gioco attivamente in qualità di spettatori: ci costringe infatti a guardare veramente, a setacciare l'intero spazio dello schermo alla ricerca di una figura che, passo dopo passo, cammina verso Jay, e quindi pure verso di noi.
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3. L'ambientazione: un racconto fuori dal tempo
Come appena rilevato, a livello registico Mitchell dedica una particolare attenzione agli spazi e alla loro gestione: non solo in termini di suspense, ma per creare un mimetismo quanto più possibile aderente alla realtà dei personaggi, accentuando così l'effetto naturalistico. E l'ambientazione è un elemento essenziale di It Follows: una classica provincia americana composta da quartieri residenziali, villette con giardino, cinema dall'eleganza vintage, ma anche edifici fatiscenti e in abbandono. Mitchell torna a girare nell'area suburbana di Detroit: quella periferia sonnolenta, dai contorni naif, che il regista aveva già dipinto con acuta precisione nel suo lungometraggio d'esordio del 2010, il bellissimo The Myth of the American Sleepover (anch'esso presentato alla Semaine de la Critique di Cannes).
Ma c'è un dato ulteriore di cui tenere conto per It Follows, un dato che sottolinea la dimensione in qualche modo archetipica della vicenda: l'essere un film "fuori dal tempo". It Follows, infatti, è un'opera in cui gli anacronismi convivono in una bizzarra armonia: vi si ritrovano richiami all'America degli anni Ottanta, dalle automobili ai vecchi televisori, così come alla contemporaneità (da segnalare l'imperdibile eBook reader a forma di conchiglia). In quale periodo dunque si svolge il film? In apparenza ai giorni nostri, eppure l'evocazione degli Eighties è quanto mai costante: quasi a voler conferire all'intero racconto un sostrato onirico ma in maniera sottilissima, quasi impercettibile.
4. Musiche fra sogno e incubo: la colonna sonora
Proprio a tal proposito, ovvero la costruzione di un'atmosfera ricollegabile all'immaginario degli anni Ottanta, assume un valore fondamentale la soundtrack della pellicola: un'eccellente partitura a base di sonorità elettroniche, realizzata dal giovane compositore newyorkese Disasterpeace (nome d'arte di Richard Vreeland). Una soundtrack in cui le distorsioni e l'ampio utilizzo del sintetizzatore contribuiscono a veicolare i differenti mood della storia: dalla malinconia sognante di questi adolescenti che si stanno affacciando alla vita adulta all'incalzare della tensione nei momenti clou. I tre minuti del brano strumentale Heels, ad esempio, offrono un perfetto contrappunto musicale al panico provato dalla protagonista al cospetto di It (e la stessa melodia sarà infatti il leitmotiv di ogni sua apparizione), mentre Jay restituisce un romanticismo ovattato quasi da dream pop. Non si tratta di un'iperbole, perciò, se affermiamo che quella di Disasterpeace è senz'altro una delle migliori soundtrack ascoltate al cinema negli ultimi anni.
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5. L'oscura poesia di un coming of age
Dopo i suoi principali aspetti tecnici, già di per sé sufficienti a permetterci di riconoscere la grandezza del film, proviamo ad affrontare però il punto più complesso: di cosa parla davvero It Follows? È la domanda più ardua, nonché quella che ci consente di tuffarci nella meravigliosa densità di un'opera di non semplice definizione. David Robert Mitchell, ad esempio, ha l'intelligenza di non spiegare per filo e per segno la natura della 'maledizione' che colpisce Jay: la creatura che la (in)segue resta avvolta nel mistero, mantenendo i connotati di uno di quegli incubi che continuano a germogliare in un angolo della nostra mente anche dopo il risveglio. Di conseguenza, il film si apre a molteplici livelli di lettura. Uno dei più diffusi (e immediati) identifica It con la minaccia delle malattie veneree, ma sarebbe riduttivo limitare a questa allegoria, e al consueto binomio fra Eros e Thanatos, il significato di un film ben più complicato. In una prospettiva più astratta, l'orrore che si avventa contro Jay dopo il suo rapporto con Hugh si potrebbe riferire a quel senso di attrazione e repulsione legato alla sessualità in generale: la sessualità come rito di passaggio verso una nuova presa di coscienza; come fenomeno dall'impatto - fisico, psicologico, affettivo - non controllabile; come esperienza traumatica nel suo drastico e doloroso troncamento della "età dell'innocenza".
In fondo, allora, It Follows è anche questo: un coming of age che adotta canoni e stilemi del cinema horror per parlare delle ansie della giovinezza in quella fugace parentesi sospesa fra la spensieratezza dell'adolescenza e i turbamenti di un'esistenza ancora in divenire (e nel filone del coming of age, Mitchell aveva già firmato una pellicola immersiva e toccante con The Myth of the American Sleepover). Un film sulla solitudine, sulla paura dei sentimenti e sulla difficoltà di esprimerli in tutta la loro pienezza, come sembrerebbe indicare l'amore non corrisposto dell'adorante Paul (Keir Gilchrist) per Jay, suo impossibile oggetto del desiderio. Un film sull'ineluttabile consapevolezza della mortalità umana e sull'irrazionale "attesa della catastrofe", grandi temi filosofici a cui alludono le citazioni letterarie: durante la scena della lezione alla scuola di Jay, la professoressa recita alcuni versi da Il canto d'amore di J. Alfred Prufrock di T.S. Eliot (versi riguardanti una metafora della morte), mentre Kelly (Lili Sepe), la colta sorellina di Jay, legge ai suoi amici due brani tratti da L'idiota di Fedor Dostoevskij.
C'è poi una scena in particolare, del tutto ininfluente ai fini della trama, ma che racchiude una notevole importanza: è il momento di quiete subito prima della deflagrazione dell'orrore, quando Jay, dopo aver fatto l'amore con Hugh, giace distesa sui sedili dell'auto, facendo scivolare le dita sugli esili fiori di un campo abbandonato. La ragazza, smarrita pigramente nei propri pensieri, riflette sul senso della crescita, sulla percezione del tempo che passa e sulle speranze racchiuse nei suoi cambiamenti. Una riflessione a cui, implicitamente, siamo rimandati anche nell'epilogo, in quell'ultima sequenza assolutamente splendida nella sua oscura, silenziosa poesia. Perché It Follows, prima ancora di essere un magnifico film horror, è innanzitutto un magnifico film: magnifico come può esserlo qualunque opera d'arte capace di indurre lo spettatore a guardare oltre la superficie delle parole e delle immagini, sfidandolo a fornire una propria risposta alle sue innumerevoli, fascinose ambiguità.