It di Stephen King: speranze e paure per il nuovo film tratto dal classico horror

Venticinque anni dopo la miniserie del '90, uno dei romanzi più amati dello scrittore si prepara ad approdare sullo schermo con un remake. La presenza, in cabina di regia, del Cary Fukunaga di True Detective, autorizza a ben sperare; ma la delusione per la vecchia miniserie, specie da parte dei fan dello scrittore, è ancora viva. Cosa ci piacerebbe (ri)trovare, e cosa no, in questo nuovo It?

La notizia che It, forse il più amato tra i romanzi di Stephen King, avrà una trasposizione cinematografica (dopo la criticatissima versione televisiva del 1990, ad opera di Tommy Lee Wallace) non è di oggi. L'annuncio che la Warner Bros. fosse interessata a una nuova incarnazione del poderoso romanzo (oltre 1200 pagine) e del coinvolgimento nel progetto del produttore Dan Lin, risale addirittura al 2009. Ma, mentre in questi 5 anni si è rimasti nella redda delle ipotesi, di un interessamento solo teorico, e di qualche rumor non confermato, solo pochi giorni fa il progetto è sembrato assumere contorni concreti: è di dicembre, infatti, la conferma ufficiale che Cary Fukunaga (regista e produttore esecutivo della serie True Detective) dirigerà il nuovo adattamento, che sarà diviso in due film (per ora il nome di Fukunaga è legato solo al primo, ma le trattative puntano a un suo coinvolgimento per l'intero progetto) su una sceneggiatura scritta insieme a David Kajganich. La pre-produzione del nuovo film dovrebbe iniziare il prossimo marzo, per un effettivo inizio delle riprese in estate.

I fan dello scrittore del Maine, come sempre accade in questi casi, hanno di che rallegrarsi e sperare, ma anche di che essere in apprensione. Tra i tanti romanzi di King, infatti, It è quello che forse in assoluto (insieme a L'ombra dello scorpione, altra opera già rielaborata con risultati discutibili dal piccolo schermo, e in procinto di subire un adattamento cinematografico) riveste la maggiore aura di sacralità. I temi portanti della poetica di King (la concezione dell'orrore come rottura del quotidiano, la riflessione sull'infanzia e sulla crescita, i temi familiari, la descrizione antropologica della provincia americana) sono tutti contenuti nel romanzo; al punto da farne quasi una summa dell'approccio dello scrittore alla stessa arte narrativa. Un nuovo risultato deludente, comprensibilmente, non sarebbe "perdonato" da chi ha ancora l'amaro in bocca per il film televisivo del 1990.

Noi, nell'attesa di poter parlare con cognizione di causa, abbiamo provato a "giocare" un po'; e a immaginare cosa ci piacerebbe e non ci piacerebbe trovare/ritrovare nel nuovo It cinematografico. Alla luce del ricordo di libro e versione televisiva, la risposta a questi quesiti sembrerebbe abbastanza semplice: nelle due categorie, rispettivamente tutto del primo e nulla della seconda. Ma le cose, va sottolineato, non sono mai così semplici: intanto perché, è il caso sempre di ricordarlo, letteratura e cinema sono due linguaggi diversi, e una traduzione letterale della prima nel secondo, anche laddove fosse possibile, non sempre è la scelta più opportuna. E poi, non bisogna dimenticare che il prodotto di Tommy Lee Wallace non solo ha più di un ventennio di vita alle spalle, ma appartiene anche ad un contesto (quello televisivo dei primissimi anni '90) che risulta ormai lontanissimo dal modo attuale di produrre fiction (includendo in questa macro-categoria tanto il cinema, quanto l'attuale tv). Proviamo quindi, ricordando queste premesse, a esprimere qualche auspicio più articolato (in positivo e in negativo) sul nuovo It.

Cosa ci piacerebbe trovare:

La riflessione sull'infanzia, sulla crescita e sull'amicizia

Corey Feldman, Jerry O'Connell, Wil Wheaton e River Phoenix nel film Stand by me - Ricordo di un'estate
Corey Feldman, Jerry O'Connell, Wil Wheaton e River Phoenix nel film Stand by me - Ricordo di un'estate

Il cuore del romanzo di King, e uno dei punti-cardine dell'intera narrativa dello scrittore. It, per chi l'ha letto e amato, è sempre stato molto più di un mero romanzo horror: il libro di King è invece, soprattutto, un trattato sull'infanzia, sulla sua magia, sulla capacità dei bambini di affrontare e vincere l'orrore; oltre che una profonda riflessione sulla crescita, su ciò che si perde e si guadagna nel passaggio all'età adulta, sulla capacità di mantenere, e in certi casi richiamare, quella purezza di sguardo che gli anni appannano e contaminano, ma non cancellano mai del tutto. In più, i protagonisti del romanzo (tutti "Perdenti", come li definisce l'autore, contrassegnati da qualche difficoltà che li rende outsider tra i loro coetanei) trovano proprio in quell'amicizia vera, pura, possibile solo negli anni dell'infanzia, la capacità di reagire alle difficoltà. Un film su It privo di queste caratteristiche, insomma, sarebbe destinato al fallimento in partenza; la stessa miniserie di Wallace risultava fallimentare proprio per la superficialità nell'affrontare questa componente. Al cinema, quando si parla di questo elemento della narrativa kinghiana, viene in mente sempre lo stesso titolo: Stand by me - Ricordo di un'estate di Rob Reiner, un vero e proprio classico oltre che (a tutt'oggi) una delle migliori trasposizioni filmiche da una storia di King. Fukunaga, se non l'ha già fatto, farebbe bene a (ri)guardarsi e studiarsi bene il lavoro di Reiner, per prepararsi a ciò che lo attende nel dar vita al suo It.

La concezione epica dell'orrore

It: un'immagine della miniserie di Tommy Lee Wallace
It: un'immagine della miniserie di Tommy Lee Wallace

Un altro elemento chiave del romanzo, e dell'approccio più generale di King al genere. In un universo con una sua coerenza, che vede le sue storie tutte collegate, lo scrittore di Bangor ha conferito all'orrore, e alla rappresentazione stessa del Male, un carattere in un certo senso epico: It, insieme al Randall Flagg del già citato L'ombra dello scorpione, ne rappresenta una delle incarnazioni principali. Un mostro senza nome (appellato con un pronome che, nella lingua inglese, indica un'identità indeterminata), senza una vera forma (nel romanzo viene specificato che quella del ragno, con cui alla fine si rivela, è solo quella più vicina a ciò che l'uomo è in grado di concepire), incarnazione delle paure infantili e dell'orrore più atavico; contrapposto a una rappresentazione pura, limpida e incontaminata del bene, incarnata proprio dai sette protagonisti. Questa dimensione epica, di scontro tra bene e male, pervade il romanzo in tutta la sua estensione, oltre che gran parte della narrativa di King: portarla al cinema è possibile, ma solo a patto di utilizzare una costruzione narrativa della giusta complessità, e una regia che ne renda al meglio la portata. Fukunaga, considerato il livello dei suoi lavori passati, sembra teoricamente avere le carte in regola in tal senso.

It: Tim Curry in un'immagine della serie tv del 1990
It: Tim Curry in un'immagine della serie tv del 1990

Un "mostro" efficace e spaventoso

Qui dobbiamo chiamare in causa uno dei pochissimi pregi dell'adattamento del 1990, auspicando che Fukunaga sappia fare una scelta di uguale efficacia: l'interpretazione di Tim Curry nel ruolo del clown Pennywise, incarnazione "terrena" del mostro. Curry, già indimenticato protagonista di The Rocky Horror Picture Show, offrì una performance realmente inquietante, tale persino da far passare in secondo piano, in alcuni punti, la piattezza e la generale mancanza di tensione del prodotto di Wallace. Poiché Pennywise è la forma in cui It si rivela ai piccoli protagonisti, ovvero gli unici (nella frazione di storia dedicata alla loro infanzia) in grado di vederlo, un interprete efficace è d'obbligo: anche perché l'intuizione originale di King (un clown, naturale amico dei bambini, come mostro assassino) ha già in nuce un suo potenziale cinematografico. Viene da chiedersi cosa ne sarebbe stato della miniserie di Wallace se all'interpretazione di Curry si fosse accompagnata una scrittura e una messa in scena dello stesso livello. C'è, ora, modo di rimediare.

Interpreti all'altezza

It: John Ritter e Richard Thomas in una scena della miniserie del 1990
It: John Ritter e Richard Thomas in una scena della miniserie del 1990

Non di solo Pennywise, tuttavia, dovrà inevitabilmente vivere il cast dell'It cinematografico. Un altro punto debole della versione televisiva, infatti, era la quasi totale assenza di interpreti carismatici, sia all'interno del cast di ragazzini, sia di quello di adulti: con qualche eccezione (il John Ritter di Tre cuori in affitto nel ruolo del Ben Hascom adulto, ad esempio) gli interpreti della miniserie di Wallace stentavano a farsi ricordare per le loro prove, a causa anche di personaggi costruiti in modo approssimativo e superficiale dalla sceneggiatura. Non sono trapelati, per ora, possibili nomi di interpreti legati al progetto, e non ci azzardiamo nemmeno a fare ipotesi in tal senso: ci limitiamo a sottolineare che, dato il peso dei singoli personaggi (e delle loro storie personali) all'interno del romanzo, e data l'estensione complessiva del prodotto (due film, verosimilmente dalla durata ragguardevole) un buon lavoro di casting rappresenta già una buona parte della riuscita del progetto. Chi scrive fa solo un auspicio, del tutto personale, e che non necessariamente si tradurrà in realtà: dato il tipo di personaggi presentato dal romanzo ("Perdenti", che hanno attraversato l'età adulta senza fare i conti con i propri traumi), dei volti troppo noti non sarebbero forse la scelta migliore per favorire l'identificazione. Chissà se il ragionamento di Fukunaga, e della produzione, si orienterà anch'esso in tal senso.

L'ambientazione anni '50 / '80

It: un'immagine della miniserie del 1990
It: un'immagine della miniserie del 1990

Nel romanzo non mancava nemmeno una riflessione, neanche troppo velata, sulle trasformazioni occorse nella società americana nei 27 anni che dividevano la parte ambientata nel 1958 e quella del 1985. La prima era contrassegnata dai pezzi di rock and roll di Elvis Presley, Jerry Lee Lewis e Chuck Berry, avidamente ascoltati dai Perdenti, dalla mentalità retrograda della provincia, dal razzismo di cui erano vittime, da bambini, Mike Hanlon e Stan Uris (rispettivamente nero ed ebreo), dal modello di educazione chiuso e restrittivo a cui, in misure diverse, tutti e sette i protagonisti erano sottoposti; la seconda parte vedeva invece il prevalere della musica hard rock ed heavy metal, i tour dei Judas Priest e degli Iron Maiden che raggiungevano la cittadina di Derry, unitamente al trionfo dello yuppismo e del rampantismo anni '80, di cui il sadico e disturbato marito di Beverly Marsh era un perfetto rappresentante. Ciò che auspichiamo, ora (ma, anche in questo caso, non c'è affatto da esserne certi) è che la sceneggiatura abbia mantenuto lo stesso setting temporale della storia originale, senza riambientare il tutto nel presente (trasformando, forzatamente, gli anni '50 negli '80, e gli stessi '80 nel decennio attuale). Una storia come quella di It, a nostro avviso, vive anche della sua collocazione temporale.

It: una sequenza della miniserie di Tommy Lee Wallace
It: una sequenza della miniserie di Tommy Lee Wallace

Cosa speriamo di non ritrovare

La sbrigatività

Era una delle principali caratteristiche negative della miniserie del 1990, e resta una trappola da evitare per questo nuovo adattamento. A chi allora guardò il tv movie di Wallace, dopo aver fruito della complessa e articolata costruzione narrativa di King, inevitabilmente veniva spontanea una domanda: "E allora? Tutto qua?" Parte del problema, ovviamente, era legato alla limitata estensione temporale del prodotto: due episodi da circa un'ora e mezza l'uno, mentre per i due nuovi film in arrivo, se si conoscono un po' i tempi del cinema moderno, è lecito aspettarsi una durata doppia o giù di lì. Ma non è, ovviamente, una semplice questione di metraggio: la miniserie era fortemente limitata dal suo formato, ma non solo. Persino in tre ore, era probabilmente possibile creare una maggiore empatia con i personaggi, con una scrittura più pregnante. Un elemento che allora ci lasciò perplessi (e che sembra destinato ad essere confermato anche qui) è inoltre la rigida suddivisione della storia, laddove in King c'era un continuo alternarsi dei due piani temporali: nel tv movie di Wallace, invece (come sarà, a quanto pare, nei due film in arrivo) la prima parte era esclusivamente dedicata all'infanzia dei protagonisti, mentre la seconda si concentrava sul presente. Anche in questo caso, una divisione in due film impone probabilmente (o almeno suggerisce fortemente) una scelta in questo senso. Chi scrive mantiene comunque le sue perplessità su questa impostazione; ma saranno i risultati, ovviamente, a dire se queste fossero giustificate o meno.

La limitazione dell'intreccio alla sola componente horror

Stephen King in una scena di Pet Sematary
Stephen King in una scena di Pet Sematary

Questo timore, se vogliamo, adombra il contraltare di quella complessità, e di quell'insieme di riflessioni sui temi portanti della narrativa di King (l'infanzia, la crescita, la violenza del quotidiano, l'amicizia) che avevano innervato il romanzo, e che auspichiamo, ovviamente, di ritrovare al cinema. Non solo la miniserie del 1990 (limitata, come abbiamo visto, anche dal suo formato) ma molti adattamenti cinematografici di King hanno scelto di sfrondare la componente più psicologica della sua narrativa, concentrandosi unicamente (o prevalentemente) sull'intreccio orrorifico. Film che ricordiamo anche con affetto (Cujo di Lewis Teague, Cimitero vivente di Mary Lambert) insieme a veri e propri fallimenti (Grano rosso sangue, La creatura del cimitero) soffrono, in misura diversa, proprio di questo limite. It, limitato alla sola componente sovrannaturale, si ridurrebbe a una storia horror come tante; chi ha letto il romanzo, e ne conserva memoria, di questo si rende ben conto. Vogliamo ritrovare al cinema i Perdenti, e vogliamo, innanzitutto, innamorarci di nuovo della loro infanzia, della magia della loro amicizia, appassionarci e spaventarci ancora coi misteri della loro crescita. Di nuovo, il pensiero (e il "consiglio" - virgolette d'obbligo - per Fukunaga) va a Rob Reiner e al suo Stand By Me. Questo aspetto della poetica di Stephen King è tutto racchiuso lì.

L'autocensura

It: una spaventosa immagine della miniserie di Tommy Lee Wallace
It: una spaventosa immagine della miniserie di Tommy Lee Wallace

Elemento delicato, che limitò fortemente (e forse inevitabilmente) la versione di Wallace, ma i cui rischi non vanno trascurati in questo nuovo adattamento. Nel romanzo di King c'era sangue in abbondanza, venivano raccontati senza problemi omicidi di bambini, e c'erano inoltre alcuni episodi sessualmente piuttosto espliciti: giova ricordare, a questo proposito, una delle ultime sequenze del libro ambientate nel 1958, in cui la piccola Beverly Marsh, per rafforzare il legame che la unisce al gruppo dei Perdenti, si unisce ad ognuno di loro in un rapporto sessuale. Non pretendiamo, ovviamente, che tale sequenza sia inserita nel nuovo adattamento, né che questo si caratterizzi per un'impostazione eccessivamente gore e truculenta: It è anche e soprattutto altro, come abbiamo appena ricordato. Resta il fatto che le due componenti del romanzo, quella più cupa e quella più magica e luminosa, vadano entrambe rese senza remore o paure; e che i diversi elementi della storia di King (anche quelli più scabrosi - e non parliamo ovviamente solo del sesso) non vadano "nascosti". Nel romanzo c'è la componente sessuale come riferimento, necessario, alla crescita dei protagonisti; e c'è inoltre violenza, intendendo con questo termine sia quella fantastica compiuta da Pennywise, sia quella realistica che viene (principalmente) dall'istituzione familiare. In entrambi i casi, limitare l'impatto di tali elementi significherebbe inevitabilmente snaturare la storia.

Il ragno

It: il ragno nel finale della miniserie di Tommy Lee Wallace
It: il ragno nel finale della miniserie di Tommy Lee Wallace

Come abbiamo già ricordato, nel romanzo la creatura si rivela infine ai protagonisti con la forma di un enorme ragno; lasciando però intendere che, sebbene tra le forme concepibili dalla mente umana, quest'ultima sia quella più vicina al suo vero aspetto, la reale forma del mostro sia diversa e metafisica, di fatto inconoscibile (i lettori ricorderanno, a tale proposito, il riferimento ai "Pozzi Neri"). La miniserie del '90 aveva sfrondato tutti questi elementi, identificando alla fine It proprio con un ragno gigante; eliminando quindi, o comunque semplificando fortemente, l'aspetto metafisico della sua natura (che King avrebbe poi ulteriormente approfondito nella saga della Torre Nera). Quello che ovviamente vorremmo evitare di vedere, nella nuova versione, è proprio un'analoga rivelazione (che nel film tv assumeva un tono un po' trash). Se è vero che, per Fukunaga, avventurarsi con le immagini nel terreno dei Pozzi Neri sarebbe probabilmente pericoloso (si tratterebbe di filmare ciò che la mente non può concepire: una bella contraddizione) sicuramente è possibile suggerire, alludere, far risaltare la natura del mostro come qualcosa di più complesso di una mera creatura fisica. Ciò renderebbe sicuramente più giustizia al testo, rispetto alla rivelazione da b-movie che Wallace ci propinò nel '90.

Una lettura troppo letterale del testo

Stephen King, un ritratto in bianco e nero
Stephen King, un ritratto in bianco e nero

Questo è un altro degli annosi, ma sempre presenti, problemi degli adattamenti da King. Cinema e letteratura, lo abbiamo detto in apertura, sono due medium con regole e peculiarità diverse: trasportare, in modo letterale, una fabula dall'uno all'altro, non sempre premia. Lo sapeva bene Stanley Kubrick, che intuì correttamente (malgrado l'ostilità dello stesso scrittore) che una versione letterale di Shining, al cinema, non avrebbe mai funzionato. E lo capì benissimo anche David Cronenberg, che modificò anche in modo sostanziale l'intreccio de La zona morta, rendendone però in pieno temi e motivi portanti. Non lo colsero affatto, invece, registi come Mark L. Lester col suo dimenticabile Fenomeni paranormali incontrollabili, Fraser Clarke Heston con l'anonimo Cose preziose, Tom Holland col suo pedantemente letterale adattamento televisivo de I Langolieri. Tutti prodotti sostanzialmente rispettosi dell'intreccio raccontato dallo scrittore, nelle rispettive storie: tutti, però, ugualmente piatti nella narrazione e nella presentazione dei personaggi, lontanissimi nel suscitare nello spettatore un coinvolgimento analogo a quello provocato dalle versioni cartacee. In un progetto come quello di It, più che mai, questa trappola va evitata: non avendo paura, anche, di modificare alcuni eventi dell'intreccio, laddove si ritenesse che la loro resa sullo schermo non sarebbe adeguata. Non ci scandalizzeremo se lo scontro dei Perdenti col loro nemico non seguirà per filo e per segno quanto raccontato da King, se la cronologia verrà alterata, se qualche evento secondario verrà tralasciato; così come non ci scandalizzeremo se le biografie dei sette protagonisti non coincideranno esattamente con quelle dei loro omologhi cartacei. Il cuore della storia, la sostanza, stanno altrove: riuscire ad estrarli, e a trasportarli in modo credibile sullo schermo, sarà per il regista la vera sfida.