Isabelle Huppert regina di Locarno 2011

Incontro con la straordinaria interprete de La pianista, musa di tanti autori francesi che, col suo talento e il coraggio interpretativo, è divenuta una delle più popolari attrici europee.

Sensuale e volitiva, sensibile ed enigmatica, musa dei più importanti registi francesi, amatissima anche nel circuito internazionale. Vista di persona, Isabelle Huppert appare come una minuta donna di ferro sicura di sé che esibisce le sue rughe di cinquantaseienne con grazia e determinazione. Niente a che vedere con certe star plastificate che gravitano in quel di Hollywood. Ultima di cinque figli, cresciuta in una famiglia borghese che l'ha educata all'arte e alla bellezza, la rossa Isabelle è diventata l'attrice francese più premiata e stimata e ha alle spalle una carriera incredibilmente ricca. Il suo percorso artistico è legato a quello di nomi come Claude Chabrol, Maurice Pialat, Claude Sautet, Benoît Jacquot, Michael Cimino e François Ozon, autori che spesso e volentieri le hanno affidato ruoli nerissimi di donna torbida, perversa, affetta da morbose pulsioni o afflitta dalla pazzia. Sarà per questo motivo che la Huppert ci tiene a ribadire la distinzione tra i personaggi che interpreta e il suo vero io, mettendo subito in chiaro di essere una di quegli attori dotati di grande equilibrio interiore che non si fanno trascinare nel vortice dei loro personaggi. Sarà, ma viste dall'esterno, la sua vita e la sua arte sembrano fluire in un unicum inarrestabile. Per una volta Isabelle Huppert è ospite a Locarno non per presentare un nuovo lavoro, ma per ricevere un importante riconoscimento, l'Excellence Award Moët & Chandon. L'occasione è ghiotta per un incontro pubblico, moderato dal direttore Olivier Pere, con la complessa Isabelle che si dimostra desiderosa di condividere col pubblico le sue molteplici esperienze lavorative.

Scorrendo la lunga lista di titoli che hai interpretato, si ha quasi la sensazione di trovarsi di fronte a una biografia narrata attraverso il cinema. Un puzzle che si va a comporre film dopo film. Questa è una cosa rara.

Isabelle Huppert: Effettivamente è vero, è una cosa che non capita spesso agli attori, ma a me si. E' come per la scrittura autobiografica che accompagna uno scrittore in tutta la sua carriera. Però non me ne sono resa conto mentre lo facevo perché non sono mai stata un'appassionata di cinema, perciò non posseggo le chiavi di lettura necessarie. Ciò che mi ha sempre interessato realmente nella settima arte è lo sguardo. Ho incontrato prima la macchina da presa e solo in un secondo momento il cinema. In seguito mi sono dedicata a lungo anche al teatro, ma l'ho fatto da attrice di cinema. C'è una differenza profonda perché il cinema è il luogo dell'incontro con se stessi, mentre il teatro è il luogo dell'incontro con il testo e il linguaggio.

##Quale è stato il momento di svolta nella tua carriera?## Sicuramente La merlettaia. Avevo già fatto altre cose, ma questo film ha rappresentato un punto di svolta perché ha avuto successo e ha attirato su di me l'attenzione di Chabrol e di altri registi. Era un ruolo molto interessante, molto profondo, diverso dai ruoli superficiali di moda all'epoca.

Se cerchiamo delle linee guida nel corpus di opere da te interpretato la prima cosa che salta agli occhi è la volontà dei registi di affidarti ruoli estremi. Sei divenuta celebre interpretando donne violente, folli, psicotiche.

La follia è uno di quei sentimenti che appartengono a tutti, ma sono repressi perché testimoniano il male di vivere, anzi, di sopravvivere. Purtroppo io ho difficoltà a parlare del mio lavoro in tal senso. Da questo punto di vista non lo ritengo neppure un lavoro perché quello che faccio è cercare di entrare nel personaggio. Una volta che ho scelto il ruolo, il resto è fatto.

Cosa significa per te ricevere l'Excellence Award a Locarno?

Sono molto felice. In realtà non ho ricevuto molti premi come questo, forse a scuola, perciò per me è un grande onore. Locarno è il luogo in cui è stato presentato il primo film di Chabrol, è un grande festival pieno di cinefili. Sono lieta di essere qui perché per me Locarno rappresenta l'amore per il grande cinema.

A febbraio è scomparsa una grande icona francese, Annie Girardot. Che ricordo ne hai?

Ho lavorato con Annie due volte. Era una donna molto autoritaria e sapeva quello che faceva. Anche questo è essere un'attrice. Quando l'ho rivista ne La pianista era sempre un'attrice geniale, anche se più fragile.

Il cinema è più importante della vita?

Direi di no. Il cinema non è un oggetto morto. Semmai la confusione nasce dal fatto che il cinema ha la capacità di rappresentare la vera vita sullo schermo quindi si tende a confondere le due cose. Quando interpretiamo un personaggio non si è veramente lui, però veniamo visti come tali dal pubblico. Per me le due cose non sono separate.

Parlaci del tuo rapporto con Werner Schroeter.

Werner era un grande cinesta e un poeta. Il suo lavoro era straordinario. Non molti regosti possono essere considerati dei poeti. Oltre a Schroeter mi viene in mente Claire Denis. Questi autori hanno un modo speciale di percepire le cose e mostrarle al cinema. Io e Werner avevamo due caratteri opposti, eravamo profondamente diversi eppure tra di noi c'era un punto d'incontro. Sul set Werner mi ha dato una libertà e una fiducia incredibili.

Quale è il tuo rapporto con l'immagine?

Il narcisismo che si sperimenta facendo l'attore è qualcosa di difficile da spiegare. E' il voler ricominciare sempre, è legato alla frustrazione e alle tante nevrosi dell'artista. Per fortuna io ho delle basi solide e non corro il rischio di perdermi.

Recitare un personaggio realmente esistito, del presente o del passato, per te sarebbe una sfida recitativa interessante?

Il biopic è un genere senza dubbio interessante, ma ha dei limiti. In passato mi è capitato di interpretare personaggi realmente esistiti, per esempio Marie Curie e altri, però è sicuramente più complicato che creare da zero perchè hai di fronte un modello a cui fare riferimento. Chissà, forse un giorno potrei interpretare un biopic sulla mia vita.

Oltre a interpretare personaggi oscuri e nevrotici, molte volte ti è capitato di morire sullo schermo. Come mai opti per queste scelte estreme?

Sono morta così spesso al cinema? Forse è vero, ricordo che ne La signora delle camelie mi è piaciuto molto morire. La morte è qualcosa che ha a che fare con la vita. Ne La pianista la situazione è ancora più complicata perché non muoio. Ossessionata dal suicidio, cerco di morire inutilmente come un'eroina romantica, ma non mi riesce e questo è terribile.

A proposito de La pianista, come è stato lavorare con Michael Haneke?

Haneke è un maestro, capace di fare un cinema coraggioso e talvolta estremo. Haneke esplicita la violenza, ma lo fa meno di quanto si pensi. E' più difficile per uno spettatore vedere le scene più crude dei suoi film, che per un attore interpretarle. Haneke mette in scena la violenza, ma non la esibisce. Non lo fa neppure nel contestato Funny Games. E' la sua etica.

E Chabrol?

In molte interviste Chabrol ha dichiarato che noi due siamo una vecchia coppia. Il nostro è stato un rapporto che funzionava anche se non so spiegarne il motivo. Io lo ammiravo moltissimo intellettualmente. Era un eclettico amante della musica e della letteratura, ma non ostentava mai la sua cultura. Ero felice di stare con lui e parlavamo molto per essere certi di far funzionare bene le cose.