Qualsiasi tipo di narrazione, meglio se intelligente e stimolante, è una forma di terapia psicanalitica: dai miti fondanti della civiltà, dalle fiabe moraleggianti, fino alle articolate e fluviali serie TV che ci incantano oggi, le storie ci sempre mettono di fronte ai nostri desideri, ai nostri limiti, alle nostre paure; mettono in discussione il nostro rapporto con gli altri e con il mondo, oltre che con il mistero insondabile della nostra interiorità. Raccontando ci raccontiamo e ci reinventiamo.
Nel 2005, l'autore e critico israeliano Hagai Levi ha portato tutto tutto questo a un livello inedito BeTipul, uno show che metteva la psicanalisi e lo psicanalista al centro del racconto lanciando un'idea che è stata riproposta in diciotto vesti diverse in ben diciotto paesi: se lo In Treatment più famoso al mondo è stato quello americano con protagonista Gabriel Byrne, il preferito di Levi è proprio il gioiellino di Sky e Wildside. Come ci conferma in occasione del lancio in grande stile di questa stagione finale, che inizierà ad andare in onda il 25 marzo e lo stesso giorno sarà interamente disponibile sul servizio Box Sets per gli amanti del binge watching.
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Una poltrona scomoda
"L'ho detto e lo confermo", dice Levi. "La versione italiana è la migliore. E vi ammiro davvero per essere arrivati a farne una terza stagione. È un lavoro durissimo e noi con BeTipul ci siamo fermati alla seconda. L'attore che ha lavorato con me, nel ruolo del protagonista, Assi Dayan, chiamava la poltrona dell'analista 'la sedia elettrica'. Purtroppo è venuto a mancare un paio d'anni fa. Spero non per colpa mia!" "Sono particolarmente curioso di vedere questa terza stagione - continua Hagai Levi - anche per l'introduzione di due personaggi completamente nuovi, non basati su quelli di Be Tipul. Quello è che apprezzo della versione italiana è il lavoro degli sceneggiatori Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo, Alessandro Fabbri, Ilaria Bernardini e Giacomo Durzi, che hanno saputo prendere degli archetipi e adattarli in maniera credibile a un altro contesto culturale; mi aspetto ottime cose da questo lavoro che sarà particolarmente originale."
I due registi dello show - perché per questa terza stagione c'è un tandem: al veterano Saverio Costanzo si affianca Edoardo Gabbriellini - confermano la difficoltà di lavorare su un set unico come quello di In Treatment, un serial basato su lunghi dialoghi, estenuanti conversazioni, silenzi pesantissimi e gesti rivelatori. "L'atmosfera raccolta sul set sicuramente aiuta, ma è vero che è stato un lavoro difficile, anche perché si corre molto. Spesso ho chiesto agli attori di fare take anche di 30-35 minuti e questo puoi ottenerlo solo facendo tantissime prove: alla fine l'attore conosce talmente bene il testo e il personaggio, che si può dire che si diriga da solo, sa gestire i propri tempi senza bisogno di indicazioni. Chissà, si sarebbe potuta fare una puntata in diretta di In Treatment."
Gabbriellini invece ci racconta qualcosa del suo ingresso a show avviato: "È stato come unirmi a una coreografia, è bastato prendere il ritmo giusto, assorbire la grammatica unica di In Treatment."
Atto finale, senza rimpianti
Di fronte alla grande efficacia scenica e alla capacità di generare curiosità del montaggio introduttivo mostrato alla stampa, qualcuno si domanda "Perché fermarsi? Questo è uno show che potrebbe andare avanti potenzialmente molto a lungo - nuovi pazienti, nuove storie" Ma i dirigenti di Sky sono i primi a mostrare una certa (apprezzabile) riluttanza verso l'idea di sfruttare un franchise all'infinito fino a snaturarlo, e lo stesso Hagai Levi sottolinea il fatto che In Treatment non è uno show sui pazienti, ma sullo psicanalista: "La storia è quella di questo terapeuta, del suo percorso, dei suoi dubbi sulla sua vita e sulla sua professione. Non può andare avanti in eterno, ha una naturale conclusione che per me con BeTipul era arrivata con la seconda stagione, e sono felice che anche qui in Italia si sia prese la decisione giusta."
"E poi non è vero che finisce qui - interviene Sergio Castellitto - I dati di "ascolto" di In Treatment (uno degli show di Sky più visti in streaming e con il servizio on demand, anche in maniera non lineare n.d.R.) ci dimostrano che la fruizione degli spettatori è cambiata. Ci sono 105 episodi, come 105 pagine di un grande libro che possiamo sfogliare e rileggere per scoprire nuovi dettagli e nuove sfumature che la prima volta non abbiamo colto... 105 chiacchiere, 105 pianti."
Sergio e gli altri
Non che la cosa ci colga di sorpresa, ma è lui, Castellitto, il mattatore della conferenza stampa, anche grazie a un paio di divertenti "battibecchi" con Saverio Costanzo ("Sono un attore docile", "Docile mi pare un'esagerazione" e "Il cambio asse! Il cambio asse è fondamentale per In Treatment"). La sua soddisfazione per questa esperienza è evidente: "La serie si conclude, diversamente dalla psicoanalisi, che non finisce mai. Tutti gli attori sono stati straordinari, ma è più facile quando si lavoro a un progetto scritto così bene; è la scrittura è troppo spesso l'elemento che soffre nel cinema italiano. Qui non c'è quasi azione, lo spettacolo è nelle parole, e questo è particolarmente importante." "È stata dura, certo, ma quanto mi sono divertito. Anche nel cercare il dolore, la sofferenza, mi sono divertito. I personaggi sono come cavalli di Troia in cui ci introduciamo per raccontare ciò che pensiamo attraverso parole scritte da altri."
Dice poi Margherita Buy, che in In Treatment 3 interpreta la paziente del lunedì, l'attrice in crisi Rita: "Una bella sfida con me stessa. E una grande prova di memoria. Girare In Treatment era un po' come trovarsi di fronte una specie di plotone di esecuzione. Dopo questo qualsiasi cosa mi sembrerà più facile!" Giulia Michelini ci parla della sua Bianca, una giovane madre della periferia romana che soffre di attacchi di panico e il primo dei due personaggi "inediti" di questo ciclo di episodi: "Bianca è come un fiume in piane che il dottor Mari deve cercare di arginare in qualche modo. Il personaggio era perfetto per me scritto benissimo e stava in piedi da sé, con i registi abbiamo lavorato, spero con successo, sul 'colore'. È stato un'esperienza appagante e allo stesso tempo frustrante."
Domenico Diele è Padre Riccardo, sacerdote e teologo: l'altro personaggio creato appositamente per la versione italiana dello show (sulla base di quanto abbiamo visto, forse il paziente più intrigante della settimana. "Un religioso che si trova ad affrontare un confessionale in cui i ruoli sono invertiti, di fronte a una delle figure più rappresentative del laicismo come lo psicanalista", pondera l'attore senese. "Ci sono due sistemi diametralmente opposti che si fronteggiano e si confrontano, e questo rende il mio ruolo particolarmente interessante."
Il paziente per il quale il dottor Mari ha il maggiore coinvolgimento emotivo è come sempre quello più giovane, l'adolescente gay Luca, un ragazzo solitario e aggressivo che fatica a comunicare coi genitori adottivi e affronta un momento critico quando viene contattato dalla madre naturale. Ci dice il suo interprete, il venticinquenne figlio d'arte Brenno Placido: "Luca mette in difficoltà il dottor Mari. Dice cose che forse gli altri non possono permettersi di dire. Lavorare con un testo come questo, così pieno e forte, aiuta davvero a tirare fuori tutto quello che hai dentro come attore".
Assente all'incontro stampa perché impegnata a teatro Giovanna Mezzogiorno; a lei spetta il ruolo della nuova terapeuta di Mari, dopo la traumatica rottura con la mentore interpretata da Licia Maglietta nelle prime due stagioni. A lei tocca il compito di dirimere e scandagliare gli incubi e il disincanto di Giovanni Mari; una prospettiva abbastanza inquietante, eppure non vediamo l'ora di accomodarci sulla "sedia elettrica" accanto a loro.