Ha segnato il debutto del legal thriller nel panorama della serialità italiana, ne ha adottato il linguaggio e lo ha trasferito dentro una delle nostre aule di tribunale, "un lungo film appassionante, intrigante che si adatta molto alla costruzione della serie tv". Così il direttore di Canale 5 Giancarlo Scheri ha salutato Il processo, la nuova fiction targata Mediaset che dal 29 novembre accompagna le serate del pubblico della rete ammiraglia. Un esperimento che non avrebbe nulla da invidiare alle serie americane, che per anni hanno nutrito il nostro immaginario collettivo sui legal drama; peccato che punita dai bassi ascolti (appena 2.138.000 telespettatori al suo esordio venerdì scorso) la serie sarà costretta a chiudere battenti in anticipo dopo tre puntate invece delle quattro previste. Un intervento che non influenzerà la trama: a partire dal 6 dicembre infatti, ogni serata sarà composta da tre episodi e non più da due come da programmazione.
Il processo, la fiction con Vittoria Puccini finisce prima per colpa degli ascolti bassi
Una serie dal respiro internazionale
Diretto da Stefano Lodovichi sulla base di un soggetto scritto da Alessandro Fabbri, Enrico Audenino e Laura Colella e prodotto da RTI - Lucky Red, Il processo è nato da una serie di incontri fortunati, come ha raccontato Daniele Cesarano, direttore fiction Mediaset: "Io e Serena (produttore delegato di Lucky Red, n.d.r.) ci incontrammo al bar sotto casa, voleva convincermi a esplorare il legal thriller, che però secondo me non si adattava a una serie italiana. Lessi il soggetto di Alessandro Fabbri con la volontà di stroncarlo, invece mi accorsi che era scritto benissimo. Erano riusciti a realizzare un racconto su un processo facendolo funzionare, una storia in cui vuoi andare sempre avanti per capire cosa succede".
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Al centro della vicenda infatti c'è l'omicidio brutale di una diciassettenne, Angela, e la ricerca della verità a caccia del colpevole durerà fino all'ultimo episodio. Attorno si muove un coro di personaggi guidati dalla PM Elena Guerra (Vittoria Puccini) e dall'avvocato difensore Ruggero Barone (Francesca Scianna), che combatteranno la loro personale battaglia per la giustizia in un'aula di tribunale a colpi di testimonianze, prove, arringhe e passi falsi.
A convincere il regista è stata la sensazione di trovarsi davanti a "una di quelle serie che mi piacerebbe guardare. Si trova sullo stesso livello di quelle americane e non ha bisogno di rimanere confinata nel locale. È una storia nuova, raccontata attraverso due sguardi al di fuori dei quali non esiste nulla e che ho voluto estremizzare. La domanda che ci siamo posti è stata: 'Esiste davvero una verità quando ci sono due punti di vista così estremi?'".
Fondamentale per Lodovichi poi, il fatto che "anche i ruoli minori sembrano meritarsi la dignità di uno spin-off", come ribadito da Camilla Filippi, che interpreta la presunta colpevole Linda: "Tutti i personaggi all'inizio appaiono in un modo, ma come succede nella realtà hanno dietro tanti strati e man mano che la narrazione va aventi ne conosciamo un pezzo in più, cambia la prospettiva da cui li guardi. Questo è un legal che ti tiene con il fiato sospeso, mentre lo leggevo non vedevo l'ora di andare avanti, io poi sono una grande fan di cronaca, seguo qualsiasi processo".
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Vittoria Puccini e Francesco Scianna, il lavoro sul reale
A Vittoria Puccini, che interpreta l'integerrima Elena Guerra, Il processo invece ha regalato finalmente la possibilità di indossare la toga: "Mi ero iscritta a Giurisprudenza ma non ho mai dato un esame, quando ho indossato la toga ho realizzato quello che nella vita non ero riuscita a fare. - ha detto - La legge mi ha sempre interessato, vengo da una famiglia di avvocati e professori di diritto da parte di mio padre e mio nonno, da bambina guardavo i processi in tv, mi incuriosivano molto". Per il ruolo che la vede vestire i panni di una donna apparentemente dura e tutta d'un pezzo, ha studiato molto partendo dalla realtà, in particolare da un documentario sul caso di Yara Gambirasio: "Elena Guerra non è l'iconica immagine della PM in tailleur, ma è fuori dagli schemi. Ho parlato con molti magistrati, sia uomini che donne e una volta un PM uomo mi ha confessato che le donne sono più brave perché più meticolose degli uomini. Ho scoperto inoltre che questo lavoro richiede intuito e intelligenza, devi saper essere dolce o aggressivo a seconda di chi hai davanti".
Sul reale è basato anche il lavoro di Francesco Scianna, che nel suo mestiere non ha mai cercato di ispirarsi ad altri attori: "Faccio un altro tipo di ricerca - ha confessato - Ho visto dei documentari e mi sono confrontato con un avvocato penalista, che mi ha spiegato alcune dinamiche dei processi. Ruggero non subisce il campo minato, ma usa la strategia dello show per confondere le carte. Per interpretarlo ho attinto da immagini mie e delle ricerche personali. È un essere umano che si porta dietro una storia, viene da Napoli e ha subito un'ingiustizia".
La sfida del legal thriller italiano
La vera scommessa della serie, soprattutto per gli sceneggiatori, è stata riuscire a realizzare un legal italiano che fosse credibile: "Scrivere un legal è un casino e scriverne uno italiano è difficilissimo. Bisognava inventarsi una formula, perché avevamo tanti riferimenti di libri e film, ma non c'era una serie legal ambientata in Italia. - ha spiegato Alessandro Fabbri - Qui poi, i colpi di scena e le svolte emergono durante il processo e non con le indagini, come siamo abituati a vedere da spettatori. Dovevamo quindi inventarci un meccanismo che potesse far funzionare questa storia e superare le difficoltà date dal fatto che il processo italiano ha delle regole diverse da quello americano. La prima domanda allora è stata: 'Cos'è la giustizia?'. Elena Guerra dice che è un meccanismo, un insieme di regole da seguire: più le segui, più giustizia sarà fatta. La nostra riflessione chiave invece è stata che anche la giustizia è fatta di persone e può fallire, è piena di difetti e di motivi personali laddove invece ce ne dovrebbero essere solo di professionali". Da qui l'idea di raccontare semplicemente gli sguardi dei due sfidanti, che si faranno guerra dall'inizio alla fine della serie guidati "da motivi personali che distorcono il loro ruolo".