Da Il mostro della cripta a Diabolik, il nuovo cinema di genere in Italia

La commedia horror Il mostro della cripta si inserisce all'interno di un filone che, negli ultimi anni, sta tentando di rilanciare il cinema di genere nel panorama italiano.

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Il mostro della cripta: Tobia De Angelis in una scena del film

È ancora possibile un cinema di genere in Italia? È l'interrogativo che, occasionalmente, torna a emergere quando registi e sceneggiatori decidono di addentrarsi in zone solitamente non troppo frequentate dall'industria cinematografica italiana, come la fantascienza, l'horror e il comic movie. Il mostro della cripta, il film di Daniele Misischia nelle nostre sale dal 12 agosto, dopo la sua presentazione al Festival di Locarno, è l'ultimo esempio, in ordine di tempo, di una "nuova onda" di pellicole che, nell'arco degli ultimi due anni, si sono inserite a pieno titolo nel suddetto filone: una sorta di 'anomalia' in un panorama produttivo che, per tradizione, predilige invece le categorie della commedia e del dramma (tutt'al più nelle declinazioni del poliziesco e del thriller), e che al contrario continua a mostrarsi piuttosto diffidente rispetto al cosiddetto cinema di genere. Che qualcosa stia finalmente per cambiare?

Il mostro della cripta: piccoli brividi dagli anni Ottanta

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Il Mostro della Cripta: un'immagine cruenta del film

Rispetto all'horror tout court, risulta ancor più insolita l'operazione condotta da Daniele Misischia con Il mostro della cripta, co-prodotto dai Manetti Bros. da un loro stesso soggetto, sviluppato insieme a Misischia e ad Alessandro Pondi, Paolo Logli e Cristiano Ciccotti. Un soggetto che, sulla scia della fascinazione per gli anni Ottanta rilanciata alla grande da Stranger Things, ci trasporta nel 1988 a Bobbio, il paese natale di Marco Bellocchio, in una pigra estate che si trascina fra la noia dei teenager del luogo e i loro tentativi di evasione dalla realtà. In questo scenario suggestivo ma circoscritto, che in apparenza non offre troppi stimoli all'immaginazione dei protagonisti, lo spunto per qualche brivido arriva all'improvviso da un fumetto: un fumetto che sembra alludere proprio alla loro tranquilla cittadina e a un tenebroso mistero che potrebbe celarsi nella cripta di un'antica chiesa medievale.

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Il Mostro della Cripta: Eleonora Deluca, Lillo Petrolo, Nicola Branchini, Tobia De Angelis in una scena del film

Ma le inquietanti coincidenze riscontrate dal giovanissimo Giò (Tobia De Angelis), che sogna di diventare un regista, e dal suo amico Alberino (Nicola Branchini) sono solo il frutto di una fantasia particolarmente fervida o nascondono qualcos'altro? E qual è il legame fra una catena di efferati omicidi e i fumetti scritti da Busirivici (Lillo Petrolo), l'idolo di Giò? Partendo da questi presupposti, Il mostro della cripta punta a fondere scenari e ambientazioni tipicamente nostrani (la provincia della Val Trebbia) con l'immaginario della cultura pop degli anni Ottanta e dintorni, richiamato di continuo con poster, riferimenti ed esplicite citazioni. L'altro esperimento è quello di mescolare la fascinazione per l'horror e i codici del filone splatter con il ritmo e la leggerezza della parodia: Il mostro della cripta, infatti, è una pellicola che non si prende mai sul serio, e che alla suspense predilige i toni di un umorismo che spesso rasenta la farsa vera e propria.

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Classiche storie horror, da Suspiria a Non mi uccidere

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Suspiria: Tilda Swinton nel ruolo di Madame Blanc

Genere fra i più popolari e redditizi nell'ambito del cinema americano, ma che in Italia ha conosciuto invece pochi periodi di autentica fortuna, l'horror può essere affrontato dalle più diverse angolazioni e rivolgendosi a varie tipologie di pubblico; ed è proprio in quest'ultimo biennio che alcuni registi nostrani ci hanno offerto esempi emblematici in tal senso. A partire dal filmmaker italiano più apprezzato all'estero, Luca Guadagnino, che due anni e mezzo fa portava nelle sale Suspiria, la sua personalissima rivisitazione dell'omonimo cult di Dario Argento del 1977: una co-produzione internazionale girata a Berlino, prevalentemente in lingua inglese, con un cast che comprendeva nomi quali Tilda Swinton e Dakota Johnson e con il coraggio di stravolgere in tutto e per tutto sia il modello alla radice dell'opera, sia le convenzioni dell'horror.

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A Classic Horror Story: un'immagine del film

Se il Suspiria di Guadagnino intraprendeva insomma strade inedite, sottraendosi a codici e regole del genere, su questi codici e su queste regole decide di far leva - fin dal titolo - A Classic Horror Story. Diretto da Roberto De Feo e Paolo Strippoli e approdato un mese fa direttamente su Netflix, A Classic Horror Story procede in direzione opposta rispetto a Il mostro della cripta: la sua rappresentazione della violenza è tutt'altro che 'fumettistica' e gli echi rimandano in primis a Non aprite quella porta; di contro, però, il film gioca con gli elementi canonici dell'horror con smascherata consapevolezza. A uno specifico ramo dell'horror, quello legato al filone romantico young adult, appartiene poi il recentissimo Non mi uccidere, per la regia di Andrea De Sica: amori adolescenziali, atmosfere gotiche e tinte splatter sono gli ingredienti di un film che prova a trapiantare in Italia una formula tipicamente hollywoodiana.

Suspiria: perché il film di Guadagnino è l'horror più originale dell'anno

Da Igort a Gipi: quando il cinema si ispira ai fumetti

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5 è il numero perfetto: Toni Servillo in una sequenza

Ancor più rare, rispetto agli horror, sono le pellicole prodotte in Italia e basate su fumetti e graphic novel: del resto il territorio dei comic movie, perlomeno nella loro declinazione mainstream, è sempre stato considerato appannaggio delle grandi produzioni americane, con i supereroi a farla da padroni nel settore. A maggior ragione veniva accolta con grande interesse, due anni fa, l'impresa portata avanti da Igor Tuveri, meglio noto con il nome d'arte di Igort: trasporre sul grande schermo la sua omonima graphic novel 5 è il numero perfetto. Il sottobosco criminale della camorra, tra faide sanguinarie e vendette incrociate, fornisce dunque il materiale narrativo per questo gangster movie tutto italiano che vedeva protagonista Toni Servillo, affiancato da Valeria Golino e Carlo Buccirosso.

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La terra dei figli: Leon de La Vallée e Valerio Mastandrea in una scena del film

È uscito invece qualche settimana fa, nelle poche sale rimaste aperte in un'estate ancora affetta dalle conseguenze del Covid, La terra dei figli, diretto da Claudio Cupellini: la fonte letteraria, questa volta, è l'apprezzato fumetto del 2016 di Gipi, ascrivibile al genere della fantascienza post-apocalittica. Il rapporto fra un padre e il figlio adolescente, in un mondo che è teatro di devastazione e solitudine, costituisce il cuore di un racconto estremamente crudo ed evocativo: un'opera dal carattere più unico che raro all'interno del cinema italiano, e che non teme di confrontarsi con modelli come The Road (dal libro di Cormac McCarthy). Ma per ora, purtroppo, l'attenzione del pubblico si è rivelata assai flebile, complice anche il periodo ben poco favorevole.

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Diabolik, Freaks Out e la speranza per il futuro

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Diabolik: un primissimo piano di Luca Marinelli

La speranza, allora, è che da qui a breve qualcosa possa cambiare sul serio, e che innanzitutto gli spettatori possano accorgersi di questi nuovi orizzonti aperti da registi ed autori italiani negli ultimi anni. Per tornare ai Manetti Bros., intanto, è in uscita il 16 dicembre, dopo il rinvio di un anno a causa dell'emergenza sanitaria, l'attesissimo Diabolik: sarà un autentico fuoriclasse quale Luca Marinelli a indossare l'inconfondibile tuta nera del personaggio creato nel 1962 da Angela Giussani e protagonista di una delle serie di fumetti di maggior successo mai realizzate nel nostro paese. L'importanza di un progetto quale Diabolik, in fondo, risiede pure in questo: recuperare un tassello fondamentale della cultura pop italiana dell'ultimo mezzo secolo e sfruttarne l'enorme potenziale, avvalendosi di altri nomi e volti notissimi del cinema nostrano, da Miriam Leone nel ruolo di Eva Kant a Valerio Mastandrea in quello dell'Ispettore Ginko.

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Freaks Out: un'immagine del lungometraggio

Al contrario, è un salto nel vuoto o quasi un'altra pellicola dalla lunga gestazione, bloccata dalla chiusura delle sale e finalmente in arrivo alla Mostra di Venezia 2021, per poi approdare sullo schermo dal 28 ottobre: Freaks Out, l'attesa opera seconda di Gabriele Mainetti. Un salto nel vuoto perché, alla base, non c'è un personaggio già conosciuto, né una fonte legata alla narrativa o ai fumetti: la vicenda, ambientata in una Roma occupata dai tedeschi nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, è stata sviluppata da un soggetto originale di Nicola Guaglianone, facendo leva sull'elemento dei freak, i "fenomeni da baraccone", che dai tempi di Tod Browning hanno stimolato la fantasia dei cineasti. L'obiettivo, con Freaks Out, è di replicare il successo di Lo chiamavano Jeeg Robot, il film che sei anni fa aveva rilanciato più di ogni altro questa "nuova onda": un'ambizione non da poco, per Mainetti e soci... ma d'altra parte, è soprattutto di ambizione che il cinema italiano continua ad avere un assoluto bisogno.

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