Il fantasma di Bourne
Jason Bourne è ufficialmente disperso, mentre il programma Treadstone sta per essere portato alla luce. Si annunciano tempi duri per quei responsabili della CIA che avevano di fatto creato, cercando poi senza successo di liberarsene, l'agente senza memoria e dalle letali capacità fisiche, che è riuscito a tenerli in scacco per anni. Si annunciano tempi duri anche per Eric Byer, ideatore di un altro segretissimo programma governativo: quello che scopriamo chiamarsi Outcome, evoluzione di Treadstone, e ad esso collegato dalla comune ricerca scientifica alla sua base, e da rapporti di amicizia, incautamente resi pubblici attraverso la rete, tra i rispettivi responsabili. Un rischio troppo grande, per lo spietatamente pragmatico Byer: mentre l'agente Pamela Landy sta per dare in pasto i segreti e i crimini di Treadstone all'opinione pubblica, tutta l'impalcatura costruita dall'uomo rischia di crollare. Molto meglio, per l'occulto manovratore di Outcome, giocare d'anticipo e distruggerla personalmente: eliminandone innanzitutto tutte le pedine, senza far distinzione tra attori principali e comparse. Tra i primi, spicca l'agente Aaron Cross, capacità fisiche e intellettive potenziate dai farmaci sperimentali assunti nel corso del programma; tra le seconde, la dottoressa Marta Shearing, scienziata che ha prodotto e somministrato quei farmaci. Entrambi nel mirino, entrambi in fuga, entrambi scampati per miracolo alla spietata operazione di pulizia voluta da Byer. Entrambi, soprattutto, disposti a tutto per sopravvivere.
Sembra iniziare da dove finiva The Bourne Ultimatum - Il ritorno dello sciacallo, questo nuovo capitolo della saga ispirata ai romanzi di Robert Ludlum; con quella sequenza iniziale che cita così esplicitamente il finale del film precedente, quell'acqua in cui il personaggio di Matt Damon si era lanciato e dalla quale aveva già dato segno di voler (per la seconda volta) riemergere. Ma è una semplice citazione, una strizzata d'occhio, o se si vuole un anello di congiunzione puramente "visivo" con la pellicola precedente: Damon, com'è noto, non fa più parte (momentaneamente?) della partita, e il suo personaggio resta sullo sfondo della vicenda, come presenza fantasmatica, impalpabile eppure sempre viva quale motore primario dei fatti. Al suo posto, l'Aaron Cross di Jeremy Renner (un altro ruolo d'azione, per lui, dopo i vari The Hurt Locker, The Avengers e Mission: Impossible - Protocollo fantasma): un'altra spia ribelle, al centro del mirino suo malgrado, diventato un bersaglio dopo essere stato trasformato in una perfetta macchina da guerra. Al fianco del protagonista, come da tradizione della serie, una presenza femminile, qui con la mente brillante di una ricercatrice e il volto di Rachel Weisz; e a braccare i due, un villain tenace e spietato a cui dà vita un sempre efficace Edward Norton. Ad essere mossa, e a muovere, i tre personaggi, una vicenda che si pone cronologicamente a cavallo della conclusione del film precedente, e compone uno spin-off che potrebbe rappresentare anche una sorta di interquel tra il suddetto The Bourne Ultimatum e un'ipotetica, prossima pellicola che veda il ritorno di Damon. Le sovrapposizioni temporali, d'altronde, non sono una novità assoluta per la serie, che le aveva già sperimentate felicemente nel capitolo precedente; con una solida, ancorché intricata struttura narrativa creata (complice la base dei romanzi di Ludlum) dallo sceneggiatore Tony Gilroy. Qui, Gilroy passa (anche) dietro la macchina da presa, ma non ha più la traccia delle storie originali a guidarlo: il soggetto, infatti, è interamente opera sua e del fratello Dan Gilroy, malgrado il titolo sia stato un po' arbitrariamente ripreso (con un'operazione tale da generare qualche confusione) dall'omonimo romanzo scritto da un altro autore delle storie di Bourne, Eric Van Lustbader. E' un po' paradossale, quindi, proprio alla luce del fatto che Gilroy abbia seguito, come sceneggiatore o co-sceneggiatore, il dipanarsi dell'intera serie, che questo The Bourne Legacy risulti invero abbastanza debole dal punto di vista narrativo. Se gli elementi di base di un film "alla Bourne" (azione frenetica, varietà di location, personaggi che nel loro agire esprimono il lato oscuro di un'America che difende sé stessa con metodi criminali) sulla carta ci sono tutti, la sceneggiatura fatica stavolta a imprimere il giusto mordente e la giusta credibilità alla vicenda. Sostituire un personaggio così problematico e peculiare come quello di Bourne, oltre che un attore carismatico e dalla forte presenza scenica come Damon, non era certo compito facile; e, da par suo, Renner fa anche quello che può, donando al suo protagonista la giusta attitudine fisica, e cercando anche di trasmettergli quel quid drammatico che vada oltre l'usurata figura della spia in fuga. Ma il confronto col personaggio di Damon, a livello di pura scrittura cinematografica, è semplicemente impietoso: a questo Aaron Cross, mancante di un background interessante e dei forti dilemmi morali che avevano agitato la coscienza del suo predecessore, si fa inevitabilmente fatica ad appassionarsi. Le cose non vanno molto meglio se ci si sposta sul villain interpretato, in modo comunque efficace, da Norton; nonostante la sceneggiatura cerchi di enfatizzarne il carattere di patriota che ha ceduto al suo paese ciò che un tempo era la sua coscienza, la costruzione del personaggio appare schematica e risaputa. Più in generale, lo script si sforza di sottolineare, più che in passato, il carattere problematico dell'agire di uomini che sanno di compiere azioni moralmente indifendibili, ma sono convinti che ciò sia un prezzo da pagare inevitabile al mantenimento della sicurezza; il personaggio di Norton li chiama appunto "mangiapeccati", individui che ingoiano, e seppelliscono dentro di sé, il peso di atti eticamente riprovevoli. Tutto già visto, comunque, e soprattutto non supportato da una costruzione dei caratteri realmente pregnante: ivi compreso quello interpretato da Rachel Weisz, donna di scienza che improvvisamente sembra rendersi conto della portata di ciò che ha finora costruito, e che vediamo protagonista di una storia d'amore appena accennata, totalmente priva di mordente, con il protagonista.
Se, tuttavia, la costruzione narrativa di The Bourne Legacy appare carente, comunque non all'altezza di quella dei suoi predecessori, ciò che funziona decisamente meglio è il ritmo: pur con una regia più controllata e "leggibile" di quella di Paul Greengrass, e avvalendosi di un montaggio più lineare, Gilroy inanella una serie di ottime sequenze d'azione, dalla fuga iniziale del protagonista sui monti dell'Alaska fino a un vorticoso inseguimento per le strade di Manila. A merito del regista va ascritto inoltre il fatto di non aver sovraccaricato il film con le suddette sequenze, evitando la noia generata (in molti prodotti analoghi) dalla reiterazione; e riuscendo in fondo, malgrado la scarsa credibilità e l'esilità narrativa del tutto, a mantenere vivo l'interesse dello spettatore nelle due ore e un quarto di durata del film. Alla maggior parte dei fans della saga, probabilmente, questo risultato potrà bastare; ai più esigenti, invece (tra i quali ci annoveriamo) non resta che attendere un ipotetico, ma quantomai auspicabile, ritorno di Greengrass e Damon.
Movieplayer.it
3.0/5