Il bambino nascosto, Silvio Orlando: “Anche l’arte più sopraffina se non è condivisa è un’arte sterile”

La video intervista a Silvio Orlando e Giuseppe Pirozzi, protagonisti de Il bambino nascosto, film di Roberto Andò tratto dal suo omonimo romanzo: un insegnante di pianoforte nasconde un bambino minacciato da criminali.

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Il bambino nascosto: Silvio Orlando in una scena

Dopo aver chiuso la 78esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, Il bambino nascosto di Roberto Andò, tratto dal suo omonimo romanzo, arriva in sala il 3 novembre. Protagonisti Silvio Orlando e il giovanissimo Giuseppe Pirozzi, interpreti rispettivamente di Gabriele, insegnante di pianoforte, e Ciro, bambino che vive nel suo stesso palazzo. L'uomo deve decidere se nascondere il ragazzino, minacciato da criminali, o abbandonarlo al suo destino.

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Il bambino nascosto: Silvio Orlando e Giuseppe Pirozzi in una scena

Ambientato a Napoli, Il bambino nascosto può vantare un cast formato da attori di grande talento, da Lino Musella a Francesco Di Leva, passando per Gianfelice Imparato e Roberto Herlitzka. È però la coppia formata da Silvio Orlando e Giuseppe Pirozzi il cuore del film. Il loro rapporto cresce man mano che li vediamo insieme, creando una strana coppia padre-figlio unita dall'empatia.

Ne abbiamo parlato con gli attori proprio al Lido di Venezia, dove li abbiamo incontrati nei giorni conclusivi della Mostra del Cinema.

La video intervista a Silvio Orlando e Giuseppe Pirozzi

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Il bambino nascosto e la condivisione

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Locandina di Il bambino nascosto

Il bambino nascosto mi ha fatto pensare a una frase di un altro film, Centochiodi di Ermanno Olmi, ovvero: "tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico". Secondo voi il vostro si può leggere in questa chiave?

Silvio Orlando: Sicuramente quello che ha detto Olmi vuol dire che anche l'arte più sopraffina se non è condivisa è un'arte sterile. Il mio personaggio si è condannato, attraverso un processo di esclusione dal mondo, a una sorta di invisibilità, di sterilità. L'irruzione di questa scheggia di vita impazzita e violenta, nei panni di un bambino di dieci anni, che ha le sue pericolosità, mi riporta alla vita. Mi riporta di nuovo a ragionare e a ripensare me stesso.

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Il bambino nascosto: Silvio Orlando e Giuseppe Pirozzi in una sequenza

Tu a un certo punto sei quasi un fantasma: non parli, sei nell'ombra. Quasi un personaggio horror. Com'è stato?

Giuseppe Pirozzi: Naturale, perché il mio personaggio, più che ritornare a vivere, come fa quello di Silvio, il mio cambia. Ha proprio questa trasformazione: è un ragazzo di strada e poi questo silenzio quasi horror è il frutto del cambiamento. Come quando stai crescendo e inizi a cambiare aspetto, voce. Questo silenzio sta cambiando qualcosa in me e man mano inizio a parlare di nuovo, inizio a esprimermi in modo diverso, a pensare in modo diverso. Diciamo che inizio a cambiare anche famiglia: ormai la mia famiglia è lui, non è più quella biologica.

Il bambino nascosto e l'empatia

Il bambino nascosto racconta un racconto di empatia: la cosa più difficile però forse non è tanto aprire quella porta, ma non richiuderla. Come si fa ad avere il coraggio di non farlo?

Giuseppe Pirozzi: Secondo me anche il suo personaggio sapeva che, se mi avesse cacciato, non avrei avuto futuro. Forse ero finito, forse avrei continuato ad averlo ma non sarebbe stato un futuro tutto arcobaleno, ma solo una nuvola grigia, pronta a esplodere. Un temporale.

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Il bambino nascosto: Silvio Orlando e Giuseppe Pirozzi in un'immagine

Silvio Orlando: Non c'è scelta, fuori di quella porta c'è la morte per lui, forse anche per me, perché l'ho nascosto, all'interno di un codice malavitoso. Non scegliamo, ci capita questa cosa che però diventa alla fine un grande dono, che abbiamo ricevuto sia lui che io. Io perché, al crepuscolo della mia vita, scopro una cosa che non avevo mai visto, forse una paternità. E lui è in una fase delicata della vita, in cui non è né carne né pesce, né male né bene. Può essere tutte e due le cose. Sceglie una via che non voglio definire il bene, per carità, perché ci sono sempre luci e ombre, non si sa che cosa succederà nel futuro, però sicuramente rifiuta un destino, che che in certi momenti, in certe città, sembra che ti incomba addosso.