Palermo, i pranzi delle domenica in famiglia e due fratelli agli antipodi che nonostante i frequenti battibecchi si sostengono a vicenda, uniti da un legame fraterno inossidabile e dall'acume investigativo che li porterà alla risoluzione di una serie di misteriosi casi. Si chiamano Roberto e Fabrizio, il primo è un avvocato scrupoloso e in cerca di stabilità, il secondo è un single incallito e avventato giornalista di cronaca nera; insieme sono i protagonisti de I fratelli Corsaro la nuova serie Mediaset in quattro puntate in onda da mercoledì 11 settembre, in prima serata su Canale 5.
Una strana coppia interpretata da Paolo Briguglia (Roberto Corsaro) e Giuseppe Fiorello (Fabrizio Corsaro) e nata dai romanzi di Salvo Toscano, scrittore e palermitano doc.
L'idea arriva proprio da Fiorello che firma anche la sceneggiatura della serie: "Mi sono imbattuto nei racconti di Salvo Toscano molti anni fa leggendo I soliti sospetti, mi ha incuriosito subito lo stile della scrittura e l'idea di non essere un protagonista unico, mi interessava avere l'opportunità di poter duettare con un altro attore".
La genesi de I fratelli Corsaro e il racconto di una Sicilia lontano dai cliché
Il punto di partenza dei romanzi di Salvo Toscano è quello di raccontare una Sicilia lontana dai luoghi comuni dei siciliani che mangiamo cassate e parlano solo di mafia. Un'impostazione nella quale i due attori si riconoscono: "È proprio la caratteristica dei racconti di Salvo Toscano che ci ha conquistati, - si affretta a precisare Giuseppe Fiorello - cioè la mancanza di stereotipi, di quei punti fissi che ci hanno raccontato da sempre come mangiatori di cassate, per quanto nella serie proponiamo dei piatti tradizionali, perché realmente nelle famiglie palermitane o siciliane la domenica c'è la tradizione di un certo tipo di piatto, quello si fa; ma è come lo si fa e come ci si atteggia intorno a quel piatto, che poi può diventare uno stereotipo. Noi invece lo mettiamo sul tavolo con una particolare semplicità e routine. Questo aspetto, questa penna così realistica ha attratto un po' tutti".
Essere Fabrizio e Roberto Corsaro
Ma chi sono i protagonisti de I Fratelli Corsaro per gli attori che li hanno dovuti interpretare sullo schermo? "Dei due Fabrizio Corsaro è sicuramente quello più vicino a Salvo Toscano. Essendo un giornalista Salvo ha scritto Fabrizio con una particolare conoscenza della materia e con una maggiore aderenza all'io di Salvo giornalista", continua a spiegare Fiorello, che ammette "c'erano delle cose molto divertenti di Roberto in cui mi riconoscevo perché mi somigliavano: la sua voglia di stabilità, di famiglia e un po' di ipocondria. Con Fabrizio c'era però un'altra curiosità, quella di entrare in un personaggio un po' più lontano da me".
Paolo Briguglia racconta invece di aver scoperto i romanzi quando è stato chiamato a fare la serie. "Da palermitano ho ritrovato tantissimo lo spirito che Salvo dichiara, cioè il non voler dare uno stereotipo del siciliano che parla solo di mafia o di cannoli, ma di voler raccontare delle persone che vivono in questa città in un modo che ancora non era stato tanto raccontato. Con i fratelli Corsaro ci si immerge, attraverso i casi che raccontano, nelle bellezze di Palermo, ma anche nella grande inciviltà e nei disagi, in tutto quello che caratterizza oggi la nostra città. Ed è un misto di amaro e dolce, molto divertente, a volte anche grottesco. La forza e la potenza di questa storia è che i personaggi sono due lati della stessa medaglia: tanto si attraggono quanto si respingono, ma sono sempre insieme, fianco a fianco. Oltre a seguire il caso, lo spettatore può seguire anche l'evoluzione del racconto e divertirsi con loro. In effetti quasi non c'è scena in cui questi due non si appiccicano, non litigano, non hanno idee diverse su qualcosa. Fabrizio è più bravo a fare imbestialire Roberto, ad esempio quando lo chiama Perry Mason".
Per cercare delle suggestioni che permettessero di ricreare il mondo di Fabrizio e Roberto, ognuno poi ha sbirciato qua e là nella propria vita e Fiorello le ha trovate nella figura di un suo cugino: "Era un 'femminaro' molto affascinante, bello, un bell'uomo, con un look particolare. Erano gli anni '70, primi'80, ero molto piccolo e ero affascinato da questo cugino amato dalle donne che in paese chiamavano 'sceriffo'. Era un vero e proprio tomber de fame: arrivava una donna a settimana, turiste, ragazze del posto ma non aveva mai una stabilità, non aveva pace e questo mi affascinava molto. Per il resto non è che mi somigli così tanto soprattutto da un punto di vista professionale, io non avrei mai fatto il giornalista, perché ci vuole preparazione, dedizione e tanto studio. Fabrizio è molto lontano da me, ma come sempre la curiosità di fare una cosa che nella vita non avrei mai fatto è per un attore motivo di recitazione". Anche per Briguglia il mestiere dell'avvocato è molto distante da lui, "però tanti miei coetanei, compagni di scuola e amici sono avvocati, alcuni penalisti, quindi mi sono messo un po' a osservarli; ho preso in mano un codice penale, ho provato a leggerlo per capire e cercare di entrare in quella mentalità. Mi sono divertito a costruire questo personaggio molto più serio e piantato rispetto a Fabrizio, ma ho cercato di dargli delle aperture più anarchiche in altre zone della sua vita, di goffaggine, di un modo buffo di essere, un aspetto che nel romanzo non c'era e che è venuto fuori facendolo, pensandoci e desiderando costruire un personaggio che non fosse monolitico, ma più simpatico".
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La ricerca della verità
Nella serie la sete della verità è il vero motore narrativo. Ma qual è il senso della ricerca della verità in un momento storico in cui neanche la classe dirigente sa raccontarcela? Entrambi hanno le idee molto chiare: "Oggi siamo abituati a flash di notizie, di input, che sono solo ricostruzioni. La verità ai cittadini spesso viene negata e lo si scopre sempre molti anni dopo, però non vedo. - dice Briguglia - Si pensa sempre che oggi sia peggio di ieri, ma quando mai abbiamo vissuto in un sistema politico in cui la verità è stata messa al centro del dibattito? Qualunque cosa succeda viene impugnata da una parte politica per accusare l'altra, ma è sempre stato così. La verità non è mai stata la priorità di chi deve gestire un paese. Non succede da oggi, succede dalla notte dei tempi". A Fiorello il personaggio di Fabrizio Corsaro riporta invece alla mente "un grande giornalista siciliano che sul tema della verità ha fondato tutta la propria carriera e un'intera vita fino alla morte, Pippo Fava. Chi se non un giornalista è tenuto a dire sempre la verità? Dal mio punto di vista è più pericoloso un giornalista che non dice la verità piuttosto che un politico; è il giornalismo che ha veramente in mano le sorti di un paese, perché sono loro che poi tradurranno e diranno ciò che è giusto, ciò che è sbagliato. Tutti noi alla fine andiamo a cercare la verità sulla stampa, in televisione, sui social e i giornalisti hanno il dovere di raccontarcela. Se Pippo Fava avesse nascosto le cose che accadevano a Catania in quegli anni, probabilmente non sarebbe morto. Lui è morto perché ha detto ciò che non dicevano gli altri e i politici collusi. Tutta la schiera dei giornalisti di quell'epoca sono morti per aver detto la verità, Mauro De Mauro, Beppe Alfano, Pippo Fava, Peppino Impastato. Tutti loro sono morti per la verità. Anche Letizia Battaglia, che citiamo a un certo punto nella serie, ha rischiato molto in nome della verità raccontata dai suoi scatti".
Così come, ricorda , sono tanti gli attori e le attrici che si sono battuti per la verità attraverso la scelta dei racconti da portare in scena: "L'ha fatto Paolo insieme a Luigi Lo Cascio e Marco Tullio Giordana (con I cento passi, n.d.r.), l'ho fatto io più volte, quando ho raccontato I fantasmi di Porto Palo, o 'Tutto il mondo è paese, la serie su Mimmo Lucano, che probabilmente non vedrete mai" (la serie Rai sul sindaco di Riace girata alcuni anni fa è ancora bloccata in seguito alle vicende giudiziarie che coinvolsero Lucano, oggi assolto da tutti i reati che gli venivano contestati). "Era una grande verità che personalmente volevo raccontare, è la storia di un visionario che aveva avuto l'idea di accogliere le persone dando loro una casa, una dignità, un lavoro creando attraverso questo sistema un'economia locale. Mi interessava dimostrare che se accogliamo in un certo modo e non stipiamo questa gente in dei lager, possiamo rigenerare il mondo perché questi esseri umani portando cultura rigenerano anche noi. Ecco, queste sono tutte verità che gli attori hanno urgenza di dire attraverso i racconti che scelgono di interpretare".