Recensione Il sesto senso (1999)

Ci troviamo di fronte ad una storia che tocca tutti nel profondo, che ci parla di accettazione della propria realtà, per quanto tragica o difficile possa essere.

I fantasmi del cuore

Nel 1999 M. Night Shyamalan, giovane cineasta dal nome quasi impronunciabile, si fa subito notare come una delle grandi rivelazioni del nuovo millennio con un film che ormai possiamo senza esitazioni definire cult. Il sesto senso, infatti, è un caso più unico che raro: esaltato sia da critica che pubblico, è un thriller paranormale e psicologico che colpisce e stupisce, soprattutto grazie allo splendido finale a sorpresa, ma che non per questo finisce di emozionare con la prima visione. Merito soprattutto di una sceneggiatura solidissima ed originale, fatta di piccoli inganni e particolari taciuti più che vere e proprie bugie, una sceneggiatura in grado di incantare lo spettatore "vergine" con uno spettacolare, e soprattutto commovente, cambio di direzione ma anche in grado di ammaliare coloro che riguardano la pellicola già consapevoli del vero significato di alcune scene: anche costoro non saranno delusi, perché gli indizi sono lì, alla luce del sole, Shyamalan non bara ma dimostra una consapevolezza dei propri mezzi narrativi ed una sicurezza nei lenti movimenti di macchina da grande autore di cinema. Non vorremmo scomodare un mostro sacro quale Alfred Hitchcock, ma anche la necessità di apparire in ogni sua pellicola anche in qualcosa di più che un semplice cameo, non può che farci pensare ad una volontà da parte del regista indiano di ricalcare le orme del maestro del thriller.

Ma è chiaro che per gridare al capolavoro, il successo del film non può basarsi esclusivamente sul colpo di scena: la storia del piccolo Cole tormentato dalla sua capacità di "vedere la gente morta" è emozionante e, pur sfiorando molti dei classici topoi da ghost story, mai banale. Per oltre metà della sua lunghezza, la pellicola presenta uno stile da film horror, con spaventi e salti dalla sedia sempre efficaci, citazioni da classici del genere e da un maestro quale Stephen King, e un'atmosfera tesa fin dall'inizio, ma costruita grazie ad un'acuta introspezione psicologica e non a strabilianti effetti speciali come ci si potrebbe aspettare. Con il proseguire della storia la narrazione si avvia su binari più drammatici e romantici, che finiranno con il commuovere lo spettatore più sensibile su più fronti: d'altronde ci troviamo di fronte ad una storia che tocca tutti nel profondo, che ci parla di accettazione della propria realtà, per quanto tragica o difficile possa essere; i "fantasmi" che quotidianamente si affacciano nella nostra esistenza non sempre possono essere ignorati, a volte l'unico modo per conviverci è proprio comprenderli ed accettarli per quello che sono.

Non è certo un caso, quindi, che in una stagione ricca di prodotti horror (Haunting - Presenze, La nona porta, Stigmate, Il mistero di Sleepy Hollow e il discusso The Blair Witch project - Il mistero della strega di Blair) a conquistare un posto di prestigio sia stato proprio questo film, probabilmente il meno horror di tutti, ma anche il più profondo ed attuale.
Tutto questo grazie, oltre che ad una sceneggiatura ed un soggetto esemplari, anche ad un cast altrettanto efficace soprattutto grazie ad un redivivo Bruce Willis perfettamente in parte e al piccolo ma straordinario Haley Joel Osment, immediatamente lanciato nello star system hollywoodiano da una nomination all'Oscar. D'altronde il film stesso ottenne ben sei nomination: Miglior Film, Migliore Regia, Migliore Sceneggiatura Originale, Migliore Attore non protagonista (il già citato Osment), Migliore Attrice non protagonista (la bravissima Toni Collette) e Miglior Montaggio; pur non portando a casa nessuna statuetta fu un risultato estremamente importante se consideriamo la celebre riluttanza da parte dell'Academy a premiare i cosidetti "film di genere".

Movieplayer.it

4.0/5