Fiumi di birra e sangue su Chicago. Luppolo e pallottole, schiuma bianca nei boccali e macchie rosse sull'asfalto. Sono gli anni Trenta, gli anni balordi del Proibizionismo, quando era vietato ogni traffico di alcool, e la criminalità organizzata sguazzava nei divieti e giocava con i desideri proibiti della gente. Instillare il fascino dell'illecito ovunque, in chiunque. Era questa la ricetta segreta creata da quel malefico signorotto di nome Al Capone, icona di un male sfacciato e fiero di sé, uomo definito "nemico pubblico numero uno" dalla stampa del suo tempo. Al Capone trafficava alcool e si riconosceva nell'alcool, perché come rum, whisky e birre, il boss malavitoso era liquido, capace di infiltrarsi nelle istituzioni, di annacquare la giustizia con la corruzione, di allagare una città intera con i suoi malaffari. In quell'oscura Chicago del 1930 credere che il peggio fosse incarnato da una sola persona era, dunque, da poveri illusi. Proteggersi dal male non era una preghiera, ma una scelta davanti alla quale venivano posti tutti quanti. Allora come evitare di macchiarsi? Come sfuggire alla sete del male? Bisognava essere impermeabili, anzi intoccabili. È così che Brian De Palma definisce i suoi quattro eroi capaci di resistere alla facilità della corruzione e di sporcarsi le mani pur di combattere Al Capone.
Tratto dall'autobiografia dell'agente del Tesoro Eliot Ness, Gli intoccabili narra la storia di quattro coraggiosi uomini vestiti Armani, ma interessati all'etica più che alle etichette, volenterosi di guarire la loro città da quella malefica ubriacatura collettiva. Un poliziesco amaro e disilluso, epico e allo stesso tempo secco, senza orpelli, che non perde mai di vista il valore del Bene. Gli Intoccabili è magistrale nel dirci quanto sia facile piegarsi al maligno e quanto costi fatica, sangue e sudore cercare di fronteggiarlo. Per quanto intoccabili, però, gli uomini di De Palma non sono inscalfibili: hanno dubbi, timori, rimorsi, rabbia repressa. Sono persone che si interrogano sul senso e sul costo delle loro scelte morali. Raccontati dalla mano sapiente e ispirata del regista americano, questi valorosi uomini sono i protagonisti di un cult assoluto, passato alla storia per il carisma dei personaggi, per alcune scene cult dove regia, montaggio e colonna sonora si intrecciano a meraviglia e per quello sfogo finale di Al Capone, battuto dalla sua stessa tracotanza, a cui non resta che urlare come un ossesso: "Sei solo chiacchiere e distintivo. Chiacchiere e distintivo". Parole piene di astio che riecheggiano ancora, anche dopo 30 anni. Perché questi valorosi agenti sono rimasti così: intoccabili. Anche al passare del tempo.
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Il gusto del classico
Compie trent'anni, ma sembra averne molti di più. Rivedere oggi Gli Intoccabili potrebbe farvi pensare ad un film "invecchiato male", ma non è così. Perché la pellicola aveva già un retrogusto classico sul finire degli anni Ottanta, impregnato com'è di ritmi, immagini, parole e personaggi che rimandano ad un cinema andato. Volutamente vicino all'immaginario dei vecchi noir, De Palma disegna una città spesso svuotata, desolata, dominata dalle ombre dei suoi personaggi. Sembra quasi un purgatorio la sua Chicago, piena di silhouette dentro l'oscurità, abitata da uomini che agiscono e donne che aspettano a casa il ritorno del proprio eroe. Nell'opposizione netta, immediata, assolutamente manichea tra buoni e cattivi, ritroviamo poi il racconto epico del western, un genere richiamato anche dalla colonna sonora retrò di Ennio Morricone e da alcune inquadrature come i primi piani strettissimi, diretti verso gli sguardi dei personaggi. Se il cinema americano di quegli anni esaltava la forza ipertrofica dell'eroe solitario, individualista, capace di bastare a se stesso (Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger ne sono i due massimi rappresentanti), De Palma riscopre il piacere dell'impresa di gruppo, dell'alchimia tra caratteri complementari e uomini uniti nel rischiare tutto pur di rispondere presente alla propria integrità morale. Uomini d'altri tempi, come il loro film.
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Il prezzo del bene
"È bello essere sposati". "C'è una parte di mondo che pensa che colore mettere in cucina". Due frasi per raccontare un personaggio ed esplorarne il cuore in conflitto. L'agente Eliot Ness è un uomo responsabile, un padre di famiglia, una persona che apprezza e riconosce il valore di una vita semplice. Purtroppo, però, lui è chiamato ad evadere da quella dimensione ovattata, a rispondere al pressante senso di dovere che gli scalpita dentro. Incastrare Al Capone, per Ness, è molto più di un'ossessione, ma semplicemente l'unica cosa che conta. Una missione che non conosce soste o dubbi. In questo lo sguardo languido e il volto pulito quanto deciso di Kevin Costner sono perfetti nel delineare un personaggio integerrimo a cui però è chiesto un grande sacrificio.
Ed è qui che si inserisce il grande personaggio di Jimmy Malone, un uomo più maturo e disilluso, che forse rivede in Ness quello è che è stato. Senza metterne mai in discussione la sua leadership, Malone instaura con Ness un rapporto mentore-allievo fatto di stima e fiducia reciproca, dove l'anziano poliziotto interpretato da Sean Connery (che grazie al ruolo vinse il suo unico Premio Oscar come Migliore Attore Non Protagonista) insegna al giovane collega un'amara lezione: per vincere il male bisogna tradire il bene assoluto. "Cosa sei disposto a fare?". Questo chiede Malone a Ness, in una chiesa. I metodi estremi e poco ortodossi del "maestro di legge" (ricordate quando spara in bocca ad un cadavere?) spingono l'amico a sporcarsi le mani, ad uccidere, a cedere all'ira, a non abbandonare l'idealismo senza rinunciare ad un necessario pragmatismo. Ne Gli intoccabili imporre il bene ha il suo prezzo, perché è un bene che sposa il male pur di batterlo. Per questo il film ci appare con un lungo quanto doveroso addio alla spensieratezza.
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Il ghigno del male
Una manicure, un lustrascarpe e della fresca schiuma da barba in volto. È così che ci viene presentato l'indimenticabile Al Capone di Robert De Niro. Mai ripreso in esterni, l'imbolsito e ghignante boss ci viene sempre mostrato chiuso, al sicuro, nel suo lussureggiante e ovattato mondo dorato. La prova di De Niro dà vita ad un cattivo sornione e beffardo, un abile oratore che intrattiene la sua cricca di fedeli con una serie di monologhi dal finale violento e sanguinoso. L'aria perennemente e ostinatamente rilassata di questo Al Capone è la perfetta rappresentazione della botte di ferro in cui si sentiva quell'uomo. Forse il vero, grande intoccabile del film è proprio lui. Forte della sua rete capillare di corruzione, sicuro dell'inespugnabilità del suo grande impero, Al Capone non mostra segni di cedimento o preoccupazione persino nel corso del processo finale. De Niro sorride, gigioneggia ad oltranza, sbadiglia persino. Ed è per questo che l'imprevedibile svolta finale a suo danno dà vita a quella mitica sfuriata finale, entrata nella storia del cinema. "Sei solo chiacchiere e distintivo" sono parole vuote, l'ultima offesa di chi non era preparato ad un'umiliazione cocente.
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L'ansia di un passeggino
Poco fa vi abbiamo parlato di un film molto classico nell'impostazione, ma è impossibile dimenticare due sequenze dove il guizzo registico di De Palma trova la sua apoteosi. Ci riferiamo alla scena dell'agguato in casa di Malone, dove la camera coincide con la soggettiva del killer, passando da una carrellata esterna per poi introdursi dentro l'abitazione dell'agente in un crescendo di apprensione per le sorti di un personaggio a cui è facile affezionarsi. La seconda scena, ovviamente, è quella iconica della stazione deserta. Qui De Palma prepara tutto con maestria, curando ogni pedina di una scacchiera pronta a saltare in aria. Per prima cosa insiste nel focalizzare l'attenzione su due elementi stranianti: il pianto di un bambino, la fatica di sua madre nel portare la carrozzina in cima a delle scale. Dall'alto, lo sguardo di Ness indugia su di loro, si preoccupa per il piccolo e il genitore, salvo poi dover gestire l'irruzione dell'uomo a cui stava dando la caccia. Altamente simbolica e sovraccarica di tensione, quella lenta e inesorabile discesa del passeggino nel bel mezzo di una sparatoria rappresenta bene quanto fosse labile il confine tra il bene e il male, la morte e la vita, e quanto fosse arduo proteggere l'innocenza in quell'epoca spietata. La presa in extremis di Andy Garcia e il lancio della pistola, poi, hanno reso il tutto più esaltante ed eroico. Proprio come piace agli americani. Siamo pur sempre a Chicago, signori.