Gabriele Muccino omaggia il cinema del passato, quello a cui dice di essersi sempre ispirato e lo fa con il suo dodicesimo film, Gli anni più belli, liberamente ispirato per sua stessa ammissione a C'eravamo tanto amati di Ettore Scola. In sala dal 13 febbraio in 500 copie, la storia di amore e amicizia di Riccardo, Giulio, Paolo e Gemma, ci accompagna per un arco temporale di quarant'anni, che va dall'adolescenza sul finire dei '70 ad oggi, l'età della consapevolezza e dei bilanci.
In mezzo i sogni, le delusioni, gli amori, i tradimenti, le speranze e i fallimenti di una generazione all'ombra degli eventi più significativi nella storia del nostro paese, dalla caduta del muro di Berlino all'idea politica di un 'movimento del cambiamento' che si sarebbe trasformato nella nascita del Movimento 5 stelle. "La grande storia ci definisce e ci racconta, anche se non lo vogliamo. Il muro di Berlino ci aprì l'orizzonte verso un mondo migliore, Mani pulite si portò dietro l'idea di una rivoluzione, di un reset della classe politica precedente perché ne arrivasse una migliore", ci dice durante la presentazione del film alla stampa precisando poi che alla base della narrazione c'è sempre un'idea di cambiamento: "Anche l'11 settembre segnò un cambiamento, quello in cui siamo diventati vulnerabili e fragili, e ci siamo resi conto che il futuro non era così ampio come lo immaginavamo. Ogni imprevisto comporta una scelta, ogni scelta un bivio che determina il destino dei personaggi". È un film che parla di "continui slanci al cambiamento" e che accoglie senza timori "la sfida verso il domani", non è un caso infatti che i protagonisti siano "proiettati verso il futuro pensando che il domani sia migliore, nessuno di loro è rassegnato. Poi arriverà il momento dell'accettazione, saranno la somma di tutti cambiamenti subiti attraverso il tempo, che è il grande motore di questa storia", oltre che un nuovo territorio per il regista di A casa a tutti bene.
Gli anni più belli, la recensione: per Muccino arriva il tempo del ricordo
Il racconto di una generazione silente e l'omaggio a C'eravamo tanto amati
Con Gli anni più belli, che ha richiesto uno sforzo produttivo non indifferente, circa 8 milioni di euro, Muccino approda al grande racconto popolare e non fa mistero dei suoi modelli di riferimento: "Ho esplorato la cinematografia del passato e l'ho omaggiata. - sostiene - Il film è pregno di tutto ciò che ho vissuto sognando di fare cinema, è l'esplorazione più alta e l'omaggio più ampio al cinema di Zavattini, Risi, Scola, Fellini, i grandi maestri grazie ai quali sono cresciuto e mi sono realizzato. Senza di loro non sarei stato ciò che sono diventato".
Innegabile l'ispirazione a C'eravamo tanto amativdi cui si è anche assicurato i diritti, "ma - ci tiene a sottolineare - mancano tanti elementi dell'originale. Ne Gli anni più belli parlo di una generazione cresciuta all'ombra di ciò che quel film raccontava, scrivendolo mi sono reso conto che molti dei valori raccontati da Scola non avevano più senso: l'ideologia politica, l'antagonismo tra ricchi cattivi e poveri solitari non ha più un significato nella generazione che abbiamo vissuto, cresciuta sotto l'ombra e il complesso di inferiorità di coloro che avevano fatto il dopoguerra, la ricostruzione, il boom economico, il '68 e gli anni di piombo. Siamo stati schiacciati dalla storia degli altri senza la possibilità di averne una nostra, siamo una generazione di apolitici pur scimmiottando i nostri fratelli maggiori. È stata un'esperienza di transizione, spaesati come eravamo da tutto quel bagaglio di ideologie e sapienza politica che non siamo riusciti a metabolizzare".
È per questi motivi che lo ritiene un film molto diverso da quello di Scola, che è stato certamente "il punto di partenza, salvo poi prendere delle strade che si sono allontanate dall'originale molto più di quanto prevedessi. Un allontanamento naturale, strutturale e necessario", ribatte.
Un film sull'amicizia e la fragilità dei personaggi
Una cosa è certa: Gli anni più belli è il racconto di un'amicizia. "Il collante del film è il valore che l'amicizia ha dato a queste quattro esistenze, che naufragando si ritrovano nelle cose più semplici conosciute quando il mondo sembrava infinito. È un omaggio alla semplicità", spiega. Nei ruoli dei protagonisti Pierfrancesco Favino (Giulio), Claudio Santamaria (Riccardo), vecchi amici di Muccino dai tempi de L'ultimo bacio, e infine Micaela Ramazzotti (Gemma) e Kim Rossi Stuart (Paolo). Ognuno rappresenta una parte di se stesso, li ama tutti incondizionatamente: "Sono un po' oguno di loro: Micaela è la mia parte femminile, Kim la più contemplativa, mentre la mia anima più ambiziosa e corruttibile si è palesata nel personaggio di Pierfrancesco, la paura della mediocrità e del fallimento è diventata invece il personaggio di Claudio Santamaria".
Tutti si ritrovano nella generazione raccontata dal film, a partire da Favino, che interpreta Giulio, avvocato di fama cresciuto nella povertà e con l'ansia del riscatto sociale: "È proprio così, la nostra è una generazione silente che si è messa in un angolo ad aspettare di trovare la propria voce, e che continua a essere messa da parte. Mi ci sono ritrovato molto e in tanti ritroveranno in quella ricerca affannosa la necessità dei rapporti umani".
Santamaria è Riccardo, un artista mediocre con l'aspirazione di fare il critico cinematografico, che finirà per fare una vita da sognatore squattrinato: "Rappresenta una generazione smarrita, cerca la sua strada in politica in un movimento di 'pancia' e pensa che per fare politica basti l'onestà, quando invece non è sufficiente perché serve una competenza che lui non ha. Ingenuamente cerca di partecipare ed esprimere un'opinione, che sente di non aver mai avuto modo di manifestare".
A Kim Rossi Stuart spetta invece il ruolo più contemplativo e pacificatore, Paolo: "Apparentemente è un perdente, vive ancora con la mamma e si lascia portare via la donna della sua vita. Solo quando avrà una visione della vita scevra da qualsiasi vittimismo e dalla necessità esasperata di trovare una conferma negli altri, raggiungerà un'esistenza piena e bella. In un periodo in cui l'eroe non è più Batman, ma un vittimista per eccellenza come Joker, questo personaggio con la sua umiltà mi ha toccato profondamente". Ma è l'antieroina di Micaela Ramazzotti a colpire nel segno, una donna disperata, che ha subito delle privazioni affettive e alla quale "basta il sorriso di un amico, uno sguardo o un flirt per ritrovare un po' di vita, un battito cardiaco. Torna dall'uomo che ha sempre amato, perché lui è la sua casa. Mi piace flirtare con personaggi fragili e versatili". E sbagliati forse, ma "anche io mi sento tanto sbagliata come lei e amo le donne perché siamo tutte un po' sbagliate. Forse è per questo che amo interpretarle: le eroine non mi piacciono, l'umanità è piena di imperfezione e più interpreto personaggi simili più faccio pace con me stessa". Gli anni più belli? "I migliori per Gemma sono quelli che verranno e forse anche per me", conclude.