Una vita in fuga, la recensione: la bandiera bianca issata da Sean Penn

La recensione di Una vita in fuga: Sean Penn torna in concorso a Cannes con un'opera biografica troppo sentimentale, ricattatoria e ridondante.

Flag Day 3
Flag Day: una scena del film

L'ultima occhiata verso la Croisette era stata piena di amarezza e un pizzico di rancore. Non si erano lasciati bene Cannes e Sean Penn. Nel 2016 Il tuo ultimo sguardo aveva deluso la critica, che non aveva avuto pietà per un film davvero terribile. Talmente poco riuscito da essere ricordato soltanto per il clima di tensione tra Penn e Charlize Theron (che si erano appena lasciati) in conferenza stampa. Apriamo la nostra recensione di Una vita in fuga (Flag Day in originale) rievocando brutti ricordi che, purtroppo, non sono del tutto scomparsi. L'ultima regia di Penn scava a piene mani in un rapporto padre-figlia problematico e sofferto in cui il nostro ha sicuramente rivisto sé stesso. Un transfert emotivo confermato dalla presenza di sua figlia Dylan Penn nella parte della protagonista. Però non tutti si chiamano Clint Eastwood. Non tutti hanno quel senso della misura, non tutti sanno dare forma a un cinema asciutto e per questo ancora più ficcante. E così Flag Day diventa presto un'opera sentimentale sovraccarica, ridondante e decisamente troppo ricattatoria.

Flag Day 1
Flag Day: una scena del film

L'amore che resta

Flag Day 2
Flag Day: una scena del film

La favola dei papà dipinti come i principi azzurri delle loro bambine non tramonta mai. Succede anche nelle campagne assolate degli Stati Uniti d'America, dove la piccola Jennifer culla il dolce ricordo di un padre amorevole e giocherellone. Un eterno Peter Pan che insegna a prendere la vita come viene, a sentirsi liberi, a non avere paura. Peccato che dopo quasi vent'anni quella memoria si sia del tutto sgretolata. Papà John, infatti, è ormai diventato un fuorilegge. Un ladro e un falsario braccato dalla giustizia. Ma una figlia potrà mai condannare davvero un genitore? Parte da questa domanda Sean Penn. Un dilemma che dovrebbe sfiorare il cuore di tutti, ma non farà mai davvero breccia. Questo perché Flag Day vuole sottolineare di continuo la dolcezza degli affetti e i dolori della vita. E lo fa in modo talmente forzato e poco sincero da risultare fastidioso. Nonostante il film sia tratto dal libro autobiografico Flim-Flam Man: The True Story Of My Father's Counterfeit Life, scritto da Jennifer Vogel, Flag Day non riesce mai a essere autentico. Anzi, nemmeno il fatto di essere ispirato a una storia vera lo aiuta a trovare un reale motivo d'interesse. Sia pure nella storia, che qui appare scialba e banale.

Una vita in fuga: il nuovo film di Sean Penn con star sua figlia Dylan ha una data di uscita

Volume troppo alto

Flag Day 4
Flag Day: una scena del film

Il titolo del film accende una miccia. Cos'è quella bandiera? Cosa rappresenta? È chiaro che la vicenda di John Vogel abbia tutte le carte in regola per ragionare sugli effetti collaterali del sogno americano, sul mentire a sé stessi pur di cavalcare il modello vincente del cowboy a stelle e strisce. E invece no. Tutto si risolve nel deprimente calvario di Jennifer, costretta a sopravvivere a un padre e una madre incapaci di essere genitori, al loro affetto deviato, alla loro incapacità di proteggerla. Peccato che tutto questo venga raccontato urlando dall'inizio alla fine. Colpa di una scrittura alla continua ricerca dell'effetto shock e di una direzione davvero poco ispirata di un cast costantemente sopra le righe (si salvano soltanto i due camei quasi evanescenti di Josh Brolin e Regina King). Senza dimenticare una messa in scena ripetitiva nel proporre sempre lo stesso schema: grande canzone pop, rallenty e flashback. Flashback, grande canzone pop e rallenty. E così via. All'infinito. Cambia l'ordine degli addendi, ma il risultato no. Una vita in fuga si autocelebra e per questo non riesce mai a farci soffrire con i personaggi, incapaci di ottenere la nostra empatia. Sean Penn non cancella i vecchi rancori, e sulla Croisette issa una bandiera senza ispirazione e senza vento.

Conclusioni

Nella nostra recensione di Flag Day abbiamo rivisto i fantasmi del passato. Perché il ritorno di Sean Penn a Cannes ci ha ricordato la cocente delusione del 2016. Questa volta il regista americano punta tutto sulla vera storia di un rapporto padre-figlia da rinsaldare, ma non riesce mai a fare breccia nel cuore del pubblico. Colpa di una scrittura ricattatoria, di una recitazione poco ispirata e di una messa in scena ridondante.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
2.5/5

Perché ci piace

  • L'immaginario di riferimento, ovvero l'America rurale di periferia, è visivamente affascinante.
  • Le musiche scelte sono bellissime...

Cosa non va

  • ...ma utili solo ad "alzare il volume" di un film che vuole scuotere il pubblico volendo commuovere a tutti i costi.
  • Il cast è davvero poco ispirato.
  • La struttura del film è ripetitiva e stucchevole.