Prima degli anni settanta il genere horror era vincolato al concetto di oscurità. La minaccia, qualunque fosse la sua natura, sarebbe sempre emersa dalle tenebre: demoni, spettri, vampiri e altre storture mostruose erano i "figli della notte" che avevano la loro fissa dimora nell'ombra, perché è nell'ombra che risiede l'ignoto. Negli anni settanta il clima di sfiducia e disillusione generale si riflette sul cinema e cambia le regole del genere. L'orrore comincia a manifestarsi specialmente in pieno giorno: gli e le adolescenti protagonisti dello slasher si allontanano dalle proprie case per le vacanze credendo che ad aspettarli sia l'estate della loro vita, ignari dei pericoli che affronteranno e per cui, con ogni probabilità, periranno. Sopraggiunge l'epoca del summer horror, o anche camping horror, terreno su cui lo sguardo moralistico, il cautionary tale e lo sfruttamento dei corpi rappresentati dallo slasher si unisce a un racconto (spesso on the road) sull'irresponsabilità, che trova nella luce del sole e nella vulnerabilità data dal relax estivo il palcoscenico perfetto per mettere in mostra la carneficina punitiva.
Il summer horror, o anche vacation horror, è in pratica l'antitesi dell'home invasion: mentre ai fini della costruzione del secondo è sufficiente e necessario che i protagonisti si percepiscano al sicuro fra le mura di un luogo domestico che verrà assediato, il summer horror consente un incontro fra adolescenti e "mostri" proprio grazie alla decisione dei primi di lasciare quel posto sicuro. Vediamo allora quali sono i cinque summer horror imperdibili, dagli anni settanta a oggi.
5. Venerdì 13
Avrebbe dovuto chiamarsi Long Night at Camp Blood, ma la sua delineazione del camping horror resta paradigmatica anche con il titolo ufficiale: stiamo ovviamente parlando di Venerdì 13, film diretto nel 1980 da Sean Cunningham. Impossibile enumerare gli epigoni di Venerdì 13 e quantificare con precisione il suo influsso eterno sul summer horror e sullo slasher, in generale. Dell'Halloween carpenteriano si copia la formula narrativa ma a variare è la location e, con sé, l'accezione dell'orrore. Siamo lontani dalle aree urbane che permettevano a Michael Myers di annidarsi nelle case lasciate alle babysitter di Haddonfield, ma siamo approdati a Crystal Lake, dove frotte di adolescenti si danno al divertimento sregolato e svincolato dal controllo genitoriale.
Purtroppo nessuno sa che Cristal Lake è la dimora di un "uomo", o un mostro, mascherato e armato, sospeso fra una dimensione umana e una dimensione sovrannaturale che ne fa una minaccia mai del tutto definibile. La struttura di Venerdì 13 si costruisce sulla sequela di omicidi violenti che scandiscono la narrazione slasher più classica: un gruppo di adolescenti che vogliono sentirsi liberi ed esprimere la propria sessualità in modo attivo viene punito da una sorta di figura genitoriale deviata (e in cui si riassumono i sessi di entrambe i genitori). La carneficina di Venerdì 13 è, dunque, il risultato grafico del contenuto moralistico alla base dei summer horror.
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4. Quella casa nel bosco
Una doverosa premessa: Quella casa nel bosco non sarebbe stato realizzato senza l'esistenza de La casa (1980), cult movie di Sam Raimi, e non potrebbe esistere se non in funzione di un'analisi sull'horror che parte da quell'opera e dall'influenza proiettata sul genere tutto. Quella casa nel bosco, però, merita un posto all'interno di questa classifica perché riesce a condensare all'interno della sua struttura narrativa tutti i tropi che sostengono lo slasher e, in particolare, il summer horror. Il gruppo di adolescenti protagonisti è organizzato per tipologie ricorrenti: la vergine, l'atleta, lo sciocco, la ragazza promiscua, e così via. Ognuno è perfettamente identificato e ognuno si appropria di un totem, una volta recatosi nell'archetipico seminterrato dei segreti, che ne determinerà la storia e la traiettoria personale.
Inoltre non si giungerà alla "casa nel bosco", altro tropo classico del genere, senza prima incappare nel tradizionale incontro premonitore a una pompa di benzina lungo il tragitto. Lo scorrere della narrazione rivelerà che la verità è ben diversa dalle apparenze che le esistenze dei ragazzi e delle ragazze potrebbero essere osservate e manipolate ai fini della soddisfazione di un pubblico che non vuole essere "tradito" dall'elemento della sorpresa. Dopo la diade craveniana di Nightmare - Nuovo incubo e Scream, Drew Goddard firma dunque l'horror metafilmico del nuovo millennio e suggella definitivamente la forma del vacation horror, prendendosi gioco dei suoi meccanismi basilari e affacciandosi anche ad altri generi cinematografici, fra cui la fantascienza.
3. Midsommar - Il villaggio dei dannati
Quella casa nel bosco è solo un esempio di quanto il summer horror sia cambiato con l'arrivo del nuovo millennio, ormai più interessato a decostruire le dinamiche del genere più che ripeterle e confermarle. Midsommar - Il villaggio dei dannati, secondo lungometraggio di Ari Aster, preserva lo spirito, l'estetica e parte dell'ideologia del summer horror per privarlo della sua componente moralistica e ribaltarne il senso profondo. Con la sua profonda mutazione degli ultimi anni la fobia esterofoba di cui si nutre il sottogenere viene utilizzata solo per riflettere sulla cultura occidentale e sulla società statunitense, nonché arricchire i personaggi di una complessa dimensione psicologica.
Centrale è il trauma della protagonista Dani (Florence Pugh), da cui si costituisce la ragione per cui verrà condotta nel mondo dei "mostri": sulle orme del_ The Wicker Man_ di Robin Hardy, nel solco del folk horror dai tratti antropologici, Aster affida a una comunità europea la componente orrorifica della sua opera ma anche quella salvifica. È il racconto di formazione di una donna che rinasce, quasi letteralmente, scivolando da un mondo all'altro: da quello maschile della famiglia di provenienza (putativa e composta dal suo fidanzato con i suoi amici) a quello prevalentemente femminile svedese; da quello americano a quello europeo; da quello in cui può solo aspirare a un ruolo marginale a quello in cui è eletta come Regina di Maggio, simbolo di fecondità e di rifioritura. Il dolore di Dani, un peso per il gruppo di provenienza, si fa tratto identitario della nuova famiglia che l'adotta, perché in grado di stabilire un contatto profondo ed empatico con la sua persona.
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2. Non aprite quella porta
Prima ancora che il sottogenere dello slasher venisse codificato, Non aprite quella porta era lo slasher per definizione. Ed è anche un perfetto summer horror, senza il quale opere derivate come Venerdì 13 non avrebbero visto la luce: l'incontro con creature ignote, che abitano territori inospitali, qui è dato dal viaggio intrapreso dagli adolescenti protagonisti del film, definitivamente separati dal domestico e dalla civiltà per essere gettati in pasto (letteralmente) ai reietti della società. Consolidando gli elementi primari di Psycho in una formula ancora da ultimare, Non aprite quella porta simboleggia la decadenza della controcultura e del movimento "hippy" attraverso una storia essenziale che riflette sul nuovo tipo di violenza in via di diffusione negli Stati Uniti. Il nucleo famigliare deviante, composto di soli uomini, è perennemente osservato da una figura femminile (quella della nonna) che non ha alcuna influenza su di essi. Risultato di questa devianza è il cannibalismo, metafora del mondo utilitaristico: le identità e la morale sono piegate all'utilitarismo, e all'idea che le persone esistano in quanto "cibo" di altri. È anche il primo film in cui compare una final girl propriamente detta, la Sally Hardesty che verrà salvata in extremis da un altro uomo.
1. Lo squalo
Una classifica dei summer horror non può prescindere dalla presenza de Lo squalo, opera tanto incatalogabile come solo horror quanto influente per il genere nella sua complessità: dal prologo strutturato sui dettami dello slasher all'indagine hitchcockiana sugli omicidi che traumatizzano la piccola città di Amity Island (non così dissimile dalla Bodega Bay de Gli uccelli), il capolavoro di Steven Spielberg merita un posto di rilievo in una discussione sull'horror, malgrado la titubanza con cui il film vi si approccia. Nella sua seconda parte, Lo squalo si apre alle mareggiate della grande avventura classica della Golden age hollywoodiana: i grandi divi sono Roy Scheider, Richard Dreyfuss e Robert Shaw, che incarnano gli eroi chiamati all'impresa. L'opera fonde pertanto due anime cinematografiche apparentemente inconciliabili, trovando i punti di contatto fra il kolossal e il piccolo film di genere: le fauci dello squalo che si divaricano sotto le gambe di una ragazza che nuota al largo, sul poster del film, sono solo una delle tante immagini che rappresentano l'aspirazione all'orrore che anima la sensibilità di Steven Spielberg. Inoltre l'opposizione fra gli eroi e la creatura, che rappresenta le ostilità della natura, è ciò che permette a Lo squalo di incasellarsi perfettamente nel ragionamento sul summer horror: l'uomo è costretto ad abbandonare il suo habitat per immergersi in un ambiente ignoto, governato dal mostro da affrontare.