La prima ambizione di Ferie d'agosto, scritto nel 1994, girato nel 1995 e uscito nel 1996, era quella di raccontare un momento, sospeso nel tempo delle vacanze estive. Un inizio di una nuova stagione politica e di una nuova Italia, quindi l'inizio di un Paese che pretendeva nuove sfide, orizzonti e visioni per superare i soliti scogli e le solite contraddizioni. Il pregio migliore del film è quello raccontare l'impossibilità di tale scopo data la nostra italica natura, nostalgica e incline a semplificare tutto per renderlo dibattito da salotto, tifo da stadio e protagonismo. Come diceva Jep Gambardella: "Siamo un popolo di intervistati", forse perché spinti da una voglia di auto-affermazione che cela una grande fragilità, a prescindere da partiti e credenze.
La fragilità è ciò da cui è partito Paolo Virzì, che è sfuggito alla trappola dell'opera seconda, raccontando un altro inizio senza dimenticare però l'idea della ciclicità del tempo e quindi tenendo in considerazione chi aveva vissuto la fine della stagione precedente. Una visione multigenerazionale per parlare di una sorta di staffetta. Spirito che ha mosso anche Un altro Ferragosto (qui la nostra recensione).
A differenza del capitolo precedente, Virzì (con Francesco Bruni e il fratello Carlo) ha deciso di parlarci di una fine, dunque mantenendo la formula sopracitata, ma stavolta tenendo lo sguardo rivolto prettamente verso il passato. Così facendo il regista toscano getta la più grande ombra che un narratore possa concepire quando racconta una storia, ovvero metterne in dubbio un possibile futuro. Le due estati di Virzì a Ventotene hanno permesso un confronto tra due epoche diverse del nostro Paese, cercando di allargare l'analisi a più generazioni in modo da interrogarci nel modo più completo possibile riguardo le nostre percezioni e le nostre aspettative dell'Italia: esistono veramente un passato, un presente e un futuro? Ha senso di parlare di inizio o di fine?
Un Italia da operetta
C'è un momento in Ferie d'agosto in cui la famiglia Mazzalupi e la famiglia Molino si confrontano occhi negli occhi, mettendo da parte denunce, tafferugli e messaggi al veleno per interposta persona. Un momento in cui il film si ferma, respira e sospende la storia per dare spazio al dialogo, quello che dovrebbe portare da qualche parte, indicare una strada, oppure, almeno, decretare un vincitore, quale sia il lato che sta dalla parte giusta della Storia. La soluzione però non c'è, così come non c'è la sentenza che può dare una qualche forma al duello rusticano. L'unica cosa che si capisce è che le vecchie divisioni devono essere superate: nell'Italia che sta ripartendo fascisti e comunisti non hanno posto.
In Un altro Ferragosto si presenta la medesima situazione. Ci sono i cori da stadio, c'è un pubblico tutto intorno ai protagonisti della tenzone e davanti agli occhi dello spettatore si consumano, nonostante la promessa del "siamo tutti concittadini italiani", i soliti discorsi, le solite ripicche, le solite divisioni, le stesse che non doveva trovare posto nel nuovo Paese che stava nascendo. Anzi, di più, questa volta le differenze sono ancora più esasperate a causa di un mondo che sembra essere sfuggito di mano, andato troppo avanti e ad una velocità spedita perché le parti in causa possano anche solo vantarsi di essere fautori di un corso che deve rinascere.
Se nel primo film infatti i contendenti rappresentavano in modo attivo una corrente piuttosto che un'altra, nel secondo essi sembrano disperatamente attaccati ad una posizione passata per evitare di venire travolti da una stagione politica, economica, sociale, storica e umana che li ha in verità atterriti, confusi e resi ancora più fragili. Quel senso di leggera ridicolezza che permeava le famiglie negli anni '90 ora è divenuto un velo caricaturale di disperazione profonda. I componenti della famiglia Mazzalupi e della famiglia Molino sono diventati macchiette, mostriciattoli travestiti di una superficialità che ha la funzione precisa di riempire un vuoto e una confusione esistenziale comune. L'ironia è che quello che li unisce è uno stato dell'anima e non più l'essere nati nello stesso Paese, cosa che dovrebbe a maggior ragione evitare loro di duellare ancora e ancora. Attività che invece intendono intraprendere perché il ruolo che acquisiscono in tale contesto permette di definirsi ancora un po'.
Un altro ferragosto secondo Laura Morante, Silvio Orlando, Sabrina Ferilli e Christian De Sica
"Stiamo morendo"
L'essenza dei protagonisti esce fuori una volta allontanatisi dall'arena, quando arriva il confronto con se stessi attraverso la relazione umana, sia con i loro cari più prossimi che più distanti e sia con il diverso, che possa essere della famiglia opposta o un esterno al teatrino che anima le due pellicole. Mentre però in Ferie d'agosto, dove si narra un inizio, tutti i personaggi si sforzano di rimettere insieme i cocci, trovando un modo per ricominciare, andare avanti accontentandosi anche di un miope senso di tribù (un termine tanto caro al cinema italiano di questi ultimi anni) correndo il rischio di chiudersi all'altro, in Un altro Ferragosto, dove si narra una fine, questo non è più possibile. Le generazioni non riescono più a comunicare tra di loro perché parlano due lingue differenti e perché appartengono a due mondi differenti. Ciò che li unisce è solamente un senso di frustrazione in cui i giovani si sentono abbandonati e i vecchi troppo in colpa per trovare la forza di guardarli negli occhi.
I cocci rotti non si possono più mettere insieme, il banco è saltato e ormai i tempi sono sfuggiti di mano, e non c'è spazio neanche per una tenerezza come quella di due giovani che si baciano nonostante una sia "fascista" e l'atro radical chic. Paolo Virzì conclude il suo film con un senso angosciante di fine, di resa e di morte. Sotto l'Italia da operetta ci sono rovine tali da non essere più in grado di sostenerla e, cosa ancora più grave, non c'è una prospettiva per ricominciare a costruire qualcosa, come se la ciclicità di fosse fatalmente interrotta. In quest'ottica allora Ferie d'agosto raccontava l'inizio di un'ultima stagione, mentre Un altro ferragosto, nel 2024, ne racconta la fine. Forse è un bene? Magari, messo a fuoco, qualcosa riuscirà a cambiare.