È disponibile su Starz Play (visibile anche su Prime Video) con un nuovo episodio ogni domenica, per un totale di otto, Dr. Death, serie creata da Patrick Macmanus che racconta la vera storia di Christopher Duntsch, giovane e brillante neurochirurgo di Dallas che comincia a insospettire i suoi colleghi quando molti dei suoi pazienti muoiono o subiscono danni permanenti dopo essere passati sotto i suoi ferri.
Protetto dal sistema, che invece di indagare si limita a spostarlo da un ospedale all'altro, Duntsch è diventato l'ossessione di due suoi colleghi, Robert Henderson (Alec Baldwin) e Randall Kirby (Christian Slater), sconvolti dall'utilizzo criminale che ha fatto della professione medica. Aiutati da una giovane avvocatessa, Michelle Shughart (AnnaSophia Robb), il trio ha dato letteralmente la caccia all'ex promettente chirurgo, cercando di incastralo raccogliendo prove schiaccianti.
A interpretare Christopher Duntsch è Joshua Jackson, indimenticabile per i ruoli di Pacey e di Peter Bishop rispettivamente in Dawson's Creek e Fringe: questo è probabilmente il ruolo più complesso e difficile della sua carriera. Come ci ha confermato il creatore di Dr. Death, Patrick Macmanus, che abbiamo incontrato su Zoom.
Dr. Death: raccontare Christopher Duntsch
Come ti è venuta l'idea di Dr. Death?
In realtà non è merito mio. Stavo lavorando a un'altra serie, Happy!, e le produzioni Wondery ed Escape Artists mi hanno chiesto se mi andasse di lavorare a questo progetto. Ero uno degli scrittori che hanno contattato e mi hanno mandato i primi due e tre episodi tre mesi prima che fosse presentato al pubblico e mi ha conquistato immediatamente. Mi ricordo quel momento: ero seduto nel mio ufficio, infelice. Guardavo fuori dalla finestra, guardavo l'Empire State Building, e intanto stavo ascoltando uno degli episodi e devo aver fatto uno sguardo folle. È una storia così disturbante, ma mi ha conquistato. Ho lottato per riuscire ad ottenere questo lavoro. Dipende sempre tutto dai personaggi. In genere, soprattutto per quanto riguarda il genere true crime, è che in genere il cattivo è una figura tragica e interessante. Ma la verità che riguarda questo personaggio è molto più complessa: sarebbe facile chiamarlo psicopatico e ci farebbe sentire molto meglio. Invece era molto intelligente, molto tedesco, molto affascinante e carismatico. Se avesse scelto di dedicarsi soltanto alla ricerca invece di fare chirurgia oggi ne parleremmo in modo molto diverso. Abbiamo avuto la possibilità di mettere in luce tutti i suoi difetti, ma anche i suoi pregi. Voglio mettere in chiaro che penso che si meriti di rimanere in galera per tutto il resto della sua vita, ma anche che ha sprecato moltissimo potenziale, essendo un sociopatico narcisista.
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Duntsch pensa di essere l'eroe della sua storia, ma per tutti gli altri è un villain. Secondo te cosa rende tale un villain?
In ogni parte del mondo persone che compiono azioni orribili non le vedono in questo modo. Pensano di fare ciò che fanno per un motivo: anche se sono molto malate e hanno tendenze psicopatiche trovano sempre un modo molto razionale per spiegare le loro motivazioni. Siccome è un narcisista sociopatico, per Duntsch era impossibile riconoscersi colpevole: era genuinamente convinto che fosse ogni volta colpa dell'anestesista, del paziente, dell'amministrazione. Non riusciva a vedere la sua responsabilità. È genuinamente intelligente, genuinamente motivato: avrebbe avuto un futuro brillante se non si fosse fissato con la chirurgia. Questo lo rende "un villain" davvero unico. Da narratore, quando racconti la storia di "un villain" devi assicurarti di non trasformarlo in un personaggio a due dimensioni, devi cercare davvero di addentrarti nella psiche di quella persona. È complesso e complicato. Per me i migliori villain sono quelli che confondono il pubblico, che ci fanno pensare che forse potrebbero avere ragione.
Dr Death, la recensione: il medical drama da incubo (o il medical drama al contrario)
Dr. Death: tra medical drama e true crime
In genere in storie come questa a dare la caccia ai criminali sono poliziotti e detective, invece in Dr. Death sono due altri neurochirurghi a cercare di fermarlo. Com'è questo cambio di prospettiva?
Svolgevano semplicemente il loro lavoro quotidiano e non capivano come qualcuno potesse tradire la professione come ha fatto Christopher Duntsch: non ce l'hanno fatta a lasciar correre. Per me è stato molto interessante capire come un chirurgo è stato fatto fuori da due suoi colleghi. Sono stati aiutati da Michelle Sugar, avvocato giovane, appassionato e intelligente. Sapevo che loro sarebbero stato un trio formidabile di eroi. La cosa più interessante però è che loro si sono ribellati al sistema, un sistema fallato, che gli ha permesso di farla franca per molto tempo.
Quale parte della storia ti ha impressionato di più?
Sono un ipocondriaco: sono terrorizzato dalla morte e penso di morire per qualsiasi sciocchezza ogni giorno. Ho anche dei problemi alla schiena quindi la parte chirurgica mi ha terrorizzato: non penso sia necessariamente horror, è più una cosa mia. Per me la parte più interessante è il crollo del sistema. Penso che mettere in luce un sistema che non funziona sia importante per le persone. Poi, certo: ci sono moltissimi bravi dottori, infermieri e studenti di medicina che combattono per noi ogni giorno cercando di salvarci.
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Il medical drama è un genere a sé: come avete lavorato per raccontarlo da un punto di vista così unico?
Avevamo diversi obbiettivi: uno era quello di essere il più fedeli possibile alle procedure mediche, in modo che quell'uno-due percento di spettatori a conoscenza delle operazioni chirurgiche potesse notare che abbiamo raccontato tutto nel modo giusto. Le manovre, i suoni, i dialoghi: la serie è molto realistica, abbiamo lavorato con dei consulenti. Abbiamo pensato che l'autenticità avrebbe scosso ancora di più gli spettatori. Sapevamo anche che stavamo reinventando il genere true crime: raramente lo vediamo filtrato attraverso le lenti della medicina. Questo è un aspetto che ci ha intrigato molto, anche di più del lavoro sul medical drama.
Dr. Death: Joshua Jackson e Christian Slater sono i protagonisti
Perché hai scelto Christian Slater e Joshua Jackson?
Con Christian ci siamo incontrati a colazione. Sono una persona che non subisce il fascino delle star, credo sia un mio super potere in quanto showrunner: non impazzisco quando incontro gli attori e penso che loro lo apprezzino. Ma con lui, mentre stavamo parlando, l'ho interrotto per dirgli che ero cresciuto con lui e che apprezzo moltissimo il suo lavoro. Non mi capita mai. Lui è stato davvero gentile e mi ha detto che gli faceva piacere. Per me ha incarnato immediatamente l'essenza di ciò che è Randall Kirby. Che è una cosa difficile da spiegare: dovreste servi a parlare con lui per capirlo davvero. È una persona travolgente, appassionata, divertente. A volte esagera e può essere sfacciato. Ma sapevamo che avevamo bisogno di dare degli intermezzi comici alla serie, perché la storia è troppo dark. Voglio dire, il titolo è Dr. Death! È una serie oscura per natura, quindi dovevamo darle un po' di leggerezza. Sapevamo che Christian sarebbe stato in grado di portare in vita il personaggio.
Per quanto riguarda Josh: era importante che il personaggio di Christopher Duntsch fosse affascinante e carismatico. Ci voleva qualcuno in grado di dare l'idea che fosse impossibile che una persona così fosse in grado di farti del male. Doveva ispirare al fiducia che i pazienti ripongono nei dottori. Tutte i pazienti, le vittime, di Duntsch hanno detto che era affascinante, che sembrava sapesse perfettamente cosa stesse facendo. Josh era perfetto: lo fa da tutta la sua carriera, è il tipo di cui tutti si innamorano sempre. Lui ha dato la giusta dose di oscurità e fascino: non potrei essere più orgoglioso della sua interpretazione. Penso che, nonostante abbia una carriera trentennale alle spalle, questo ruolo sia uno dei più importanti che abbia fatto: mostra tutta la sua abilità come attore.
Dr. Death: una serie diretta da donne
Gli episodi sono diretti tutti da registe: So Yong Kim, Maggie Kiley e Jennifer Morrison. È stata una scelta precisa?
Ho deciso con grande anticipo che avrei voluto tutte registe donne per la serie. Per due ragioni: la prima è che questa è una serie molto maschio-centrica e volevo che ci fossero diversi punti di vista. La seconda è che la nostra società di produzione è guidata da mia sorella e mia moglie, sono stato cresciuto da donne e penso che a Hollywood si debba cercare di aiutarle il più possibile. Così come in tutte le industrie e in tutto il mondo. Volevo davvero contribuire. Allo stesso tempo non voglio che nessuno pensi che questa sia stata una specie di carità: queste tre registe sono bravissime, il fatto che fossero tutte e tre disponibili è stato un miracolo. Così come il fatto che mi abbiano tutte detto di sì. Sono stato fortunato a poter lavorare con loro.