Quando Donnie Darko, film d'esordio del giovanissimo Richard Kelly, arrivò nelle sale italiane il 26 novembre 2004, si portava già appresso la fama di film cult: "Il fenomeno cinematografico americano" e "Considerato tra i 100 films [sic] più belli della storia del cinema" erano le due frasi che campeggiavano nella locandina italiana.
Il film riuscì ad incassare oltre 2 milioni di euro (ben altra cifra rispetto allo scarso mezzo milione d'incasso americano) e fece presa sul pubblico di adolescenti che si perdevano nei meandri di questo film misterioso, enigmatico ma oltremodo affascinante. In realtà, il film arrivò in Italia con un ritardo di tre anni rispetto all'uscita originaria (il nostro fu l'ultimo Paese al mondo a portarlo in sala), tre anni in cui il percorso del film lo trasformò da un flop senza precedenti a film cult, tanto che ne abbiamo parlato anche nel nostro libro Cult. I film che ti hanno cambiato la vita.
28 giorni dopo: ecco quando il mondo finirà.
Richard Kelly era un giovane laureato in cinema di 23 anni quando, senza nulla da perdere e volendo dimostrare il suo valore, decise di scrivere la sua prima sceneggiatura per un lungometraggio. Donnie Darko nacque in una cantina di una casa universitaria, venne scritto in breve tempo e richiamò subito le attenzioni degli addetti ai lavori per l'ambizione dello script. Proprio l'ambizione e la complessità di questa storia a metà strada tra Breakfast Club e un cupo episodio di Ai confini della realtà con una spruzzata di (fanta)scienza (viaggi nel tempo, buchi neri, continuum spazio-temporali) se da un lato metteva in mostra il talento di Kelly, dall'altro frenava l'entusiasmo dei produttori nel concedere a un ragazzo così giovane la regia di questo film.
Fu grazie a Drew Barrymore e alla sua casa di produzione che Donnie Darko vide la luce e, inizialmente, tutto sembrava andare per il meglio, tanto da poter presentare una lunghissima versione del film (circa due ore e quaranta) al Sundance del 2001. Lì qualcosa però si ruppe e la reazione del pubblico fu quella tipica di un film che oggi chiameremmo "divisivo". Donnie Darko era un film che si amava o si odiava e questo spaventò molto i distributori che tergiversarono nell'acquisizione della pellicola. Il film trovò finalmente un'uscita al cinema per l'ottobre di quell'anno, ma un altro imprevedibile evento sancì la fine del suo successo: un mese dopo l'11 settembre 2001 nessuno aveva voglia di sedersi nel buio di una sala e vedere un film in cui era presente un disastro aereo che avrebbe portato all'apocalittica fine del mondo. Solo un anno dopo, con l'uscita del film nel Regno Unito e un'ottima campagna marketing, Donnie Darko iniziò una lunga ascesa verso il successo grazie al solo passaparola.
La collina dei conigli: perché indossi quello stupido costume da uomo?
L'immagine simbolo di Donnie Darko è sicuramente quella di Frank, il coniglio messaggero di un'altra realtà che si manifesta al protagonista Donnie (Jake Gyllenhaal) annunciandogli la fine del mondo. Inquietante, misterioso e oseremmo dire ineluttabile (tra poco ci arriviamo), Frank è il simbolo iconografico ed evocativo del film e il motore attraverso cui questo si svela allo spettatore. Chi è Frank nel film lo scopriremo solo nel finale, ma il motivo di fascino del personaggio sta nel ruolo che occupa all'interno della narrazione. Come se fosse l'Uomo Misterioso di Strade perdute, Frank conduce Donnie e noi spettatori nel labirinto di cortocircuiti (mentali per Donnie, narrativi per lo spettatore) del film.
Non è un caso che una delle sequenze più celebri sia quella in cui nello schermo del cinema si apre il portale spazio-temporale. A questo proposito è bene ricordare come di Donnie Darko esistano due versioni: una cinematografica e una Director's Cut che, a dispetto della nomenclatura, non corrisponde totalmente al taglio voluto dal regista. Lo stesso Kelly ha più volte dichiarato che quest'ultima è da considerarsi una versione alternativa che, a nostro parere, perde parecchio del fascino dell'originale. Puntando in maniera più esplicita sulla pura e semplice fantascienza, esplicando alcune sequenze con delle poco cinematografiche didascalie e caratterizzando senza filtri il protagonista come un supereroe (da notare che i nomi dei personaggi sono assonanti come i personaggi dei fumetti) la Donnie Darko - The Director's Cut non rende totalmente merito al fascino dell'originale che, invece, risultava imperdibile proprio per l'assenza di una spiegazione univoca e per il senso di mistero irrisolto che la pervadeva.
Donnie Darko: guida all'interpretazione
Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo: io posso fare tutto quello che voglio.
Quando si arriva alla celebre versione di Gary Jules della canzone Mad World dei Tears for Fears il film è ormai giunto alla conclusione e ci è arrivato con un espediente narrativo che solitamente oggi non viene più accettato: il Deus Ex Machina. Per chi non lo sapesse, è un'espressione latina che, nella tradizione della tragedia greca, simboleggiava la divinità che risolveva la trama senza seguirne i rapporti di causa ed effetto. È, insomma, quel personaggio o quell'evento che compare all'improvviso nella storia, di carattere divino o estraneo alla vicenda e che nel suo manifestarsi sembra un evento improbabile. Solitamente il Deus Ex Machina provoca un forte straniamento nello spettatore che rischia di "uscire" dal film e per questo è considerato un esempio di scrittura pigra e conveniente. Donnie Darko, però, è l'eccezione che conferma la regola. Rendendolo esplicito fin da subito, sia visivamente che narrativamente, il deus ex machina diventa il burattinaio a cui tutti i personaggi, nessuno escluso, si devono sottomettere. Ogni azione all'interno del film è frutto del motore della divinità che usa la comunità di Middlesex, dove è ambientato il film, per evitare la fine del mondo.
Per questo motivo gran parte del film è basata sulla dicotomia di "Paura" e "Amore": la vita, secondo una professoressa del liceo di Donnie, sta tutta qui, tra queste due emozioni. E anche lo spettatore viene catapultato tra questi due estremi: in parallelo seguiamo Donnie sia alle prese con l'inquietante Frank sia mentre vive la storia d'amore con Gretchen (Jena Malone). In una divertente scena, Donnie insulterà la sua professoressa dicendo che lo spettro delle emozioni umane è più complesso di questa semplice dicotomia, ma alla fine, tutto l'intricato film non è nient'altro che una storia di sacrificio per amore. Parafrasando Dante Alighieri che concludeva la sua Commedia scrivendo dell'amore come di un deus ex machina, Richard Kelly fa un miracolo cinematografico e, nel suo cinico, cupo e tragico epilogo, regola un pazzo mondo da un amore divino.
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