Dion Beebe non mette a fuoco

Il digitale è un formato, un lessico non ancora standardizzato e l'utilizzo di tale mezzo comporta, ineluttabilmente, la necessità di sperimentare, di "improvvisare, seguire il flusso dell'imprevedibilità del jazz", come, per tutto il film, è costretto a fare ed a ripetere il grigio-killer/Vincent/Cruise.

Collateral è un film importante nel panorama della cinematografia del ventunesimo secolo perché segna l'ingresso del digitale nell'olimpo del cinema hollywoodiano. Altri film, prima, anche prodotti in Europa, avevano certamente adottato le tecnologie HD, ma mai ne era stato fatto un uso tanto estensivo come in questo film. La consacrazione che ne deriverà al digitale è assicurata grazie ai nomi di cast and crew che rilucono nel film.

Il digitale è un formato, un lessico non ancora standardizzato e l'utilizzo di tale mezzo comporta, ineluttabilmente, la necessità di sperimentare, di "improvvisare, seguire il flusso dell'imprevedibilità del jazz", come, per tutto il film, è costretto a fare ed a ripetere il grigio-killer/Vincent/Cruise e come è costretta a fare anche la triade Mann/Cameron/Beebe (il regista ed i due direttori della fotografia).
Iniziato con la direzione della fotografia di Paul Cameron, Collateral è proseguito, dalla terza settimana di riprese in poi, con Dion Beebe poiché il primo cinematographer ingaggiato è stato allontanato per divergenze creative con il regista.

Come lo definisce lo stesso Michael Mann, Collateral è un film compresso che presenta, in sceneggiatura e sul grande schermo, le tre unità aristoteliche di tempo di luogo e di azione e, per questo, svolgendosi tutto in una notte e quasi in un unico ambiente, necessitava di una omogeneità dettata dalla fotografia. L'inconveniente di dover necessariamente interrompere il lavoro del primo cinematographer avrebbe potuto creare degli scompensi nell'armonizzazione tra le scene girate da Beebe e quelle girate da Cameron, ma ciò non è accaduto e questo è uno degli elementi che rende particolare il lavoro sul film compiuto da Beebe, che ha saputo riprendere, pur conservando il proprio stile e le proprie caratteristiche peculiari, il lavoro di Cameron senza far notare il passaggio del testimone, tanto che la fotografia del film è stata firmata da entrambi i direttori della fotografia.
Ma oltre all'importanza che riveste per l'uso del digitale, Collateral è molte altre cose. È il grigiore, il colore desaturato, l'opacità, le illuminazioni al neon, e quelle fluorescenti, le pubblicità da video-clip di una Los Angeles mai vista prima: la macchina da presa digitale di Collateral, come osserva Matteo Columbo, "attraversa spietata ed estremamente sensibile, classica e sperimentale insieme, una Los Angeles persa e rivelata".

L'assenza di colori vivi, nel film, richiama il personaggio di Vincent (Tom Cruise) che ha i capelli di un grigio metallico e veste un abito dello stesso colore: ciò che Beebe, Cameron e Mann volevano ottenere era una città ordinaria e squallida come la storia che vede svolgere, quella notte, Los Angeles tra le sue strade attraversate dalla routine, grigie come gli occhi illuminati di un coyote grigio che attraversa la strada, ordinario e straordinario insieme - simbolo di una corruzione e di un allontanamento dalla natura ormai irrecuperabili.
L'altro personaggio, quello di Max (Jamie Foxx), ci aiuta ad inserire un argomento che tratta dell'elemento peculiare della fotografia di Dion Beebe. Il taxi driver di Collateral, infatti, non viene caratterizzato solo come un uomo ordinario, immerso nella routine, che sogna di fuggire in un mondo che non gli apparterrà mai, ma anzi, sin dall'inizio, è caratterizzato anche come un uomo dotato di capacità osservatorie non comuni; tale discorso sul punto di vista di Max chiama in causa, necessariamente, quel concetto fotografico peculiare a Dion Beebe che è la sfocatura: molte delle inquadrature di Collateral risultano sfocate, come se tra l'occhio di chi guarda (la macchina da presa? Max? Vincent? Lo spettatore?) e chi è guardato ( Vincent? Max? Los Angeles? Il coyote? Lo spettatore?) si interponessero sempre degli elementi - lastre trasparenti, parabrezza frantumati, vetri protettivi, vetri scritti e coperti da adesivi, finestrini, veli - atti a sfocare e dunque ad occultare l'osservato. Questa sfocatura appare spesso connessa con il momento in cui viene inquadrato Vincent: Tom Cruise è il primo dei due attori a comparire nel film e, pur se il suo personaggio è un uomo che tenta di nascondersi e di mimetizzarsi tra le persone comuni, in realtà è un uomo fuori dall'ordinario, che riesce sì ad occultarsi tra gli altri, ma la prima immagine che ce lo mostra lo vede emergere da un gruppo di volti sfocati, proprio per mettere a fuoco la sua straordinarietà celata, per mostrarcelo in contrasto con gli altri volti che scendono dalla sua stessa scala mobile. Più tardi Vincent sale sul taxi di Max. E Max ormai, a questo punto del film, lo conosciamo già: ricordiamo che la donna avvocato che ha accompagnato in ufficio, Max la scrutava spesso attraverso lo specchietto retrovisore e spesso le di lei inquadrature sono state soggette ad un effetto flou. Dal momento in cui Vincent sale sul taxi di Max gli effetti, su di lui, di soft-focus, effetto flou, sfocatura o interposizione di materiali trasparenti - come dei vetri opachi - tra il volto di Tom Cruise e la macchina da presa si moltiplicano. Sembra, proprio, dunque, che la sfocatura sia direttamente connessa con lo sguardo del personaggio interpretato da Jamie Foxx che, forse non a caso, indossa degli occhiali da vista: nonostante la sua sagacia e la sua attitudine a cogliere i particolari e ad inquadrare le persone, dimostrate durante il dialogo con l'avvocatessa, Max non è in grado di capire e di mettere a fuoco l'uomo che è salito sul suo taxi. Non capisce di avere davanti a se un killer finchè un cadavere non gli cade letteralmente addosso.
La miopia interiore di Max gli impedisce di capire chi sia veramente Vincent: ma ciò va ben oltre il non capire che Vincent sia un killer. Lo sguardo miope e sfocato della macchina da presa di Dion Beebe, infatti, è qui, oltre che lo sguardo di Max, anche quello dello spettatore che non riesce a penetrare, pur sentendo - come Max - per lui un affezione teoricamente ingiustificata, l'animo di Vincent. Di quest'uomo venuto da chissà dove, infatti, né Max né lo spettatore sanno molto: mai si saprà se ha una famiglia, se ha degli affetti, perché è divenuto un assassino, e mai si sapranno neanche cose molto più banali come, ad esempio, come possa credere di cavarsela in una situazione tanto assurda. Eppure, pur non conoscendo le sue origini e la sua quotidianità, sappiamo, di Vincent, molto più del suo animo e del suo modo di pensare di qualsiasi altro personaggio del film.
Nonostante ciò c'è sempre qualcosa che ci impedisce di leggere affondo dentro di lui, qualcosa ci occulta la vista e ci impedisce di decifrarlo... viene da pensare, allora, se l'effetto fotografico di sfocatura non sia stato apportato da Dion Beebe proprio per mettere l'accento sulla vacuità della società, in cui - come Max - si può credere di essere accorti e di poter conoscere le persone attraverso la loro esteriorità, perché sappiamo che indossano un tailleur ed una borsa di Bottega Veneta - come si dice nel film - e possiamo allora individuare la loro professione, ma poi non riusciamo a decodificare l'animo, a leggere dentro qualcuno che indossa un completo grigio ed anonimo ma ci parla del jazz, dei nostri sogni, delle guerre imperialiste, della società in cui viviamo... come se fossero gli oggetti e gli status simbol stessi a renderci miopi ed a girare la ghiera dei fuochi di Dion Beebe.

La sfocatura di Collateral sembra anche collegarsi con il senso di solitudine e di indifferenza che si vive nelle metropoli odierne, non a caso anche questo è uno degli argomenti trattati da Vincent che racconta a Max di un uomo morto, in una grande città, sul sedile della metropolitana e di come nessuno se ne sia accorto per più di sei ore, nonostante il metrò fosse pieno ed in molti si fossero seduti acanto a lui in quelle ore e, ancora, non è un caso, che questo tipo di morte è quello che di lì a poco attenderà Vincent. A tal proposito, dichiara Mann stesso, che ciò che lo interessava, girando Collateral, era "che i luoghi facessero trasparire un mondo alieno, un deserto rosso losangelino, che questi luoghi con la loro semplice esistenza dessero una lezione visuale sulla società odierna" perché, ammette ancora Mann, "ha sempre pensato che l'architettura influisca sulle relazioni; per questo, anche, si è optato per una luce bassa e l'uso del digitale che ha reso possibile il fatto che non si percepisca mai il fondo della scena, che non si penetri la superficie e si abbia la continua impressione di vedere qualcosa laggiù di indefinito".

Le parole di Mann sembrano ricollegarsi perfettamente con il concetto di indifferenza e solitudine presenti nel film e sembrano unire ad esso l'effetto di sfocatura: in un mondo in cui ognuno si occupa solo di sé, non curandosi degli altri, questi altri svaniscono in un fondo indistinto e sfocato, come fossero solo il contorno, l'ambiente, come avessero la stessa valenza e la stessa dignità delle auto, dei coyote, degli uffici ancora aperti e delle palme losangeline che ondeggiano al vento, ugualmente importanti se ci fossero o no, indistinti ed indistinguibili per un sentimento di indifferenza che pervade tutto ciò che non siamo noi stessi, tanto che Vincent uccide indifferentemente chiunque, solo perché deve farlo ed ogni uomo che passa sotto la sua falce è come quello precedente e quello successivo.
Quando Mann parla di un deserto rosso losangelino non sappiamo se si riferisca al film di Michelangelo Antonioni (Deserto rosso, 1964) o se sia solo un caso, fatto è che alcuni temi ricorrono, come il disadattamento ad una società onnivora ed insensibile, le architetture moderne ed urbane, i colori desaturati, il sogno di fuggire su una spiaggia deserta, il grigiore quotidiano e, soprattutto, l'assenza di profondità di campo, i soft-focus, gli effetti flou e le sfocature (nel film di Antonioni operate da Carlo Di Palma), allegoria dello stato d'animo della protagonista (Monica Vitti) e del senso di indifferenza che la società comunica a se stessa.

Ecco, allora, che il nuovo soft-focus di Dion Beebe torna a raccontare qualcosa di più del film in cui partecipa come cinematographer, come era già accaduto per il film di Jane Campion, In the Cut, dove il personaggio femminile ed il momento particolare che vive giustificano un appannamento ed una continua perdita di fuoco del film. Il mezzo utilizzato per riprendere Collateral, infine, il digitale, mezzo elettronico e molto più freddo della pellicola, che avendo a che fare con la chimica rimane legata, ancora, in qualche modo, alla natura, sembra rispondere perfettamente alle esigenze di una storia che narra la corruzione dell'uomo e della natura stessa, sofisticati in una società priva di calore e della ingenuità primordiale: forma e contenuto tornano a mostrare, in questo film, attraverso le tecnologie high definition, la loro compenetrazione.