"È uno dei registi più appassionanti del cinema americano contemporaneo. Era venuto a Cannes nel 2000, in proiezione di mezzanotte, con Requiem for a Dream. È un grande autore ed è imprevedibile: di primo acchito i suoi film non c'entrano nulla l'uno con l'altro, ma c'è una grande coerenza all'interno della sua filmografia. Michael Powell, il grande cineasta inglese, era così. È ammirevole che un regista possa fare dei film personali, fuori formato, con il sostegno degli studios, e quelli che hanno visto Madre! sanno di cosa parlo." Così si è pronunciato Thierry Frémaux, delegato generale del Festival di Cannes e ospite di Rencontres du 7ème Art Lausanne, su un'altra presenza illustre della neonata kermesse elvetica: Darren Aronofsky, protagonista di un omaggio a base di proiezioni (lui stesso ha presentato al pubblico The Wrestler, di cui si festeggia il decimo anniversario) e una masterclass tenutasi all'ECAL, la scuola di cinema, arte e design di Losanna. La conversazione è stata moderata da Lionel Baier e Benoît Rossel, entrambi cineasti e insegnanti.
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Metodi di lavoro
La prima domanda riguarda ciò che il cineasta considera più importante su un set. "Dipende da come va la giornata", spiega Aronofsky. "La mattina svuoto il set e sto lì da solo con gli attori, a preparare la scena. La proviamo davanti ad alcuni membri della troupe (direttore della fotografia, scenografo), poi gli attori vanno a farsi truccare, e iniziano le riprese. Inizialmente temevo che le prove influissero in negativo sulla scena girata, ma non è così. Può essere un problema con attori esordienti. Per le scene ad alto contenuto emotivo, però, è utile avere la macchina da presa pronta, perché quell'emozione può essere difficile da ricreare." Il tempo a disposizione per questa preparazione varia a seconda del singolo progetto: "Per Madre! abbiamo avuto 3-4 mesi di prove, mentre per Noah gli attori sono arrivati sul set due settimane prima dell'inizio delle riprese. In quel caso però il casting avviene con largo anticipo, quindi si possono comunque fare prove e parlare del film nel frattempo."
E come nascono i suoi lungometraggi? "I miei film di solito iniziano con un'idea, un'immagine, prima che si arrivi al soggetto vero e proprio. C'è qualcosa di invisibile, un tema che vuoi affrontare, e solitamente te ne accorgi solo quando sei a metà del processo di scrittura. Sono sempre stato molto invidioso dei cantautori, che riescono a scrivere una canzone intera in una giornata o meno, come Hey Jude che fu composta in un pomeriggio." A quel punto ha già in mente gli attori? "Non scrivo quasi mai pensando a un attore in particolare. Le due eccezioni sono The Wrestler e Il cigno nero, perché sapevo che gli interpreti principali sarebbero stati Mickey Rourke e Natalie Portman, per il resto non penso ad attori specifici perché capita che la mia prima scelta non ottenga la parte."
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Dimostrazione pratica
Legando la discussione al lavoro che gli studenti dell'ECAL hanno fatto analizzando l'opera di Aronofsky, viene proiettato uno spezzone di Requiem for a Dream: la sequenza scioccante dove i quattro protagonisti toccano il fondo, un montaggio alternato sempre più veloce e terrificante.
Com'è stata resa l'idea di quella scena in sede di scrittura? "Nel copione erano frasi semplici. Durante il montaggio abbiamo voluto che le inquadrature fossero gradualmente più brevi, contando proprio il numero di fotogrammi, quasi come se fosse un rullo di tamburi. Ci saranno sicuramente stati degli storyboard, ma non ricordo con esattezza."
Da lì si passa alla questione dei budget, di cui il cineasta conosce entrambi gli estremi. Cosa cambia passando da un film indipendente a un blockbuster? "Non cambia nulla. Non ci sono mai abbastanza soldi, ed è un bene. Se ne hai abbastanza sei fottuto. Le limitazioni alimentano la creatività. Con un budget più sostanzioso si tende a richiedere più tempo, e nel caso specifico di Noah ci interrogavamo sugli effetti speciali e sulla quantità di pioggia." Su richiesta di Baier, viene evocato l'esempio del finanziamento dell'opera prima Pi - il teorema del delirio, che Aronofsky ricorda con un pizzico di sarcasmo: "Non è più così interessante, perché adesso c'è Kickstarter. Noi abbiamo mandato delle lettere alle persone, chiedendo 100 dollari a testa con la promessa che, in caso il film andasse bene, ne avrebbero ricevuti 150."
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Domande del pubblico
Il primo quesito da parte di uno dei presenti in sala: a inizio carriera dubitava di se stesso mentre scriveva? "Lo faccio tuttora. Mi interrogo sempre su quello che sto facendo, e la scrittura in particolare è un processo faticoso, almeno per me che tendo a farlo da solo. Uno dei consigli migliori che ho letto era in una conversazione tra Lucas e Coppola: una volta che hai iniziato devi arrivare fino in fondo, e non guardare troppo indietro. La scrittura per me è come la scultura: se ti concentri troppo su una parte, il prodotto complessivo ne soffrirà. Tutte le parti devono funzionare allo stesso modo. C'è anche molta revisione: se guardate il mio hard disk ci saranno 50-60 stesure di Madre!". Sempre a proposito del suo film più recente, si parla della rimozione della colonna sonora: "Ho lavorato a lungo con Johann Johansson, ma ogni volta che provavamo qualcosa in termini musicali, si perdeva qualcosa nelle scene. Quel film è raccontato dal punto di vista di un unico personaggio, e non volevo che il pubblico sapesse cosa pensare, e con la musica ciò non sarebbe stato possibile."
Uno studente gli chiede quali siano i suoi film e attori preferiti, e il cineasta reagisce ridendo: "Non posso parlare di film preferiti, ce ne sono troppi. Per quanto riguarda gli attori, mi sarebbe piaciuto lavorare con Toshirô Mifune, Marlon Brando e Katharine Hepburn." Cosa pensa del cinema indipendente americano uscito negli anni Novanta, nel periodo in cui lui ha iniziato? "Ammiro registi come Wes Anderson, Paul Thomas Anderson, Spike Lee, Steven Soderbergh. Però non penso che tra di noi ci sia lo spirito di comunità che caratterizzava il cinema indipendente della New Hollywood. Non ho molti amici nell'ambiente, mi sono allontanato apposta da Los Angeles per non essere circondato da gente che parla solo di cinema."