Recensione Looney Tunes: Back in Action (2003)

Looney Tunes è perfetto per i bambini, che si divertiranno e rimarranno avvinti delle peripezie dei personaggio, ma è ancora più godibile per gli adulti, che si divertiranno a cogliervi riferimenti, citazioni e parodie.

Dante's World

"Benvenuta nel mio mondo" dice sardonico Daffy Duck in una delle battute più semplici ma al contempo rivelatrici di Looney Tunes: Back in Action. Una battuta non solo rivolta al personaggio interpretato da Jenna Elfman, ma anche allo spettatore, non pronunciata solo dal papero nero, logorroico ed irascibile, ma dallo stesso Joe Dante.
Con questo suo ultimo film Dante non ci porta infatti solo dentro al mondo dei Looney Tunes, ma a quello ancora più ampio e variegato del suo immaginario cinematografico, un immaginario costruito su quello che volgarmente viene definito come il cinema di serie B, quello che getta le sue radici nell'horror e nella fantascienza degli anni 50 e 60, passando per la Hammer di Roger Corman ed arrivando a molti prodotti contemporanei, tutti citati in questo film; un immaginario anche televisivo, e legato - ovviamente - al cinema d'animazione.

Nessuno meglio di Joe Dante avrebbe potuto realizzare un film del genere, che mescola in un vorticoso alternarsi d'avvenimenti, cartoon ed attori in carne ed ossa, trame di spionaggio e momenti di pura comicità. Un film dove i personaggi dei mitici cartoni della Warner ricevono finalmente il trattamento che meritano, dopo quello sfortunato Space Jam che ha irritato a tal punto il regista americano da spingerlo a lavorare su questo film.
Nel corso della lavorazione di Looney Tunes: Back in Action - ci dicono fonti molto vicine allo stesso regista - Joe Dante è stato spesso e volentieri frustrato dall'atteggiamento di una produzione che dall'altro della propria ignoranza imponeva tagli, cambi di battute, modifiche al copione che avrebbero snaturato completamente il progetto ed il tema dello stesso. Una produzione che viene per contrappasso sottilmente (ma non troppo) presa in giro dallo stesso Dante nel film, attraverso il personaggio di Jenna Elfman, giovane manager in carriera della Warner che licenzia Daffy perché i sondaggi non sono più dalla sua parte, dando così il via alla storia del film.
Se comunque come pare il film ha subito traversie produttive, c'è da chiedersi cosa sarebbe successo se Dante avesse avuto carta bianca, perché ci troviamo comunque di fronte ad un film divertente, intelligente e cinefilo.

Considerando il fatto che una delle sfide del film era indubbiamente l'interazione tra cartoon ed esseri umani, sul fronte tecnico siamo ovviamente a livelli altissimi, ma il miglior contributo a questa interazione è data da una sceneggiatura e da un tocco registico che rendono "cartoonosi" gli umani e umani i cartoon. Brendan Fraser e Jenna Elfman si adattano con facilità il ruolo che gli viene affidato da Dante, risultando credibili e convincenti.
Sul fronte della trama invece, la storyline principale - sorta di parodia delle storie di spionaggio a-la-Bond, con Timothy Dalton (già ex 007) nei panni della spia catturata dal supercattivo della ACME, e Fraser in quelli dell'eroe per caso che lo deve salvare in collaborazione con Daffy, Bunny e la Elfman - altro non è che un pretesto per un continuo alternarsi di sketch e citazioni parodistiche di film di ieri e di oggi. Citazioni continue, cinefile appunto, fruibili a diversi livelli da diversi pubblici; e proprio questo è uno dei punti di forza del film. Looney Tunes è perfetto per i bambini, che si divertiranno e rimarranno avvinti delle peripezie dei personaggio, ma è ancora più godibile per gli adulti, che si divertiranno a cogliervi riferimenti, citazioni e parodie. Ed è proprio per questi motivi che una certa qualche esilità della sceneggiatura - frammentata come in tanti singoli episodi dei Tunes - viene perdonata al film, che vuole essere più un divertissement che un "serio" racconto d'avventura.

L'obiezione di quanti, in un film del genere, leggono il declino di un Dante non più in grado di raccontare una storia "vera", e costretto quindi a nascondersi dietro una ragnatela di intertestualità e metacinematograficità è facilmente contraddetta. Contraddetta in primo luogo dall'innegabile forza delle immagini e delle vicende, perfettamente in grado di reggersi in piedi con le loro sole forze, ma anche dal fatto che un gioco alla citazione tanto sfacciato è perfettamente coerente con lo stile ed i trascorsi cinematografici del regista, che dell'omaggio a generi e forme oramai "andati" ha fatto un marchio di fabbrica inconfondibile.