Sta facendo molto parlare di sé la miniserie di Ryan Murphy Dahmer - Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer - questo in attesa della prossima miniserie del prolifico showrunner in arrivo il 13 ottobre, The Watcher, come annunciato all'evento TUDUM. Non solo perché l'autore televisivo è tornato ai fasti e al rigore di un tempo grazie alla storia vera e agghiacciante di uno dei serial killer più famosi di sempre, ma anche per l'orrore che racconta e la cartina di tornasole che offre degli Stati Uniti, di allora come di oggi. Torniamo su queste tematiche nella nostra spiegazione del finale di Dahmer - Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer, davvero costruito ad arte. Nell'articolo potrebbero esserci spoiler, anche se parliamo di una storia vera.
Killer Clown
L'episodio si apre con la presentazione di un altro serial killer, sulla bocca di tutti negli anni '70 e in carcere al momento della detenzione di Jeffrey Dahmer negli anni '90. Stiamo parlando di John Wayne Gacy (interpretato da Dominic Burgess), il cosiddetto "Killer Clown" che fece ben 33 vittime tutti maschi adolescenti sodomizzati, torturati e uccisi. In una sorta di "momento American Horror Story", Ryan Murphy riesce così a proporre sia il Clown Killer, legato alla Storia vera, sia la figura del Clown come unita a doppio filo all'horror, e quindi al soprannaturale. Come si collega questa vicenda a quella del protagonista della miniserie Netflix, a metà tra il biopic e il true crime? Nel giorno dell'esecuzione di Gacy, avvenuta per iniezione letale con lui che augura il peggio ai presenti, c'è un eclissi solare totale (evento estremamente raro) e Dahmer viene battezzato. Un contraltare di eventi ed emozioni che sancisce i mondi paralleli che convivono in questo epilogo.
Simpathy for the Devil
La prima tematica che affronta il finale di Dahmer - Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer è quella legata al Male che è dentro di noi, così come il Bene. La miniserie si chiede e chiede agli spettatori, soprattutto attraverso il personaggio di Niecy Nash, la vicina di casa di Jeff, Glenda Cleveland, se il Male puro esista o nasca sempre da qualcosa. Lo show prova a sfatare il mito Evil isn't born, it's made, ma in realtà non dà una risposta all'annosa domanda. A porre il quesito è anche lo stesso Dahmer, al prete del carcere, quando gli dice: "Una volta da bambino mi sono vestito da diavolo e mi sono sentito bene. Nei film come Star Wars tifo sempre per i cattivi. Lei crede che esista qualcosa come il Male puro?". Il prete potrà anche essere d'accordo, ma sarà sempre un sacerdote a dire a Glenda che nessuno ha una risposta a questa domanda ed è questo dubbio amletico a lasciarci l'amaro in bocca e una stretta alla bocca dello stomaco. Glenda aveva provato a denunciarlo ma non era servito a nulla, per i pregiudizi razziali e sessuali dell'epoca da parte della polizia, anche perché non avrebbe mai potuto immaginare cosa accadesse davvero in quell'appartamento. La donna si batterà per far costruire un parco in memoria delle vittime dove esisteva il palazzo dove vivevano lei e Jeff, ma per burocrazia e credenza popolare il progetto non andrà mai in porto. Come se dal Male non possa mai nascere, anzi crescere, germogliare qualcosa di buono. La madre di Jeff (Molly Ringwald) vorrebbe addirittura donare il cervello di Jeffrey post mortem alla scienza per capire l'origine del Male, ma anche un giudice sentenzia, d'accordo col padre del ragazzo (Richard Jenkins) che una riposta a questa domanda non si potrà avere mai.
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Perdono
Le madri delle vittime si mettono contro una pubblicazione che parla così tanto del killer da oscurare le vittime, quasi questa fosse l'origin story di un supereroe e non di un villain. Murphy & soci invece mostrano i ragazzi deceduti uno per uno, con nomi ed età, prima dei titoli di coda. È fin dal titolo della puntata, Dio del perdono, Dio vendicatore, che emerge l'altra tematica centrale del finale della miniserie: la religione (e il perdono). Gacy non si è mai pentito di ciò che ha fatto, fino all'ultimo (come la Wanna Marchi della docuserie Netflix disponibile in questi giorni), Dahmer invece sembrò mostrare segni di rimorso, tanto da "avvicinarsi a Dio" e voler battezzarsi, per la gioia del padre. L'altra annosa domanda del finale, anche questa senza una vera e propria risposta, è: si può perdonare chi compie azioni da serial killer? Evan Peters riesce davvero a mostrare attraverso uno sguardo quasi sempre asettico e spento, una postura e una voce che lavora di sottrazione, una miriade di sfaccettature negli occhi gelidi di Jeffrey Dahmer. Occhi che si chiuderanno per sempre pochi giorni dopo, quando verrà ucciso da un altro detenuto con problemi psichici, Chris Scarver. Un uomo nero religioso che aveva scoperto per quali peccati Dahmer fosse in carcere. L'ultima inquadratura è proprio quella di Glenda e non di Jeffrey, a ricordarci che è una miniserie per le vittime e non per il killer, proprio come dovrebbero venire sempre raccontate queste storie che gettano oscurità sulla storia dell'umanità.