Dahmer - Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer, la recensione: essere Jeffrey Dahmer, essere Evan Peters

La nostra recensione di Dahmer - Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer, dal 21 settembre su Netflix che rinnova la collaborazione tra Ryan Murphy e Evan Peters riportando l'autore ai fasti di un tempo, quasi come fossimo in una nuova stagione di American Crime Story.

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Dahmer: Evan Peters in una scena

Basta infermiere. Basta stilisti. Ci voleva un serial killer per far tornare Ryan Murphy ai fasti di qualche anno fa, in particolare di American Crime Story, in cui sembra iscriversi la sua nuova miniserie per Netflix, Dahmer - Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer, dal 21 settembre sulla piattaforma in una giornata affollatissima di arrivi in streaming. Ecco i suoi punti di forza nella recensione di Dahmer - Mostro: La storia di Jeffrey Dhamer.

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Dahmer: una scena della serie

Fin dai primi attimi del primo episodio, si nota la cura che Ryan Murphy e Ian Brennan, storici collaboratori, hanno voluto mettere in quest'ultimo progetto per Netflix, scegliendo un protagonista che hanno fatto nascere in un certo senso e sbocciare con American Horror Story, Evan Peters, per poi utilizzarlo anche in altre loro produzioni. L'attore feticcio però non fa l'errore di Sarah Paulson, oramai onnipresente in svariati progetti da ottenere l'effetto contrario - e infatti proprio su queste pagine eravamo contenti che Cinque giorni al memorial fosse diventata una serie Apple Tv+ con Vera Farmiga. Peters si trasforma letteralmente in Jeffrey Dahmer, dalla postura, alle movenze, ai capelli biondi, senza uso di eccessivo trucco prostetico, ma puntando tutto su quello sguardo: inquietante, perso nel vuoto, desideroso d'amore e allo stesso tempo bisognoso di fare del male. Conosciuto anche come Dahmer il cannibale di Milwaukee (è stato tratto dalla sua storia un film con questo titolo del 2002 con Jeremy Renner), è stato responsabile di ben 17 omicidi commessi tra il 1978 e il 1991 che comprendevano violenza sessuale, necrofilia, cannibalismo e squartamento, per poi essere condannato nel 1992 all'ergastolo e morire due anni dopo, ucciso in carcere da un detenuto schizofrenico, Christopher Scarver.

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Dahmer: una foto di scena della serie

Forse merito dell'essere quasi effettivamente una nuova stagione di American Crime Story (l'ultima è stata Impeachment nel 2021), Dahmer - Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer ritrova l'attenzione per i primi piani e l'utilizzo di inquadrature di quinta, insieme al dualismo che ha caratterizzato la personalità ambivalente di uno dei serial killer più famosi della storia. Inizialmente la scrittura di Murphy e la regia di Carl Franklin sembra quasi non ce lo vogliano far vedere, far crescere l'attesa sulla sua persona, sui dettagli dei suoi vestiti datati e scadenti, sul suo corpo coperto. Corpo che diventerà un tropo narrativo a tutti gli effetti. Non come Baz Luhrmann in Elvis che voleva accrescere il desiderio per il suo supereroe, qui è l'origin story di un villain al centro della storia a farci agognare l'inquietudine nel volerlo vedere in faccia. Il Male incarnato, come ha cercato di raccontarci la saga di Halloween in questi anni. Un ragazzino che voleva avere il controllo sul mondo perché tutto sembrava sgretolarsi sotto le sue mani, a partire dal divorzio del genitori. Genitori interpretati magnificamente da Richard Jenkins, indimenticato Nathaniel Fisher Sr. di Six Feet Under, e Molly Ringwald, vista più di recente in tv come mamma in Riverdale.

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Dahmer: un momento della serie

Dahmer - Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer porta alla luce le tematiche care a Murphy & soci: la brutalità delle persone e dei poliziotti bianchi nei confronti delle persone nere e asiatiche e degli omosessuali, e il circo mediatico che una storia come quella del killer ha inevitabilmente creato, entrambe di incredibile attualità. Tra salti temporali, l'infanzia e l'adolescenza, il racconto di come Jeffrey sia diventato il cannibale di Milwaukee, la parte investigativa e processuale, l'attenzione che i media hanno rivolto a questo Mostro chiamandolo tale, la miniserie prova a raccontare e a indagare con la penna e con la macchina da presa tutti i punti di vista della storia raccontata. Anche quello della vicina sospettosa, interpretata da Niecy Nash, che contribuisce a donare quella vena comica e quel tono grottesco a una storia talmente drammatica, così come la fotografia che gioca moltissimo coi toni scuri quelli del Male, e qualche punta di rosso, il colore del sangue.

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Dahmer: Evan Peters in un'immagine della serie

Dahmer in fondo rappresenta il rapporto morboso e non "educato" con la propria sessualità, unito a una passione innata per il corpo umano, tra viscere, organi e vivisezioni di cui i genitori - soprattutto il padre, figura maschile di riferimento nella vita di Jeffrey - non avevano compreso la gravità e la pericolosità. Per contraltare è anche la storia di due persone che non sanno saputo donare il proprio amore ad un figlio e una storia di responsabilità, di tutte le persone coinvolte, perché nessuno nemmeno i vicini che continuavano a sentire una puzza terribile provenire dall'appartamento logoro di Jeffrey, lo ha mai denunciato ma è rimasto tra le proprie mura domestiche per non intromettersi. La miniserie lancia una domanda, innata negli horror e nei thriller: Evil isn't born, it' made? Oppure esiste il Male innato, che ha quasi un'accezione soprannaturale piuttosto che terrena - come questa serie che si iscrive perfettamente nella linea true crime di Netflix, tra le più resistenti e riuscite della piattaforma - tanto che nessuno avrebbe potuto fare nulla per impedire quei terribili eventi?

Conclusioni

Sembra proprio una nuova stagione di American Crime Story ed è questa la sua forza e il suo pregio. Ci sentiamo di dire questo arrivati alla fine della nostra recensione di Dahmer - Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer, che fa tornare Ryan Murphy e soci ai fasti di un tempo, mostrando l’attenzione mediatica, le tematiche a loro care come la discriminazione razziale e sessuale, l’origin story di un villain e una riflessione sul Male tutte nello stesso show, con un Evan Peters in grande spolvero.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.2/5

Perché ci piace

  • L’interpretazione di Evan Peters, mai manicheista o eccessiva, che lavora di sottrazione.
  • La scrittura di Murphy & soci e la regia, che accentuano la curiosità mista a orrore per la figura di uno dei serial killer più famosi della storia.
  • Le tematiche affrontate, tipiche della produzione murphyana ma legate all’attualità.

Cosa non va

  • Nonostante la cura formale e di scrittura, potrebbe annoiare chi non cerca l’ennesima storia true crime o un biopic.