Perseveranza. Dietro Creed III di Michael B. Jordan c'è un senso di costante e coinvolgente tenacia. La tenacia nel tenere uniti i personaggi e le dinamiche scaturite fuori e dentro il ring; la tenacia di allargare il prospetto, facendo sì che la scena sia spaccata in due. Anzi, in tre: presente, passato, futuro. E poi c'è la fermezza nell'allungare una saga leggendaria, per la prima volta sfilando dalla sceneggiatura il suo creatore, il suo punto di riferimento, l'icona per eccellenza. Nonostante, come ci dice Adonis, "...tutti ancora parlano di Rocky". Perché Balboa, pure se non lo vediamo, c'è. È lì, e tutto il film, compresa la regia moderna di Jordan, sembra aver fatto tesoro del mitico pugile: l'evoluzione di Adonis, il rapporto con la famiglia, la sfida personale ancora prima che atletica. Quasi come se il lascito di Sylvester Stallone - in Creed III presente solo nel ruolo di produttore esecutivo - sia servito per una scissione più dolce e fluida, in grado di far proseguire lo show (anche) senza di lui.
Una sfida tutt'altro che facile, eppure raccolta nel miglior modo possibile dagli sceneggiatori Keenan Coogler e Zach Baylin. Dall'altra parte, è proprio il regista nonché protagonista a dosare in modo equilibrato uno script ricco di spunti, enfatizzando all'ennesima potenza gli stilemi degli sport movies.
C'è la boxe, c'è il sudore, c'è il sangue, c'è il sacrificio. Ma c'è anche il rimorso, la rabbia, la rinuncia e, appunto, la perseveranza. Ci immedesimiamo in Adonis, pur non avendo la sua stessa prestanza, i suoi pettorali scolpiti. Ci immedesimiamo in Bianca, quando decide di farsi da parte perché il lavoro non è tutto. Ci immedesimiamo nell'aggressività di Damian, villain disfunzionale, complicato e complesso, che ha scontato una lunga pena, e ora ha voglia di riprendere ciò che gli spetta. Sì, pure giocando sporco. Un mix altamente cinematografico - un cinema di puro entertainment, vero, ma è pur sempre cinema - capace di galvanizzare, senza avere la pretesa di interrompere sul più bello le emozioni. Se l'epopea di Rocky è diventata quella di Adonis, è perché i tempi sono cambiati, e il mutamento narrativo deve tenere le redini di un pubblico nuovo che, progressivamente, si fa vecchio.
Viceversa, il pubblico di ieri cerca - di nuovo - le vibrazioni che lo hanno cresciuto, alimentando il grande sogno. Per questo, come scriviamo nella nostra recensione, Creed 3 è il capitolo più generazionale, propenso all'estensione e al dovuto passaggio di consegne. Di padre in figlio, di padre in figlia. Al centro, l'energia del corpo, il tremito dei muscoli e la via della lotta (sportiva) per risolvere i problemi.
Creed III, Michael B. Jordan rivela quali anime hanno ispirato le scene dei combattimenti nel film
La trama di Creed III: Adonis vs. Damian
Del resto, la trama di Creed III nasce da un improvviso problema (ritornato) che altera l'equilibrio di Adonis Creed (Michael B. Jordan), ormai ritiratosi dal ring. Insieme a Little Duke (Wood Harris) gestisce una palestra dove coltiva talenti, ed è sempre più innamorato di sua moglie Bianca (Tessa Thompson) e di sua figlia Amara (Mila Davis-Kent). Marito e papà amorevole, nonché figlio preoccupato, in quanto la salute di mamma Mary Anne (Phylicia Rashād)) non è delle migliori. Piccola parentesi, il rapporto di Adonis con i suoi affetti è una delle parti più riuscite del film, trasportandoci in una situazione davvero credibile e di sincera emotività: la famiglia, appunto, continua ad essere il legame che tiene in piedi i pezzi. Come fu per Rocky e Adriana, com'è per Adonis e Bianca.
Ma, come detto, i problemi per Adonis tornano, e tornano da molto lontano: dopo aver scontato una lunga condanna in prigione, gli fa visita Damian "Dame" Anderson (Jonathan Majors, attore s-t-r-e-p-i-t-o-s-o). Cappuccio in testa e braccialetto elettronico alla caviglia, sguardo torvo e occhi grigi, Dame è un vecchio amico di Adonis. Sono cresciuti in una complicata casa-famiglia, coltivando la passione per la boxe. Uno è finito in carcere, l'altro è diventato campione del mondo. Poco a poco, Dame invaderà la vita di Adonis, con l'obbiettivo di regolare i conti e appianare i tormenti in un massacrante incontro di pugilato.
Creed III: secondo Michael B. Jordan "è l'inizio di una nuova era senza il Rocky di Stallone"
La boxe come forma di cinema
Se l'eredità è l'ingrediente principale del cinema post-moderno, si può quasi dire che Creed III sia una sorta di evoluzione di Rocky II. Che significa? Come avvenuto con Apollo, ciò avviene con Damien "Dame", meticolosamente rappresentato da Jonathan Majors, tanto bravo da offuscare la figura centrale di Micheal B. Jordan. Comprendiamo il livore covato, lo sosteniamo nella sua voglia di ri-affermarsi, gli perdoniamo la sua foga scorretta e animalesca liberata al centro del ring. Perché? Presto detto: Dame è una figura umana, riconoscibile, l'emblema dell'underdog cresciuto all'ombra del frontman. Il paradigma di ogni storia sportiva che diventa materiale narrativo. Uno contro uno, la boxe che lascia il passo ad una spietata rissa da strada, consumata tra le strade nere di Bel-Air.
Giù a menarsi, arrovellandosi sui ricordi di un passato sbiadito tornato a far drammaticamente rumore. Ora c'è la villa che osserva dall'alto Los Angeles, prima c'era la miseria, il ghetto, la disperazione. Per chi tifare, dunque? Per Adonis o per Dame? L'applicazione o la fame? Il talento o la potenza? Il filo umano avvolge gli sfidanti, in un duello rusticano dal forte impatto, visivo quanto sonoro (ottimo il lavoro musicale di Joseph Shirley, che richiama lo score originale di Bill Conti).
Michael B. Jordan con Creed III ha infatti dimostrato di saperci fare come regista (al netto di qualche situazione sovraccaricata, ma sono dettagli), alternando in modo cosciente il freno all'acceleratore, il destro al sinistro, il trapassato con il futuro prossimo. Tant'è, viene suggerito quanto sia necessario saper "addomesticare" e "rinunciare", oltre che combattere in modo spasmodico e utopico. Uno scacco matto ad effetto che porta alla vittoria, simbolica ancora prima che fisica, in un film che fa dell'intensità il suo credo assoluto. Del resto, non è un caso che la boxe sia una delle primordiali forme di cinema.
Conclusioni
Concludendo la recensione di Creed 3 rimarchiamo ancora una volta quanto la saga abbia ancora un grande appeal, nonostante l'assenza di Rocky. Michael B. Jordan è bravo a creare il clima giusto, in un ponte che allarga la prospettiva e passa il testimone tra passato e futuro. E poi c'è un “cattivo” atipico che funziona davvero, interpretato da un grande Jonathan Majors.
Perché ci piace
- Jonathan Majors.
- La regia di Michael B. Jordan, davvero intensa.
- Gli stilemi del cinema sportivo.
- L'efficacia narrativa della boxe.
Cosa non va
- Chi cerca Rocky, resterà deluso.
- Alcuni passaggi visivi, decisamente ultra-caricati.