Coppola abbraccia il pubblico di Roma

Il regista de Il Padrino e Apocalypse Now continua la sua 'vacanza romana' rispondendo alle domande dei numerosissimi appossionati e cinefili della Festa.

Tra alcuni spezzoni di suoi più grandi successi, mitici frammenti che hanno fatto la storia del cinema, un Francis Ford Coppola un po' burbero incontra il suo pubblico. Da solo davanti a una numerosa platea, il grande maestro parla dei suoi film, di se stesso e del suo atteso ritorno dietro la macchina da presa con Un'altra giovinezza (Youth Without Youth), film presente nella sezione Première della Seconda Festa del Cinema di Roma.

Dopo una scena di La Conversazione con Gene Hackman:

La telecamera è sempre molto precisa, le scelte rispetto alle sue posizioni appaiono sempre sicure e coscienti. Qui però sembra quasi di non sapere dove va il personaggio, i suoi movimenti sono imprevedibili. È un modo per trasmettere la solitudine di questo personaggio? Francis Ford Coppola: Mi chiedo sempre il tema della scena prima di decidere un movimento della telecamera. Qui il tema era la privacy, quindi ho scelto una steady-cam ma l'ho utilizzata come le telecamere della videosorveglianza.

La Conversazione non è stato fatto subito per problemi economici. Non è facile trovare finanziamenti per un film così? Francis Ford Coppola: Quello economico non è sempre il problema principale. Per Youth Without Youth mi ha interessato subito la storia, le implicazioni filosofiche, l'enorme potenziale che portava con sé. Ma non era un film semplice in cui avventurarsi. Una volta deciso di farlo, abbiamo trovato finanziamenti anche in Romania, dove è stato girato il film.

Dopo una scena di Il Padrino - Parte Seconda, scelta come una delle sue preferite da Sidney Lumet nel suo incontro alla Festa di Roma dell'anno passato:

Una volta ha paragonato Il Padrino alla storia di un re che ha tre figli, di cui uno rappresenta la gentilezza, uno l'intelligenza e uno la forza. Si è mai reso conto che stava rendendo affascinanti una famiglia di criminali? Francis Ford Coppola: Questa è una famiglia come la mia: di origine italiana, con tanti figli... Comunque, dobbiamo dire che questa scena non sarebbe mai riuscita senza il personaggio di Fredo, dobbiamo dire grazie a lui, a John Cazale, un bravissimo attore purtroppo venuto a mancare, con cui ho fatto tre film.

Poi, un frammento del capolavoro assoluto del regista, Apocalypse Now.

Questo film ha siglato un'intera stagione, non solo cinematografica, ma storica e politica rispetto alla guerra in Vietnam. Oggi le configurazioni dell'attacco in Iraq stanno prendendo simili sembianze. Che tipo di cinema, secondo lei, potrebbe rappresentare il tipo di guerra di oggi? Francis Ford Coppola: Un film che può catturare l'essenza della guerra. Secondo me non si dovrebbe rappresentare la guerra in un ennesimo film d'azione bellica che porterebbe solo a glorificare la guerra ancora una volta. Un film di pace potrebbe essere un buon modo per cogliere il senso della guerra e trasmetterlo agli altri.

Il romanzo di Joseph Conrad Cuori di tenebra che ha ispirato Apocalypse Now aveva anche interessato Orson Welles. Conosceva l'adattamento del suo collega e ne è stato condizionato? Francis Ford Coppola: Conoscevo solo superficialmente questo lavoro di Welles, solamente un adattamento per la radio. Comunque la sceneggiatura di Apocalypse Now è quella originale scritta da John Milius. Io ho studiato a fondo Cuori di tenebra e molti spunti nuovi sono nati dal libro. Il personaggio di Dennis Hopper, per esempio, lo ha inventato lui del tutto e assomiglia molto a "il russo" del romanzo. Questo per dire che bisogna tenersi pronti ad ogni cambiamento.

Dopo una scena di Rusty il selvaggio dove i pesci rossi in una vasca spiccano con il colore rispetto al bianco e nero dell'immagine intera:

Oltre ad uno stile che ha rappresentato in questi anni una sua classicità, lei ha cercato d'introdurre nuove tecnologie nel cinema. Non crede che le nuove tecnologie, negli ultimi tempi, abbiano appiattito il cinema e lo abbiano omologato? Francis Ford Coppola: Penso che la domanda si riferisca al digitale... Oggi non c'è nulla che non si possa mettere sullo schermo. Spesso quello che è il cuore del cinema e del teatro non è al centro del digitale: la scrittura e la recitazione. Lo stesso può essere fatto in un film, come in un cartone animato. Tutto quello che riduce in qualche modo questi due elementi fondamentali fa perdere il potere e la forza di un film. Ma quando fotografia, sonoro e digitale sono al servizio di scrittura e recitazione è il massimo.

Se ai tempi di Apocalypse Now lei avesse avuto a disposizione il digitale, il film non avrebbe avuto la stessa forza? Francis Ford Coppola: Come tutti i mezzi del cinema, il digitale può essere usato in modo sottile. Per Apocalypse Now la cosa interessante è che tutto quello che si vede è successo davvero (gli elicotteri, gli aerei, le bombe...). Nessuno va al cinema a vedere i costumi o la fotografia, ma la scrittura e la recitazione.

Un momento tratto da Tucker, un uomo e il suo sogno fa nascere una nuova domanda:

Francis Ford Coppola: Quando ho fatto Il Padrino mi hanno chiesto se ero Don Corleone, un padre di famiglia spietato e pieno di potere; quando è uscito Apocalypse Now se ero il colonnello Kurtz, il megalomane che perde il controllo. Con Tucker è una somiglianza più particolare, ma il meccanismo continua anche oggi: con Youth Without Youth mi chiedono "ma sei tu?".
C'è una certa verità in tutte queste domande. È come quando vedi questi grandi attori, come Robert De Niro, Al Pacino o Marlon Brando, li riconosci ovunque anche se la loro interpretazione riesce a essere convincente. Il loro genio è riuscire a riplasmarsi personificando sempre qualcosa di diverso, senza però perdere mai se stessi.
Ognuno usa i suoi mezzi, io uso me stesso perché è questo che ho.

Dopo una sequenza de Il Padrino, quella del dialogo tra Vito Corleone e suo figlio Michael, una scena tratta da La Dolce Vita di Federico Fellini come omaggio al cinema italiano scelto proprio da Coppola tra i suoi film preferiti.

Questa scena de Il Padrino è stata aggiunta in seguito al film, scritta e proposta di Robert Town, vero? Francis Ford Coppola: Per me Il Padrino era un progetto facile, mentre per gli Studios era troppo lungo e cupo e avevo usato male un attore come Marlon Brando. Io lo feci vedere a Robert Town, che mi disse che il film era straordinario e che Al Pacino era stupendo. Per me il film non era andato, pensavo "ho tre figli da mantenere, come farò adesso?", ma Robert mi disse che mancava solo una scena tra padre e figlio.

Una domanda retorica forse: perchè La Dolce Vita? Francis Ford Coppola: Se ci si pensa è straordinario quanto abbiamo fatto nel giro di cento anni, la vita del cinema. Abbiamo fatto moltissimo. Ho scelto questo film di Federico Fellini, ma amo anche molti altri registi italiani contemporanei - come Francesco Rosi e Bernardo Bertolucci - e abbiamo subito una grande perdita con la scomparsa di Michelangelo Antonioni.
La Dolce Vita è il film che sopra ad ogni altro ha catturato un momento della storia. Ha catturato una volta per sempre un momento straordinario. Anche soltanto la scena che abbiamo visto, quella dei paparazzi, è una svolta nel cinema: Fellini è il primo che sofferma l'attenzione sui paparazzi che fanno qui la loro prima apparizione e continuano ad essere un fenomeno attuale.

La sua è una famiglia di artisti, come ha vissuto i momenti di mancato successo in questo contesto? Francis Ford Coppola: C'era il culto del talento. Non si poteva dire a priori chi lo avrebbe avuto, era un mistero. Non sai mai se il talento ce l'hai, magari solo il tempo può dirlo. Quando ero all'università scrivevo incessantemente ma quando facevo leggere le mie cose a qualcuno il risultato era sempre fallimentare. Io ero distrutto perché non volevo deludere mio padre, ma non si può mai dire... Guardate Il Padrino, ero convinto che andasse male, che sarebbe piaciuto. Bisogna fare quello che si ama fare e il dopo si vedrà dopo.

Quanto conta per lei essere italiano? Francis Ford Coppola: Da bambino mia madre mi diceva che ero nel Paese più bello del mondo, gli Stati Uniti, mentre mio padre mi ha sempre detto "ricorda, sei italiano!". Mi piace molto il mio Paese e l'Italia è la più grande per la cultura e l'arte, quindi mi sento molto fortunato di appartenere ad entrambi.
Amo il mio Paese, anche se è un momento difficile per l'America, bisogna pensare che si parlano centoquaranta lingue diverse e che noi accettiamo e inglobiamo culture differenti. Questo è quello che rende grande l'America e la farà rimanere tale per sempre.

Crede che ci potrà essere una nuova generazione di grandi registi dopo la sua? Francis Ford Coppola: Ci sono tanti grandi registi, giovani talenti. Questo è il settore che attira di più i giovani americani, come credo succeda anche in Europa. Ci sono Wes Anderson, Paul Thomas Anderson, Sofia Coppola. Forse la particolarità di questa nuova generazione di registi è che molti vogliono fare film puri, anche senza guadagnare un soldo, basta che non siano commerciali, anche rimanendo sconosciuti. I nostri figli sono il futuro, dobbiamo aiutarli.

Come ogni uomo di spettacolo, ma soprattutto per un genio come lei che oltre ad affrontare il pubblico deve compararsi con il proprio talento e con le aspettative create dai propri successi, cosa significa per lei trovarsi da solo davanti alle scelte? Francis Ford Coppola: La solitudine è una bellissima parola. Quando ero bambino avevo la poleomelite e gli altri bambini non voleva giocare con me. Io sono sempre stato molto solo. Non è sempre stato facile, soprattutto nel periodo della pubertà quando avrei voluto avvicinarmi all'altro sesso. Ma a me non dispiaceva affatto stare da solo, mi dedicavo ai miei pensieri.
È importante avere dei momenti di riflessione per pensare al mondo.