Tra il profumo delle mimose tra le mani delle giornaliste e l'aria carnevalesca dei bambini travestiti fuori dalla Casa del cinema è stato presentato stamattina il fuori stagione più caldo dell'incombente primavera, Tutti al mare. Scritta a quattro mani dallo storico sceneggiatore Vincenzo Cerami e dal figlio Matteo, qui anche dietro la macchina da presa, la commedia più amara dell'anno fa il verso al Casotto di Sergio Citti, omaggia Pier Paolo Pasolini, cita il surrealismo felliniano e porta sul suo barcone sgangherato un cast eccezionale che mescola le nuove e le vecchie leve del cinema italiano. Gigi Proietti e Ninetto Davoli accompagnano il bravo Marco Giallini in un'ambiziosa opera corale decisamente fuori coro: spalleggiati dal produttore Gianfranco Piccioli, Cerami padre e figlio infatti non perdono l'occasione, e la provocazione, per fare una riflessione sull'ottima salute di cui gode la commedia nazionale dei giorni nostri, per puntare il dito contro la leggerezza che caratterizza i numerosi successi di botteghino della stagione invernale e per dichiararsi preoccupati del trend che investe il mercato italiano. Ma, come vuole trasmettere Tutti al mare, ogni produzione cinematografica attuale e nazionale rappresenta anche un'osservazione sociologica offrendosi allo spettatore come specchio di un'età contemporanea tanto drammatica che, come sottolinea il produttore Piccioli, è meglio riderci su.
A presentare il film alla stampa insieme agli evergreen Proietti-Davoli, nel film nei panni di uno smemorato cleptomane e di un pescivendolo imbroglione, il protagonista Giallini, reso popolare al grande pubblico dai ruoli interpretati nelle serie di culto Boris e Romanzo criminale - La serie e qui a destreggiarsi con abilità nella parte del mammone con uno stabilimento balneare piuttosto decadente e crocevia di immigrati provenienti da tutto il mondo. Con loro un duo giovane e ammiccante, formato da Francesco Montanari, che i fan del Libanese si divertiranno a vedere nella succinta mise estiva di un supercafone con costume minimal e nella versione da macho nudista, e Libero De Rienzo, uno sfigato romantico che non vede oltre il palmo del proprio naso. Una varia umanità popola una pellicola sospesa tra un folto numero di tematiche impegnate, dall'importanza della tv nelle nostre vite all'immigrazione-mancata integrazione, in cui si trova spazio perfino per un amore saffico, affidato ai volti di Ambra Angiolini e Claudia Zanella. Il film verrà distribuito in 170 copie a partire dal prossimo finesettimana da 01 Distribution. Tutti al mare omaggia il cinema del passato, cita esplicitamente Sergio Citti e ripropone l'immaginario del passato rinnovandolo nel segno della cronaca attuale. Quali erano le vostre intenzioni?Vincenzo Cerami: Avendo lavorato sul Casotto mi è tornato d'istinto quel modo di lavorare, con un elenco di personaggi che s'incontrano casualmente in un luogo e la struttura del racconto basato sulla casualità e sulla reazione immediata... tutto questo ha portato a un taglio metafisico. Rivedendo ancora oggi Casotto ci si diverte, ma non lo si vede in chiave sociologica, anche perché nel '77 già parlavamo di un luogo claustrofobico, che qui diventa invece agorafobico. Il chiostro sembra esso stesso un barcone che galleggia sulla sabbia, tutti vanno un po' col vento, i protagonisti sono provvisori, disorientati, smarriti e realistici mentre un tempo ognuno aveva qualcosa da nascondere, delle piccole vergogne... che qui non ci sono più perché il senso del travestimento oggi non avrebbe avuto più senso.
Matteo Cerami: Quando è uscito Casotto non ero ancora nato, ma per la mia generazione è diventato un culto. I personaggi erano meno rispetto a Tutti al mare, ma già c'era questa casualità. Mancava invece un approccio psicologico perché c'era un'osservazione antropologica, il film metteva in mostra i protagonisti come in un acquario davanti al quale si guardano personaggi che in realtà sono in un barile. Non era nostra intenzione sollevare tante tematiche, che sono intrinseche ai personaggi. Piuttosto cercavamo un po' di verità in loro.
E cosa ci dite invece degli stereotipi messi in scena? Anche questi sono casuali o sono intenzionali?
Matteo Cerami: Abbiamo scritto insieme questa sceneggiatura: mio padre era velocissimo, mentre se fosse stato per me io starei ancora a scriverla. E' un film che richiama il passato perché tenta di portare sullo schermo dei caratteri che però oggi non ci sono più, non si distinguono nella massa. La cosa più bella che ho portato di Casotto in questo film, che appartiene più a Citti che a mio padre, è la pietas, la voglia di amare questi personaggi ed è il motivo per cui ho chiesto a mio padre di interpretarne uno. L'ho convinto a partecipare perché era un modo per dire che anche noi che siamo dietro le quinte facciamo parte di questa umanità.
Nel film compare un'emblematica sequenza che cita Che cosa sono le nuvole? di Pasolini. Questa scelta è legata alla presenza di Ninetto Davoli nel film o è un espediente narrativo?
Matteo Cerami: La citazione è semplicemente frutto del mio gusto personale perché volevo che ci fossero degli elementi straordinari nel film, come il cavallo che sgambetta sulla spiaggia come gli altri bagnanti, che aiutassero a dare una lettura diversa di questo posto. Volevamo far uscire dal tono del film i due ragazzi protagonisti di quella scena, due immigrati che non conoscono il nostro Paese e che sono stati integrati da Maurizio (Giallini) a modo suo, quello di un oste accogliente e furbastro attaccato alla madre arcigna (Ilaria Occhini) che lo comanda. Mi piaceva l'idea che avessero un punto di vista diverso e più libero del nostro sulla nostra realtà.
Matteo Cerami: Sì, il film è nato prima di questa fortunatissima esplosione della commedia italiana e l'idea era alimentata da tanti elementi. Monicelli diceva che la vera commedia ha sempre un finale amaro. Personalmente ho un po' di timore verso il mercato italiano perché ho paura che il pubblico e i produttori finiranno per volere solo la commedia.
Gianfranco Piccioli: Non volevo fare né un remake né un sequel, per me il cinema è quello che diverte e in cui si ride. E non riesco a concepire la commedia come fine a se stessa e banale. Oggi non c'è rimasto che farci una risata in questa Italietta.
Con quale sguardo avete seguito allora l'andamento delle commedie italiane recenti?
Gianfranco Piccioli: Sul risultato straordinario della commedia divertente di quest'anno sono preoccupato e spaventato perché non me n'è piaciuta nessuna. Per battere film come Avatar la commedia italiana dovrebbe essere sbalorditiva. Ho visto film italiani che avrebbero meritato risultati migliori negli ultimi anni, mi viene in mente per esempio Non pensarci, un gioiello che purtroppo non ha incassato abbastanza.
Gigi Proietti: In generale non riesco a dare un giudizio sulla cinematografia italiana anche perché faccio pochissimo cinema, ma mi piacerebbe farne di più. Quanto alla commedia bisognerebbe prima definire che cos'è una commedia perché spesso si confonde con la farsa. Febbre da cavallo oggi è ritenuto un cult, ma quando uscì non solo non andò bene, ma fu anche bistrattato dalla critica. Io farei un film su quel film, che ha avuto un percorso parallelo all'uscita in sala con il passaggio televisivo. Non so se un cult sia una commedia o un dramma. Siccome viviamo in un disastro di linguaggio, non sappiamo dare tutti uno stesso significato alla commedia, alla tragedia...
Parlando di linguaggio, la televisione è ricorrente nel film come un elemento sociologico. Come mai questo ricorso?
Matteo Cerami: Era inevitabile perché gran parte delle commedie recenti hanno un appeal televisivo.
Vincenzo Cerami: Come si può pensare che nei personaggi che per un giorno staccano la spina non ci sia la televisione, l'elemento più importante e serio della cultura italiana da sempre? Per cultura televisiva non s'intende solo qualcosa di positivo ma anche impositivo: l'Italia si è alfabetizzata attraverso la TV e noi come popolo ci confrontiamo pochissimo con la parola scritta. Nessuno di noi è immune da questa situazione e molti personaggi del film sono ispirati proprio dai mass media.
Matteo Cerami: Nel film solo due persone fanno il bagno, una per disperazione e l'altra poi se ne pente. Questo mare voleva essere un'immagine che abbiamo tutti, ma anche qualcosa di minaccioso, un orizzonte da cui non si sa cosa arriva. Le situazioni non a caso sono quasi tutte in controluce e il mare è schiumoso.
Uno degli elementi che contribuiscono a quest'atmosfera nel film è l'immagine finale del barcone con gli immigrati e il riferimento continuo del protagonista alla presenza degli stranieri in Italia. Come spiegate questo ricorso?
Matteo Cerami: La conclusione si vede solo attraverso il binocolo di Maurizio e fa parte solo del suo punto di vista. Se c'è una riflessione da fare è che, dopo aver visto tanti personaggi naufraghi di se stessi, il vero barcone è il chiosco, che rimane allegro. La domanda che volevo porre è: sono più disperati gli immigrati che approdano da noi sperando di aver trovato il loro paradiso o quelli che barcollano nelle loro camice stirate, che non fanno il bagno, che hanno l'amante...?
Matteo, quanto ti sta stretta la definizione di figlio d'arte che ti è stata affibbiata negli anni?
Matteo Cerami: Da un punto di vista emotivo non vivo nessun complesso di questo tipo, cosa forse diversa per gli attori. Sono cresciuto in una bottega molto umile come se fossi il figlio di un fabbro. Mi sento libero e per la differenza d'età che c'è tra mio padre e me non c'è mai stata rivalità. Anzi c'è sempre un confronto, simile a quello che vedete nel film tra le due generazioni...
Vincenzo Cerami: Matteo fa un mestiere che io non sarei mai stato capace di fare, io ho sempre inventato dei personaggi, ma non ho mai immaginato di guardarli in faccia. Lui ha le carte in regola perché ha lavorato molto, ha fatto la gavetta e in fondo comparve a otto mesi come figlio della Morante in Colpire al cuore. Sapevo che prima o poi, stando nel cinema, avrebbe seguito questa strada.
Gianfranco Piccioli: Casotto è stata la mia opera prima come produttore insieme a Berardi, stavolta invece c'è un esordiente con me alla produzione. La colpa è di Alberto Crespi che m'invitò un paio di anni fa a una rassegna a cui proiettavano Casotto. Rivederlo dopo tanto tempo mi diede l'idea e la proposi con provocazione a Vincenzo. Siamo riusciti a mettere in piedi un film con un budget molto basso rispetto alla media e con il contributo della tax credit.
A proposito di interpreti, nel film colpisce molto il duetto tra Gigi Proietti e Rodolfo Laganà. Signor Proietti, ha contribuito a delineare il personaggio di Nino da lei interpretato? E che sensazione ha provato nel recitare con un suo allievo?
Gigi Proietti: No, il mio personaggio era già scritto e non ho dovuto improvvisare niente, se non le pause! Con i colleghi c'era una sorta di familiarità e quando ho rivisto la faccia di Laganà, che conosco da piccolo, non ci potevo credere: non l'avevo mai vista così in tanti anni!! Dietro i nostri occhi non c'è niente, e non è facile.
Com'è stata l'esperienza degli attori sul set?
Marco Giallini: Ero emozionato per la presenza del maestro e di Ilaria, che era la fidanzata ideale di mio padre quando ero piccolo.
Ninetto Davoli: Sono almeno quarant'anni che faccio cinema e teatro con Vincenzo e con Gigi, quindi giocavo in casa e più che emozionarmi mi sono divertito. Leggere la sceneggiatura m'ha messo un po' di nostalgia perché mi ha fatto riflettere. Dopo Casotto era giusto che fossi anche in questo film per una questione ideologica, per restare in famiglia. Il mio personaggio è uno stravagante, un truffaldino e mi sono divertito a recitare come all'epoca.
Ilaria Occhini: Matteo è stato bravissimo sul set perché era sempre allegro, preciso e determinato. A me piace sempre partecipare ad opere prime perché tutte caratterizzate da un grande entusiasmo e dalla complicità tra regia e attori. Anch'io mi sono divertita tanto anche se ero inchiodata per tutto il tempo a una sedia.
Claudia Zanella: Avevo amato il film di Citti e trovavo molto divertente la nuova sceneggiatura. Girare al mare poi è stato meraviglioso! Sul set c'era armonia e ho apprezzato molto le prove che ha voluto farci fare Matteo, per me e Ambra Angiolini è stato importante.
Libero De Rienzo: Cerami è un giovane vecchio perché sa quello che fa. C'è stata un'atmosfera seria ma che non si prendeva mai troppo sul serio. Ed è stato difficile non ridere durante le riprese tra Proietti, Davoli e Montanari.