Carlo e Enrico Vanzina hanno sempre subito la fascinazione della cultura a stelle e strisce, non fosse altro per quel cinema straordinario di cui i due fratelli sono appassionati da tutta una vita. Dunque, non stupisce certo che, nell'anno che sembra segnare la scomparsa ufficiale del cinepanettone dalla quotidianità natalizia dello spettatore italiano, la premiata ditta Vanzina abbia scelto di aprire il nuovo anno con una commedia on the road sulle strade americane al ritmo di risate e buoni sentimenti. Distribuito dal 3 gennaio con più di 300 copie da 01 Distribution, Mai Stati Uniti ripropone il tema del viaggio collettivo che già aveva portato al successo di commedie come Sognando la California. In questo caso, però, ad affrontare il lungo cammino verso il Nevada è un gruppo variegato, formato da cinque fratelli estranei tra di loro. Uniti inaspettatamente dalle volontà testamentarie di un padre sconosciuto e dal miraggio di un'eredità consistente, Antonio (Vincenzo Salemme), Angela (Ambra Angiolini), Nino (Ricky Memphis), Carmen (Anna Foglietta) e Michele (Giovanni Vernia) accettano di spargere le ceneri dell'uomo in un lago dell'Arizona. Ma, come sempre accade, la parte più importante di un viaggio non è certo la meta finale. Così, passando attraverso le crisi isteriche di Angela, la sfortuna al gioco di Antonio e la superficiale disinvoltura di Carmen, i cinque scopriranno di essersi trasformati, non volendo, in una stravagante famiglia all'insegna dell'eccesso.
Questo, dopo Vacanze in America e Sognando la California, è il vostro terzo film negli Stati Uniti. Com'è cambiato il rapporto con il paese ed il modo di raccontarlo? Carlo Vanzina: Iniziamo con il dire che, se sei un appassionato della materia cinematografica, niente può prescindere dagli Stati Uniti. Per questo motivo, per omaggiare il mio amore verso un classico eccezionale come Intrigo Internazionale, ho voluto girare anche nei luoghi in cui è stato ambientato il film. Nel caso di Mai Stati Uniti, inoltre, c'è anche il tentativo di mettere a contatto la commedia italiana con quella americana di questi ultimi anni, come ad esempio Una notte da leoni. Inoltre, continuando a tener presente gli insegnamenti di grandi autori come Monicelli, ci siamo focalizzati sul concetto che bisogna sempre partire da un soggetto drammatico per fare un film comico. Da qui nasce la storia di cinque fratelli che, non conoscendosi, riusciranno a superare questa avventura come una famiglia.
Mai Stati Uniti segue la tradizione narrativa dei fratelli Vanzina proponendo un'esperienza corale. Come vi siete trovati a convivere su un set così affollato? Maurizio Mattioli: Da Le finte bionde in poi sono passate molte pellicole grazie alle quali con Enrico e Carlo siamo diventati praticamente fratelli. Per questo motivo, per me è molto difficile parlare di loro e dello stile con cui lavorano. Posso, però, affermare che sono gli unici, o fra i pochissimi, che permettono ad un attore di partecipare seriamente al testo. In tutti questi anni da parte loro non ho mai ricevuto un rifiuto alle mie proposte. Per questo li ringrazio entrambi.Ricky Memphis: Cosa dire? Siamo stati nei luoghi delle più grandi pellicole americane e per me, amante fin da bambino degli indiani, non c'è stata emozione più forte che trovarmi di fronte ad un pezzo dell'accampamento del settimo cavalleggeri. Inoltre, gli Stati Uniti mi hanno regalato un momento di popolarità in cui ho creduto di essere diventato famoso anche a Las Vegas. In realtà, mi riconoscevano solo per essere stato scelto come cavia dall'illusionista David Copperfield durante un suo spettacolo.
Anna Foglietta: Più che di un lavoro si è trattato di un esperimento antropologico tra cinque persone e un bambino. Il film lo abbiamo fatto con amore e professionalità, ma la parte più intensa è stata sicuramente il lato umano.
Vincenzo Salemme: Vivere un'esperienza lontano dalle solite certezze serve a mettersi alla prova. Con questo spirito ho affrontato l'avventura che mi è stata proposta da Carlo e Enrico. Loro hanno la capacità di scrivere sull'attore e di costruire il personaggio sulla natura del suo interprete. In questo modo riescono a scoprire le tue corde e a metterle sempre in evidenza. Un mio ricordo degli Stati Uniti? Sicuramente l'incubo dell'aglio che mettono ovunque, anche nell'acqua.
Ambra Angiolini: Io ho avuto un po' paura di partire. Gli attacchi di panico credo di averli avuti veramente al pensiero di questa esperienza così diversa e in prospettiva delle tredici ore di volo. In un certo senso, dunque, Angela si è adattata perfettamente alle mie fobie e mi ha offerto la possibilità di misurarmi con tutti i miei limiti scoprendomi, alla fine, più libera di quanto pensassi. Si tratta di un film in cui abbiamo creduto tutti, cercando di portare a casa un risultato diverso per ognuno di noi. Ad esempio, con Anna abbiamo cercato di costruire ruoli femminili comici che, fin troppo rari nel nostro cinema, riuscissero ad uscire fuori dai soliti canoni ottenendo lo stesso successo riservato a quelli maschili.
Giovanni Vernia: Per me gli Stati Uniti sono iniziati come un incubo, ossia con una prima scena in cui dovevo fuggire completamente nudo dentro una spa di fronte a delle ragazze piuttosto carine. Non auguro a nessun uomo l'umiliazione di scivolare e finire a gambe in aria senza nulla addosso di fronte a delle donne. Da questo primo ciak ho guadagnato il dolore di un braccio tumefatto, ma è nulla in confronto all'umiliazione subita. Capite che, rispetto a questo, per me il contatto con l'America è stata una passeggiata. Anzi, mi sono divertito come un pazzo, soprattutto grazie alla vita folle di Las Vegas, che ho scoperto proprio in compagnia di Carlo. Perché voi quest'uomo lo vedete così, serio e un po' anziano, ma in realtà è un vero vivere.
E' molto raro che voi scriviate una sceneggiatura con altre persone. Cosa vi ha portato, questa volta, a lavorare con Edoardo Falcone e qual è stato il suo personale apporto allo stile dei Vanzina? Enrico Vanzina: E' vero, in passato non è capitato spesso di collaborare con altre persone in fase di scrittura, ma Falcone è un professionista molto spiritoso che ama il cinema anni 50 e Aldo Fabrizi. Basandosi su questi punti fondamentali, il nostro accordo è stato immediato. Inoltre ha una passione per la commedia all'italiana ed è spiritoso e intelligente. Insomma, è proprio come dovrebbe essere uno sceneggiatore.
Il cinema italiano non sta vivendo un momento favorevole e a raccontarlo sono anche i dati del box office. Rispetto agli anni passati, infatti, si avverte un'importante flessione negativa soprattutto nei giorni natalizi, da sempre considerati il momento più saldo per la programmazione. Quanto vi impensierisce questa situazione? Carlo Vanzina: Ci impensierisce molto. Io credo che, fino a questo momento, si sia preso sotto gamba il problema dei download pirati di fronte ai quali il governo non ha mai progettato alcun provvedimento. Certo è che, se andiamo avanti di questo passo, le sale saranno disertate.Enrico Vanzina: Il dato più preoccupante è che, ad andare veramente male, è stato il cinema d'autore in un paese come il nostro dove, storicamente, questo genere di prodotto era abituato a grandi risultati. Penso, ad esempio, ai film di Rosi, Petri e Fellini. Quindi, se siamo arrivati al punto di non poterci più permettere il lusso di produrre certe pellicole, vuol dire che siamo veramente di fronte ad una crisi da non sottovalutare. Qual è il problema vero? Forse mancano le sale, oppure gli autori guardano solo ad un pubblico da festival. E poi, servirà al cinema tutta questa diatriba festivaliera che occupa spazio sui giornali e ne toglie al prodotto vero e proprio? Ad incidere negativamente sul futuro delle nostre pellicole, però, è soprattutto la stagione corta che ferma le uscite praticamente a metà maggio. Questo fenomeno non accade in nessun altro paese ed è la causa principale della vita sempre più breve concessa ad ogni film portato in sala. Ed è un danno soprattutto per i prodotti più piccoli, che avrebbero bisogno del passaparola e di più tempo per emergere.
Questo calo del box office natalizio è dipeso, forse, anche dalla scomparsa del classico cinepanettone?
Carlo Vanzina: Quando Enrico ed io abbiamo iniziato con Sapore di mare e Vacanze di Natale, si trattava di commedie divertenti ma dall'anima sentimentale. Piano piano, poi, il cinema di Natale ha preso un'altra deriva. La cosa curiosa è che, dopo il cambiamento di tendenza da parte di Aurelio De Laurentiis, sono venuti fuori dei film ancora più volgari, come I 2 soliti idioti. Per quanto mi riguarda, invece, sono contento di un film semplice quasi destinato a fallire come Colpi di fulmine. Perché la commedia italiana non ha bisogno di volgarità, sensazionalismo e parolacce. Certo, ci deve essere un'identificazione con il pubblico ma senza cadere nell'esagerazione.
Enrico Vanzina: Quando l'anno scorso abbiamo scritto la sceneggiatura di Vacanze a Cortina, la stampa si è scatenata inneggiando alla morte del cinepanettone. Oggi, con soli dodici mesi di distanza, le stesse persone quasi vorrebbero indietro la coppia Boldi/De Sica. Il fatto è che, dopo la rinuncia da parte di Aurelio al brand natalizio, ci siamo trovati con uscite programmate dal mese di novembre e offerte troppo diverse per fare la differenza.