Cobra Kai: Perché siamo tutti impazziti per la serie Netlix

Al di là del ritmo sempre altissimo degli episodi, della loro durata da 30 minuti e dalla sceneggiatura che invoglia al binge watching, scopriamo le ragioni del successo di Cobra Kai, la serie Netflix che continua la storia di Karate Kid.

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Cobra Kai 4: Ralph Macchio e Xolo Maridueña in una scena della quarta stagione

Eppure non ci ricordavamo di amare così tanto i film di Karate Kid da ragazzi. Li abbiamo visti, in tv o al cinema, ci sono piaciuti molto. Ma magari non erano tra i film che ci hanno cambiato la vita. E allora perché siamo tutti impazziti per la serie Netflix Cobra Kai? La stagione 4 è stata un vero successo, la stagione 5 è stata già girata ed è stata confermata la stagione 6. Cerchiamo di capire allora le ragioni del successo di una serie che sembra davvero riunire un pubblico davvero ampio, i nostalgici degli anni Ottanta e le nuove generazioni, gli amanti dei teen drama e quelli dell'epica sportiva. Al di là del ritmo sempre altissimo degli episodi, della loro durata da 30 minuti e dalla sceneggiatura che invoglia al binge watching, andiamo allora a vedere perché siamo tutti impazziti per Cobra Kai.

Nostalgia sì, ma con distacco

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Cobra Kai 4: William Zabka e Ralph Macchio in una scena della quarta stagione

Cobra Kai è la miglior operazione nostalgia di sempre. È quello che ha scritto un utente sulla pagina Facebook di Movieplayer, e possiamo anche essere d'accordo. Il punto è che c'è modo e modo di fare operazioni nostalgia. C'è un modo "eclettico", che è quello di Stranger Things, che non ripropone una franchise ma crea un mood e va a prendere qua e là vari tasselli di un periodo, e c'è un modo più "sacrale", rispettoso dei fan e della materia originale, che è ad esempio quello degli Star Wars di J.J. Abrams, soprattutto gli episodi VII e IX. C'è poi un modo relativamente nuovo di trattare il passato, che abbiamo ritrovato di recente proprio con il sequel di un vero e proprio mostro sacro del cinema, Matrix, in Matrix Resurrections. È trattare quel passato con distacco, in modo un po' dissacrante, prendendolo e prendendosi in giro. Lo ha fatto Lana Wachowkski, anche in modo un po' polemico, e lo hanno fatto i creatori di Cobra Kai, in modo più scanzonato. In questo senso, la scena di Johnny alle prese con la mossa della gru, un marchio di fabbrica di Daniel, dice tutto. Scrivere, girare, e anche vedere Cobra Kai è come guardare quelle vecchie foto di venti-trenta anni fa e riderci su. Ridere dell'ingenuità che avevamo, di come eravamo vestiti, di come portavamo i capelli. È ridere delle convinzioni che avevamo, delle nostre fedi incrollabili, come quelle su chi fosse il bene e chi il male, chi stesse dalla parte giusta e chi dalla parte sbagliata. Guardare Cobra Kai è guardare il passato non con rimpianto, ma con un sorriso, e andare avanti, perché è giusto così.

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La profondità dei personaggi e il ribaltamento dei ruoli

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Cobra Kai 4: Tanner Buchanan, Peyton List e Martin Kove in una scena della quarta stagione

Ed è proprio qui il bello di Cobra Kai. "Questo è il problema delle storie: non finiscono mai. Raccontiamo sempre le stesse storie, con altri nomi" sentiamo dire in Matrix Resurrections. È vero, le storie sono le stesse, ma più che i nomi è cambiato il modo di raccontarle. Non solo il livello delle serie tv si è alzato in modo tale che la scrittura è sempre più accurata in tutti i prodotti. Ma è anche il fatto che non siamo più degli anni Ottanta, e lo scenario non è più quello manicheo dei buoni dei cattivi, Rocky/Drago, Luke/Darth Vader, Batman/Joker. E così non è neanche più Daniel contro Johnny, non è più bianco o nero. Ormai siamo abituati a cercare profondità nei personaggi, a prescindere, e soprattutto a cercarla nei villain, ad ascoltare le loro backstory, a capire le loro ragioni. Cobra Kai è bello per questo, perché i personaggi che al cinema 30 anni fa erano monodimensionali ora sono tridimensionali. Non solo il cattivo, Johnny Lawrence, è diventato il protagonista della storia. Ma gli altri cattivi, John Kreese e ora Terry Silver, monodimensionali per eccellenza, ora hanno il loro disegno a tutto tondo, la loro bakstory, la loro evoluzione. Ed è così anche i ragazzi: prendiamo Tori, la "cattiva" per eccellenza tra i personaggi giovani. Nella stagione 4 abbiamo conosciuto la sua storia, abbiamo capito le sue ragioni e il suo bisogno di rivalsa che, se non siamo arrivati a tifare per lei, abbiamo comunque seguito le sue gesta con apprensione. Guardare Cobra Kai allora può insegnarci molto: oggi che, causa social, siamo sempre più polarizzati pro o contro un'idea, o un personaggio, ci può aiutare a capire le ragioni di chi ci sembra dall'altra parte della barricata.

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Cobra Kai 4: una scena della quarta stagione

Gli archetipi e i temi universali

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Cobra Kai 3: Xolo Maridueña nella terza stagione della serie

La scrittura è uno dei pezzi forti di Cobra Kai, dicevamo. Ed è una scrittura speciale. Perché, se noi che siamo il pubblico di Karate Kid - Per vincere domani dagli anni Ottanta siamo stati subito conquistati da questa serie, c'è sicuramente un ampio pubblico di ragazzi che quei film non li conosce ed è entrato immediatamente in empatia con la serie. Se, infatti, Cobra Kai vive di archetipi che si ripropongono - Miguel Diaz è chiaramente la riproposizione del Daniel LaRusso dei film originali - e di ruoli che passano in eredità ad altri personaggi, i caratteri della storia sono molto forti anche a prescindere dagli archetipi. Sono personaggi universali, che portano alla ribalta temi universali in cui ognuno può riconoscersi. I ragazzi problematici, cresciuti per strada senza uno dei genitori e abituati ad arrangiarsi da soli come i figli di padri importanti che sentono la pressione della fama e del successo dei genitori. I ragazzi bullizzati a scuola, così come quelli che bullizzano per non essere bullizzati a loro volta. E poi i genitori, quelli che non riescono ad avere un dialogo con i figli e quelli che li soffocano con troppa protezione. Con un racconto che trae la sua forza dall'ironia e della leggerezza si parla di bullismo, di abbandono, di generi (e fluidità dei generi), di famiglia, di rapporti tra padri e figli. Guardare Cobra Kai allora, da padri e madri, può farci capire che è importante tracciare la strada per i nostri figli, ma anche a lasciare che seguano la loro. Da figli, che dobbiamo ascoltare i consigli dei genitori, ma non dimenticare di essere noi stessi. Samantha LaRusso, nel finale di stagione, capisce proprio questo. E lo capisce anche il padre Daniel.

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Le storie restano aperte e spiazzano in continuazione

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Cobra Kai 4: Courtney Henggeler e Ralph Macchio in una scena della quarta stagione

Continueremo a seguire tutti questi temi nella stagione 5 e poi nella 6. Perché la bravura di showrunner e sceneggiatori di Cobra Kai, finora, è stata anche quella di lasciare aperte le storie come poche altre serie hanno fatte. E non parliamo di cliffhanger clamorosi, o di altri stratagemmi forzati per continuare la serie su tante stagioni. In Cobra Kai sono semplicemente i personaggi che sono in continua evoluzione, in formazione, come è naturale con gli adolescenti e i preadolescenti, individui in formazione per eccellenza, ma anche per i cinquantenni alle prese con i bilanci della propria vita. A volte i primi sembrano essere più saggi dei secondi, lo abbiamo detto spesso. Fatto sta che gli sceneggiatori di Cobra Kai sono bravissimi a lasciare aperta la crescita dei personaggi, la loro presa di coscienza, il sapersi conoscere, accettare e cambiare. In questo senso, è interessante l'ingresso in scena di Anthony LaRusso, il secondo figlio di Daniel, personaggio secondario nella stagione 1 e poi dimenticato nella 2 e nella 3. Nella recensione della stagione 4 abbiamo scritto che è una parte non completamente riuscita, un personaggio che non appare con continuità e che non è ancora abbastanza approfondito. Ma quello che abbiamo visto è probabilmente un teaser della stagione 5. Con Anthony LaRusso i creatori di Cobra Kai hanno scelto un personaggio scostante e ruvido, in un certo senso l'antitesi del giovane Daniel LaRusso, ma anche il segnale di un errore fatto da Daniel e la moglie, evidentemente troppo concentrati su se stessi e la primogenita Sam tanto da trascurare il ragazzino. Le storie restano aperte e spiazzano continuamente. Guardate l'episodio 10, quello conclusivo, e di come si risolvono le sfide del torneo All Valley. Guadare Cobra Kai vuol dire essere sempre sorpresi, e capire che nella vita davvero nulla è scontato.

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Cobra Kai 4: una foto della quarta stagione

Lo sport è per tutti, il mondo è per tutti

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Cobra Kai 4: Dallas Dupree Young in una scena della quarta stagione

Nulla è scontato, dunque. Neanche l'idea che lo sport sia qualcosa di riservato solo a chi è più forte, talentuoso, naturalmente vincente. È qualcosa che scorre sottotraccia alla storia di Cobra Kai, che ovviamente ha i suoi protagonisti e i suoi antagonisti, gli eroi e gli antieroi, anche se, come abbiamo visto, il confine tra gli uni e gli altri è sempre più sfumato. Ma, sullo sfondo di queste figure tragiche, a volte anche in primo piano, ci sono dei personaggi che, fino a qualche tempo fa, non avremmo visto nel classico film - o serie tv - a base di epica sportiva. Tra Miyagi Do, Eagle Fang e Cobra Kai, vediamo dei ragazzi sovrappeso, o sottopeso, teenager con il labbro leporino, o nerd per cui il fisico non è mai stato il proprio punto di forza. Una serie di persone che potrebbero essere a rischio di discriminazione e che invece trovano la forza di affrontare il mondo. Nel loro caso la chiave d'accesso al mondo è il karate, ma ognuno di voi può trovare la sua. Guardare Cobra Kai allora vuol dire capire che lo sport è per tutti, e oggi non può che essere così. Ma, soprattutto, che il mondo è per tutti.