Civil War: quando il cinema parla per immagini, e fa paura

Civil War, il nuovo film di Alex Garland, è la quintessenza del racconto per immagini. Nel nostro approfondimento, vi spieghiamo perché non dovreste perderlo (nel miglior cinema che troverete).

Civil War: quando il cinema parla per immagini, e fa paura

Non sappiamo se si rivelerà il film dell'anno, come abbiamo scritto nella nostra recensione, ma è sicuramente una pellicola dal grande impatto Civil War, nuova fatica cinematografica di Alex Garland, prodotta dalla A24, che ha debuttato come suo miglior esordio di sempre nel primo weekend negli Usa, e distribuita nelle sale italiane da 01 Distribution.

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Civil War: la "nuova" bandiera degli Stati Uniti d'America...

C'è un motivo preciso dietro questa nostra affermazione. Diciamo spesso che la settima arte debba parlare per immagini, perché quello è il suo principale compito: non si può sfuggire ad una sceneggiatura solida, ma è attraverso la messa in scena della stessa che avviene la magia e che anche le tematiche di maggior impatto arrivano al pubblico. Il regista inglese dimostra la piena consapevolezza di questo principio in Civil War, che vi consigliamo di vedere nel cinema migliore che avete a disposizione.

Montaggio sonoro

Cailee Spaeny In Civil War Copy
Civil War, dentro l'obbiettivo

Questo perché la trama di Civil War non è, paradossalmente, la sua parte più inquietante. Un gruppo di reporter di guerra - interpretati dai veterani Kirsten Dunst, Wagner Moura e Stephen McKinley Henderson insieme alla novizia Cailee Spaeny - intraprende un viaggio on the road attraverso l'entroterra americano e diretti a Washington e alla Casa Bianca per un'intervista esclusiva col Presidente in carica, in modo da portare alla luce la sua inadeguatezza nell'affrontare la guerra civile del titolo che è esplosa negli Stati Uniti. Se questa storia porta immediatamente la vostra mente a quanto accaduto solamente tre anni fa al Campidoglio, è normale: è la prima associazione che sovviene, insieme ad altri riferimenti all'attualità, proprio ciò che Garland voleva, per raccontare un futuro non così lontano e che forse, proprio per questo, fa paura.

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In trincea con Alex Garland

La chiave di Civil War però è come questa paura sia fatta arrivare allo spettatore, attraversando lo schermo, o meglio portando il pubblico dentro quello schermo, più visivamente che concettualmente. Ecco perché vi dicevamo di scegliere la sala migliore possibile: uno schermo grande e un impianto sonoro immersivo sono necessari per godere appieno della portata cinematografica della pellicola. Gli spettatori si addentreranno, insieme ai reporter protagonisti, nel percorso affrontato, vivendo la storia attraverso le foto che i reporter decidono di scattare e far arrivare al mondo. D'altronde, come dice il personaggio di Dunst: "Noi non facciamo domande, noi documentiamo affinché siano gli altri a chiedere".

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Montaggio visivo

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Kirsten Dunst, Wagner Moura e Cailee Spaeny in Civil War

È ciò che potremmo definire montaggio visivo quello utilizzato nel film, che parte dalla scrittura, asciutta e cruda, dura come lo sguardo d'esperienza di Kirsten Dunst lungo tutta la pellicola. Tutto diviene immagine di denuncia, anche la morte di un collega. Questo è il lavoro e questo è il messaggio, d'altronde. Seguiamo i quattro protagonisti tra le bombe che esplodono vicino a loro (e di conseguenza vicino a noi), tra i cecchini, tra gli assalti. Tutto si fa polvere, tutto è rumore assordante nel silenzio quasi chirurgico delle operazioni militari più o meno ufficiali in cui si ritrovano coinvolti. Guardare il film ci fa sentire come se fossimo in trincea: il cinema diviene la prima linea del racconto, l'unica possibile per restituire la più onesta verità di qualcosa di fittizio eppure così incredibilmente vicino al reale.

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Civil War: Cailee Spaeny in una foto

È particolarmente interessante trovarci ad affermare queste parole, dopo le proteste da parte di molti spettatori per i poster promozionali realizzati con l'A.I. e pubblicati sull'account Instagram della A24, che ha speso 50 milioni di dollari per questo film, la sua più grande produzione finora, facendo però sembra di averne spesi il doppio per le città statunitensi distrutte dalla guerra civile che si vedono nelle immagini promozionali. Immagini che non si vedono poi nella pellicola e che quindi, in un certo senso, danno ragione alla nostra tesi. Ecco perché Civil War ci fa paura: non per il soggetto ma per come questo venga sviluppato e portato al pubblico, attraverso quelle immagini così agghiaccianti perché girate sul set, perché ci mostrano ciò che potrebbe succedere domani. Civil War funziona perché prende gli stilemi visivi di un film post-apocalittico e ambientato in un futuro distopico ma all'interno di quella cornice inserisce - anzi, mette letteralmente in mostra - dinamiche del qui e dell'ora. Il filone bellico all'interno della filmografia di Alex Garland potrebbe fermarsi con il prossimo Warfare, ma speriamo il cineasta non abbandoni la settima arte: abbiamo ancora bisogno del suo sguardo, del suo cinema per immagini sul grande schermo.