Dice il detto "Non tutte le ciambelle riescono col buco"; figuriamoci quindi se i festival cinematografici, la cui ricetta è notevolmente più complessa, possono essere sempre all'altezza delle precedenti edizioni o della loro fama. Certo però da questo Cannes numero 70 ci aspettavamo molto di più, soprattutto perché avevamo vissuto di persona dieci anni fa l'edizione del sessantennale e, quella sì, fu forse davvero la migliore a cui abbiamo avuto il piacere di partecipare. Non che il buon Thierry Frémaux non ci abbia provato a rendere indimenticabile anche questo anniversario: oltre a prendere il meglio del cinema disponibile al momento e i nomi più prestigiosi, ha richiamato tantissime personalità che hanno contribuito al successo del suo festival in tutti questi anni e li ha riuniti in una speciale foto e in un red carpet da record.
Leggi anche: Cannes 2017: tra colpi al cuore e amari risvegli, le nostre preferenze
Ma tutto ciò non è bastato a raddrizzare tutto quello che fin dall'inizio è sembrato andare storto e che, infatti, aveva reso il direttore del Festival nervoso fin dall'annuncio del programma: molti film importanti (Dunkirk di Christopher Nolan in primis) non erano pronti per essere svelati a Cannes, la scelta - da alcuni crticata - di inserire due (mini)serie come Twin Peaks e Top of the Lake 2 in un festival cinematografico e in più la polemica sul manifesto di una Claudia Cardinale inutilmente photoshoppata.Leggi anche: Twin Peaks: David Lynch sfrutta la nostra nostalgia e ci prende in giro. E ben ci sta!
E queste sono solo le polemiche e i problemi della vigilia, perché la vera gatta da pelare è arrivata proprio a ridosso dell'avvio con la questione Netflix (di cui vi abbiamo già abbondantemente parlato in questo articolo) e i due giurati Pedro Almodóvar e Will Smith a creare due schieramenti opposti in cui, un po' scherzosamente e un po' no, l'intero Festival si è riconosciuto per giorni, tanto da portare ai fischi alla prima proiezione di Okja. Ma non è finita qui, perché l'evento Twin Peaks che per settimane aveva catalizzato l'attenzione della stampa internazionale si è trasformato in un non-evento: niente anteprima, ma anzi proiezione degli episodi giorni dopo l'arrivo in TV, niente conferenza stampa, niente omaggi di nessun tipo, ma solo un red carpet minimalista presenziato da David Lynch stesso (che si è commosso in sala, almeno lui si può dire soddisfatto) e Kyle MacLachlan.
Leggi anche: Cannes 2017: Okja, fischi e urla alla proiezione del film Netflix, stoppato per problemi tecnici
Delusioni d'autore
Se quindi non ci sono poi stati grandi presupposti per una grande celebrazione, alla fine poco importa, quello che conta davvero in un festival sono le opere presentate. Perché se i film sono una bomba - metaforica, non quella del falso allarme di qualche giorno fa; eh sì, non ci siamo fatti mancare niente quest'anno - tutto il resto passa in secondo, anche terzo piano. Non sono sono pochi i colleghi che hanno detto di aver visto il peggior concorso cannense da molti anni, se non decenni, a questa parte, ma si tratta forse di un giudizio fin troppo severo e anche un po' ingiusto nei confronti di un'edizione che comunque ci lascia tanti titoli anche molto interessanti e che potrebbero trovare un certo seguito al di fuori del festival.
Leggi anche: 120 battiti al minuto: il sangue fa rumore
Solo per rimanere al concorso vanno quantomeno citati titoli come 120 battements par minute, Okja, Loveless, The Killing of a Sacred Deer, Good Time, You Were Never Really Here, oltre che la Palma d'oro The Square. In più film (più o meno) di genere che hanno magari diviso ma comunque di certo non lasciato indifferenti come L'inganno, L'amant double e In the Fade. Molti di questi film sono stati premiati e probabilmente tutti questi, in un modo o nell'altro, arriveranno anche nelle sale italiane e, siamo certi, in qualche modo lasceranno il segno nella prossima (speriamo non prossime) stagione cinematografica.
Leggi anche: Good Time: l'odissea criminale di un Robert Pattinson sempre più bravo
Quello che veramente è mancato è stata la presenza del film che mettesse d'accordo tutti, del capolavoro vero e proprio, un film che potesse fin da subito mostrarsi come uno dei più significativi dell'anno. Lecito aspettarsi un qualcosa del genere da registi amatissimi come Michael Haneke, Todd Haynes o Noah Baumbach - oppure, andando oltre il concorso, Roman Polanski - ma i loro film hanno suscitato pochissimo entusiasmo, non hanno fatto nemmeno discutere più di tanto, semplicemente sono passati senza quasi colpo ferire. Esattamente l'opposto di quello che ci si aspettava. E di quello che un Festival come Cannes ha dimostrato di saperci dare in passato.
Leggi anche: Happy End: l'indifferenza suicida della borghesia europea
Giurati coraggiosi
Ovvio che in queste condizioni assegnare una Palma d'oro e tanti altri premi non è mai facile: una cosa è avere The Tree of Life o Amour in concorso, un'altra tanti film magari anche affascinanti ma imperfetti e attaccabili. La scelta della Palma d'oro dimostra la tesi di prima, è mancato il colpo di fulmine, perché tra tanti giurati è sicuro che almeno qualcuno avrà per forza notato quello che tutta la stampa internazionale ha ampiamente detto, ovvero che il pur bel film di Ruben Östlund è decisamente troppo lungo e perde di efficacia con il trascorrere dei minuti, finendo quasi con lo stancare nel finale. Ma se è stato comunque premiato è perché la potenza di certe immagini, la satira pungente e il divertimento regalato da alcune "vignette" hanno avuto la meglio su ogni perplessità.
Leggi anche: The Square: satira, senso di colpa e arte contemporanea
A prescindere dai gusti personali - chi scrive non ha amato affatto il film di Sofia Coppola - è comunque un palmarès decisamente equilibrato che in fin dei conti sembra coincidere per una volta anche con le preferenze della stampa, anche se il russo Loveless da quel punto di vista era indiscutibilmente il favorito. A sorprendere più di tutti è il doppio premio a You Were Never Really Here di Lynne Ramsay, film quasi sperimentale che si porta a casa la migliore interpretazione (un Joaquin Phoenix superbo) ma anche (con un ex-aequo) una menzione per la sceneggiatura che, vista la natura del film, è piuttosto discutibile ma, se non altro, conferma un certo coraggio da parte della giuria.
Leggi anche: You Were Never Really Here e il Joaquin Phoenix che non ti aspetti
Pur lasciata fuori dal concorso, l'Italia non è rimasta a guardare ma anzi conquista un importante premio in Un Certain Regard con la brava Jasmine Trinca e il suo Fortunata, ma anche altri film nostrani come Sicilian Ghost Story di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, L'intrusa di Leonardo di Costanzo, Cuori puri di Roberto De Paolis o A Ciambra di Jonas Carpignano hanno suscitato entusiasmo nelle sezioni parallele e hanno dimostrato che anche senza rincorrere la Palma d'oro il cinema italiano può senza dubbio farsi notare. Poi chissà, magari sarà proprio un qualche regista italiano l'anno prossimo a rendere più memorabile l'edizione del 2018, che non sarà più quella dell'anniversario e delle celebrazioni ma magari tornerà ad essere prima di tutto quella dei grandi film.
Leggi anche: Sicilian Ghost Story e i mostri di una terra fantastica