You Were Never Really Here e il Joaquin Phoenix che non ti aspetti

Finito giusto in tempo per entrare nella competizione francese, il film di Lynne Ramsay è l'affascinante spaccato di un uomo, che si affida più alle sue suggestioni che all'intreccio.

You Were Never Really Here: Joaquin Phoenix in una scena del film
You Were Never Really Here: Joaquin Phoenix in una scena del film

Essere a Cannes è importante. Lo è per noi giornalisti, che di anno in anno sopportiamo i disagi di un festival classista e affollato per ammirare quello che ha da proporre, lo è per i cineasti che ben sanno quanto sia importante questo palcoscenico per proporre i propri lavori. Per questo a volte si fanno salti mortali per esserci, a costo di presentare un film non ancora al cut definitivo: era successo qualche anno fa a Wong Kar-Wai e Quentin Tarantino, rispettivamente con My Blueberry Nights, al quale furono poi tagliati una ventina di minuti, e Bastardi senza gloria, al quale il regista di Pulp Fiction apportò lievi modifiche.

Non sappiamo se il cut definitivo di You Were Never Really Here sarà diverso da quello presentato a Cannes 2017, ma di certo avrà dei titoli di testa e di coda, assenti alla premiere francese, perché la regista Lynne Ramsay ha ultimato la lavorazione proprio pochi giorni prima della proiezione a cui abbiamo assistito. E siamo felici che sia stato così, perché al netto di qualche perplessità, il nuovo film dell'autrice ha indubbi motivi di interesse, un protagonista in gran forma (artistica, più che fisica) e una colonna sonora magnetica.

You Were Never Really Here: Joaquin Phoenix ed Ekaterina Samsonov in una scena
You Were Never Really Here: Joaquin Phoenix ed Ekaterina Samsonov in una scena

Una ragazza scomparsa

You Were Never Really Here - Joaquin Phoenix nel film
You Were Never Really Here - Joaquin Phoenix nel film

Joaquin Phoenix interpreta Joe, il protagonista di You Were Never Really Here, un killer taciturno che ha poca propensione al contatto umano, dedicando quel poco di gentilezza e umanità che gli resta alla madre malata con cui vive nella casa in cui è cresciuto nel Queens. Momenti privati che integrano quello che è il vero il motore del film, che è legato al suo lavoro, ad un nuovo incarico che gli viene affidato e che riguarda la figlia del senatore Votto, una quattordicenne scomparsa che rientra nel tipo di lavori ai quali si dedica: recuperare ragazzi dal circuito degli schiavi sessuali. Il senatore, un padre naturalmente ferito e spaventato, chiede a Joe di far del male a chi ha preso sua figlia e il tacito assenso dell'uomo ci fa subito capire i suoi metodi brutali.

Ritratto di un killer

You Were Never Really Here: Joaquin Phoenix in una scena
You Were Never Really Here: Joaquin Phoenix in una scena

Se, come detto, il fulcro del racconto di You Were Never Really Here è il caso di cui Joe deve occuparsi e la liberazione della ragazza rapita, con tutto ciò che comporta in termini di tensione e brutalità, non ne è il cuore: quello che importa alla Ramsay è di mettere in scena un ritratto complesso e sfaccettato del suo protagonista. Lo fa partendo dal lavoro sul suo interprete, su un Joaquin Phoenix un po' sovrappeso, col corpo segnato e gli occhi stanchi, la barba lunga e incolta e una capacità di comunicare anche solo con lo sguardo sofferto, senza bisogno di tante, inutili parole. Un Phoenix a cui fanno eco dei comprimari che lasciano il segno pur senza avere troppo spazio, a cominciare dall'intensa Judith Roberts che interpreta la madre di Joe e che usa lo scarso minutaggio a sua disposizione non solo per definire il proprio personaggio, ma anche per completare, di riflesso, quello del figlio.

Raccontare con frammenti

Nel tratteggiare questo ritratto, You Were Never Really Here procede con una struttura narrativa suggestiva quanto complessa, che diluisce la tensione di una trama da thriller con flashback fatti di immagini spiazzanti e folgoranti dal passato di Joe, con un montaggio che si affida a frammenti e dettagli scelti con originale senso della messa in scena, riuscendo a suggerire la violenza senza compiacersi di essa: nella visione della regista scozzese, non è l'intreccio ad essere predominante, ma una costruzione visiva ipnotica e splendidamente supportata dallo score elettronico composto da un Jonny Greenwood sempre più consolidato come autore di colonne sonore. Una scelta affascinante, che però non ci è sembrata riuscita in tutto e per tutto, dando la sensazione di girare un po' a vuoto e restare parzialmente incompiuta.

Non è vero e proprio limite, quanto un pizzico di delusione per un'opera che parte in modo folgorante e che, da una prima parte di grande intensità ci aveva fatto sperare in qualcosa di più.

Movieplayer.it

3.5/5