La definizione di re dell'horror per Stephen King, oltre ad essere ovvio gioco di parole sul suo cognome, è soprattutto dovuta alla mole di opere di genere che l'autore del Maine ha sfornato con successo a partire dalla prima metà degli anni '70, generando un'invasione mediatica che ha coinvolto fin da subito anche il grande schermo. In pochi anni, l'associazione King/Horror si è fatta solida e indiscussa ed il nome del prolifico scrittore è diventato un bollino di qualità da applicare ad ogni possibile produzione dell'orrore, anche solo con l'immancabile citazione per promuovere libri e film non direttamente legati alla sua firma.
C'è un motivo, però, se abbiamo usato il corsivo per la parola "qualità": se infatti tra i primi adattamenti kinghiani per il grande schermo figuravano nomi di un certo rilievo (Brian De Palma, David Cronenberg, John Carpenter, George Romero... senza andare a scomodare il Kubrick di Shining), da un certo momento in poi sembrava che bastasse avere il nome di King sulla copertina piuttosto che realizzare un buon film. E quindi ecco l'invasione di prodotti mediocri, per la maggior parte, da Unico indizio la luna piena a Grano rosso sangue e quell'aborto senza anima che è Fenomeni paranormali incontrollabili.
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King scende in campo
"Quando vuoi un lavoro fatto bene, devi farlo da solo" diceva lo stesso King nel trailer originale di Brivido, il suo primo e finora unico (grazie al cielo) film da regista. Era il 1986 e dopo vari adattamenti che non sapevano rendere la forza narrativa dirompente dell'originale kinghiano, l'autore di Shining decideva che era arrivato il momento di scendere in campo e fare il suo primo film da regista. Una di quelle cose che fai per poter dire di averci provato, come ha lui stesso più volte dichiarato in varie interviste successive a quel periodo. Una di quelle cose che, ormai è chiaro anche all'improvvisato regista, non è assolutamente da ripetere: se infatti un paio di sceneggiature post-Brivido ci sono state, tra cui il recentissimo Cell, Stephen King non è mai tornato dietro la macchina da presa.
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La difficoltà di adattare King, anche dallo stesso King
D'altra parte è comprensibile: l'esperienza sul set di Brivido non deve essere stata facile per lo scrittore, così a suo agio quando si tratta di tratteggiare personaggi, dargli una voce, una personalità e dei tratti distintivi unici, ma fuori dal suo ambiente e i suoi punti di forza su un set cinematografico (oltre che, per sua ammissione, fatto di cocaina), come fa intuire la maglietta che indossa nella foto qui accanto. La forza di King è nei personaggi, nel saperli rendere tridimensionali come pochi sanno fare; e lo fa arricchendo la narrazione di vizi, vezzi e tantissimi dettagli che li rendono persone a trecentosessanta gradi, facendoceli conoscere quanto e più delle figure che popolano la nostra esistenza. Tutto questo in un film si perde inevitabilmente, che sia King o un altro a scriverlo, e per rendere lo spirito di una sua storia, questa va inevitabilmente tradita o comunque affrontata in modo diverso, basilare e con un'impronta decisa.
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La mano (monca) di King
Un'impronta che King, in quanto regista, non aveva. Alcune trovate che la scrittura kinghiana rende credibili, non funzionano e non possono funzionare su schermo, altre non possono essere tradotte con il linguaggio visivo zoppicante del King regista, la cui padronanza del mezzo audio/visivo non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella che ha dell'inglese colloquiale americano. L'(auto)ironia che cerca in instillare nella pellicola, sin dall'incipit con il bancomat che gli dà dello stronzo, scivola nel ridicolo, i personaggi mancano di quello spessore a cui ci aveva abituati, le situazioni sono sopra le righe e non comunicano l'orrore che in prima persona nel trailer prometteva. In fin dei conti, la sola sequenza che un po' riesce ad immergerci nello spirito che i fedeli lettori di King sanno riconoscere è quella dei titoli di testa, con AC/DC in sottofondo.
Trent'anni dopo Brivido
A trent'anni di distanza dalla sua uscita, Brivido resta un simbolo di un certo tipo di adattamento delle opere dello scrittore del Maine, di un immaginario un po' trash che Steve ha, ahinoi, contribuito a creare e che per fortuna sembra essere stato in parte superato. Non solo dopo quella modesta pellicola dell'86 abbiamo avuto una gemma come Stand by me - Ricordo di un'estate, ma negli anni successivi sono arrivati altri adattamenti riusciti ed amatissimi come Misery non deve morire o Le ali della libertà, proseguendo tra qualche alto e tanti bassi fino a 22.11.63, ma i tempi più recenti ci hanno messi nella condizione di poter riscrivere quell'amaro passato, con un nuovo It in produzione che sembra voler superare i limiti della versione del '90, un nuovo The Stand che possa farci dimenticare la triste miniserie firmata Mick Garris, oltre a La Torre Nera che, finalmente, ha trovato la sua via verso il grande schermo.
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Il mondo è andato avanti, King pure. Ed ha soprattutto capito che può contribuire a una sceneggiatura di tanto in tanto, come ha fatto negli ultimi anni anche per Under the Dome, ma il suo lavoro vero, quello che lo fa alzare dal letto ogni mattina, quello che appassiona noi lettori e gli fa meritare l'appellativo di Re dell'orrore con cui abbiamo aperto questo articolo, è quello che svolge giorno dopo giorno alla sua scrivania per produrre le sue storie.