Fra le donne equipaggiate di autocritica e di senso della realtà, in pochissime vent'anni fa potevano identificarsi con le eroine proposte dalle commedie sentimentali standard. Troppo magre, troppo graziose o troppo brillanti, fra loro e noi s'interponeva sempre quello scarto ‒ sottaciuto perché troppo doloroso da ammettere ‒ che generava un'immedesimazione scettica e, a film finito, un ritorno alla quotidianità venato di vaga mestizia. Proprio come sarebbe successo più avanti nella vita di Bridget Jones, anche nella nostra si sono susseguiti Natali sconsolati da "anche quest'anno single", fallimenti sentimentali prevedibili ma scientemente non previsti, buoni propositi smentiti l'attimo stesso in cui venivano elencati. E pur trovandoci avviluppate in migliaia nello stesso spleen, ci percepivamo sole, sguarnite di un'eroina che ci rappresentasse. In una commedia e non in un fosco film sulla disperazione, s'intende. Poi, nel 2001, sul grande schermo è comparsa lei, Bridget Jones, e almeno per cinque motivi non ci siamo più sentite dannatamente sole.
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1. Bridget è molto più che imperfetta
Anzi, al confronto ne usciamo quasi vincenti, perché Bridget condensa tante e tali imperfezioni che, nella realtà e non nella fiction, saremmo le prime a scuotere la testa con accondiscendenza. Ci asterremmo sui suoi chiletti di troppo, che la rendono piuttosto una figura amica; forse le sconsiglieremmo di ammortizzare ogni delusione con l'alcol, o di inanellare tante sigarette al giorno. Di certo le suggeriremmo di chiedere conferma se il tema della festa "preti e squillo" non è cambiato, prima di presentarsi in un giardino gremito di ospiti vestita da coniglietta (o, nel dubbio, d'infilarsi almeno un cappotto che le copra la coda-pon pon). E forse le indicheremmo qualche vestito più adatto alle sue rotondità: in certi casi meno kitsch, in altri meno ligio ai consigli materni; tutto sommato meglio sembrare "una uscita da Auschwitz" perché un po' dimessa piuttosto che una bambola russa, con tanto di gilet floreale e collettone. Diciamo quindi che Bridget non si aiuta.
2. Ha una predisposizione unica per le figuracce
Ma come non adorarla quando s'interroga, prima di un appuntamento romantico, se indossare le mutandine sexy ‒ molto più adatte al "momento cruciale" ‒ oppure gli orrendi mutandoni contenitivi, che appiattendo la pancia favoriscono le probabilità di arrivare al momento cruciale? Dilemma di fronte al quale, declinato in centomila varianti, qualunque donna si è trovata a un certo punto; e la scelta ne inquadra il carattere molto più di quanto si pensi. Bridget ovviamente propende per i mutandoni. Profilo C: insicura, prudente e allo stesso tempo per niente lungimirante, in una di quelle paradossali contraddizioni che rendono le persone normali irresistibilmente uniche.
Così Bridget si lancia quasi sempre in miserevoli figuracce. A volte letteralmente: come quando, in uno dei tanti servizi giornalistici di cui non si dimostra all'altezza, atterra col paracadute in un porcile e si rialza coperta di escrementi. E sorprendentemente la sua goffaggine diventa la sua cifra: Bridget riesce a fare carriera proprio grazie a ciò che nella vita vera ci farebbe rintanare a casa per la vergogna e non ci farebbe mai più inviare un curriculum.
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3. Sospira sempre sui partner sbagliati
Prima di Bridget, amavamo identificarci in Carrie di Sex and the City. Non più giovanissima ma affascinante, single ma indipendente, era Carrie la nostra stella polare per le serate da divano-e-biscotti al caramello. E Carrie è senz'altro più adatta per le spettatrici che cercano sì un'identificazione, ma parziale. Se dovessimo spiegare il concetto con un'equazione esaustiva, Bridget sta ai mutandoni come Carrie sta alle Manolo Blahnik. E coloro che, prima di Sex and the City, ignoravano che le Manolo fossero scarpe sofisticate e costosissime non possono non immedesimarsi più in Bridget che in Carrie. La nostra paffuta biondina interpretata da Renée Zellweger, così come Carrie per altri aspetti, non è un'icona femminista, contrariamente a quanto si possa supporre. Tutt'altro che indipendente, Bridget sogna l'amore che la completi, e l'abito bianco sotto una pioggia di petali. Riesce a inquadrare preventivamente i partner sbagliati (quelli "alcolizzati, stacanovisti allergici alle relazioni, voyeur, megalomani, emotivamente instabili o pervertiti"), ma poi s'innamora dell'unico uomo che incarna tutte queste caratteristiche, fra l'altro il suo capo-ufficio, e amplifica ogni suo gesto filtrandolo attraverso lenti romantiche ("una mini-vacanza significa vero amore").
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4. Si crogiola nell'autocommiserazione
Una sprovveduta che si sente Grace Kelly alla prima gita fuoriporta col partner, ovviamente, non può che andare incontro a cocenti delusioni. E se moltissime donne vivono stati emotivi altalenanti, gli alti e bassi di Bridget sono paragonabili alle montagne russe. Così, quando scopre che un donnaiolo impunito non cambia in una relazione, Bridget si spalma sul divano davanti alla tv, o grattugia un formaggio ammuffito perché fare la spesa quando si è depresse appare troppo prosaico. Nel suo pigiamino rosso dalla fantasia naïve, mentre stringe una rivista arrotolata a mo' di microfono, Bridget canta in playback All by Myself; quando ci sentiamo giù è doveroso ascoltare canzoni che ci trascinino ancora più in basso, e in questo Bridget dimostra inopinatamente coraggio: nell'attraversare ogni emozione anziché costeggiarla. In fondo, proprio mentre la segreteria telefonica rimarca che non ha ricevuto messaggi, "neanche uno, neanche da sua madre", secondo una realtà alterata dalla sua percezione pessimistica, Bridget denota autoironia. Ma, sopra qualsiasi altro merito, Bridget ne ha uno che la fa brillare...
5. ... Sceglie sempre di rialzarsi
L'abbiamo detto: Bridget si pone agli antipodi rispetto agli adulti impettiti e schiavi delle sovrastrutture sociali, che sono la maggior parte. Interviene nel punto meno opportuno delle conversazioni, si lancia in freddure seguite regolarmente dal silenzio imbarazzato degli interlocutori, è divisa tra la spontaneità più disarmante e un terribile senso d'inadeguatezza. A un incontro con scrittori illustri sussurra tra sé e sé di essere intellettualmente pari a tutti gli astanti; poi presenta uno scrittore con l'introduzione più goffa di sempre e cerca di rimediare con ostinazione, peggiorando perfino ciò che non sembrava peggiorabile. Proprio per questo rappresenta una ventata d'aria fresca per chi quella spontaneità non l'ha mai avuta: Mark Darcy, a cui Bridget piace esattamente "così com'è".
Perché Bridget rivela molta più personalità della schiera di snob da cui si sente giudicata, e difende le sue idee a costo d'infastidire l'uomo che ama. Si annebbia la mente di vodka, ma il giorno dopo cerchia annunci di lavoro sui quotidiani, spinge i pedali della cyclette fino a svenire, adotta nuovi manuali di riferimento: non più su come conquistare gli uomini ma su come poter vivere senza. E non importa se l'ultima sigaretta non è mai l'ultima, o se dopo una sfuriata aspetta immobile la telefonata di riconciliazione. Quando sente d'indulgere nel vittimismo non ascolta All by Myself, ma spezza la malinconia ballando sul ritmo di Jump Around; perché Bridget è vitale, onesta e raggranella sempre la grinta per tornare sulla giostra e restarci ancora un po', fino alla sbucciatura successiva. Ci ha insegnato che l'unico modello da seguire, seppur sempre da perfezionare, siamo noi stesse, e che la sola regola che conta davvero è piacersi per come si è.