BoJack Horseman 6 su Netflix: recensione prima metà di stagione

La recensione di BoJack Horseman 6, prima metà di stagione: per la serie d'animazione Netflix creata da Raphael Bob-Waskberg è l'annata finale.

Bojack Horseman: il protagonista in una scena della serie
Bojack Horseman: il protagonista in una scena della serie

Con questa recensione di BoJack Horseman 6, prima metà di stagione è difficile non sentirsi un minimo come alcuni dei personaggi della serie, che nel migliore dei casi sono affetti da una leggera malinconia. Questo perché lo show animato di Raphael Bob-Waksberg, uno dei titoli di punta del catalogo seriale di Netflix, si appresta a salutarci per l'ultima volta, con due blocchi di otto episodi ciascuno: il primo adesso, il secondo il 31 gennaio 2020. La malinconia è dovuta soprattutto al fatto che quel dettaglio specifico - la serie finirà a breve - è stato annunciato quasi all'ultimo, in concomitanza con la conferma dell'arrivo dei nuovi episodi, dopo che la sesta stagione non era arrivata a settembre come negli ultimi due anni.

Ci prepariamo quindi alla fine di un'era, dato che nel canone animato di Netflix le disavventure del cavallo antropomorfo depresso e alcolizzato sono l'equivalente di House of Cards: la serie da cui tutto ebbe inizio. Un inizio un po' in sordina, certo (ci vollero alcuni episodi prima che la satira hollywoodiana un po' generica cedesse il posto alla tragedia esistenziale), ma comunque già allora un titolo sufficientemente valido da poter rientrare di diritto tra le migliori decisioni creative del gigante dello streaming.

Una trama riabilitativa

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Bojack Horseman 6: una scena della prima parte della stagione finale

Avevamo lasciato BoJack (Will Arnett) mentre questi decideva di fare i conti con il proprio alcolismo e disintossicarsi, roso da vari sensi di colpa (principalmente la morte di Sarah Lynn, stroncata da un'overdose nella terza stagione). Lo ritroviamo quindi in un centro di riabilitazione, alle prese con i classici tormenti degli Alcolisti Anonimi, mentre attorno a lui continua a muoversi il microcosmo ideato da Bon-Waksberg: Princess Carolyn (Amy Sedaris) fatica a gestire l'equilibrio tra lavoro e maternità, Mr. Peanutbutter (Paul F. Tompkins) non sa come dire alla fidanzata che l'ha tradita con la sua ex (Alison Brie), la quale a sua volta cerca di reinventarsi professionalmente e sentimentalmente. E poi c'è Todd (Aaron Paul), da sempre il comprimario più carismatico dello show, che tra un momento di leggerezza e l'altro (già cult la suoneria del telefono, la Sinfonia n. 5 di Beethoven che per l'occasione fa "Todd, Todd, Todd, Toooooodd"), riesce comunque ad assumersi le proprie responsabilità in un mondo che sta scivolando sempre di più nel caos.

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Bojack Horseman 6: un momento della prima parte della stagione finale

La coralità di BoJack Horseman è sempre stata una componente centrale del suo successo, che si tratti del cast fisso o delle tante, preziose presenze ricorrenti (una su tutte, Margo Martindale nei panni di "se stessa"). La sesta stagione di BoJack Horseman, o almeno la prima metà di essa, sfrutta questo elemento in modo leggermente insolito, strutturando quasi tutti gli episodi in modo che siano incentrati su un personaggio diverso a seconda della puntata, in alcuni casi relegando BoJack quasi a un cameo grazie all'escamotage della disintossicazione. Una strategia necessaria ed efficace, che dà il giusto spazio a tutti i personaggi per chiudere certe linee narrative e aprirne altre, in attesa del secondo blocco di episodi che si annuncia definitivo anche senza la consapevolezza del finale imminente. Particolarmente devastante è il secondo capitolo, incentrato su Carolyn, da sempre una forza comica inarrestabile e qui invece una figura carica di pathos, capace di spezzarci il cuore perché sotto la scorza della parodia dell'agente hollywoodiano c'è un personaggio a tutto tondo, che trascende la presa in giro per regalarci momenti di autentica emozione (per fare un paragone vagamente simile sul piano tematico, difficilmente ci farebbe lo stesso effetto il pur strepitoso Ari Gold in Entourage).

Non è il solito BoJack

Che BoJack sia sempre stato triste e pieno di risentimenti, soprattutto nei confronti di se stesso, è un fatto assodato sin dal primissimo episodio, ma in questa sede c'è qualcosa di diverso, una voglia di riscattarsi che però va di pari passo con un generale disprezzo della propria persona. C'è soprattutto quel sentore quasi funereo, non tanto per lui quanto per la serie stessa, che esplicita tale concetto nella sigla, ora modificata per mostrarci l'intero percorso dell'uomo cavallo a partire dall'infanzia, con sfondi quasi cosmici, laddove le prime cinque annate optavano per un ritratto più semplice di un individuo che è al contempo star e vittima di Hollywoo (no, non è un refuso).

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BoJack Horseman 6: una scena della serie Netflix
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Bojack Horseman 6: un'immagine della stagione finale

Anche la storia al centro dell'ultima stagione di BoJack Horseman rispecchia questa cosa, preferendo mettere la satira in un angolo e tirarla fuori quando strettamente necessario (la frecciatina nei confronti dei blockbuster supereroistici e del loro trattamento delle donne, davanti e dietro la macchina da presa, è un gioiello di perfida precisione comica). Non è (quasi) più tempo di risate, ora bisogna liberare più spazio possibile per le lacrime. L'attesa degli episodi 9-16 è già adesso praticamente insostenibile, proprio come la vita del protagonista. E da quel punto di vista, la divisione della stagione finale in due blocchi è un capolavoro di crudele manipolazione emotiva.

Conclusioni

Giunti in fondo a questarecensione di BoJack Horseman 6, prima metà di stagione (episodi 1-8), la malinconia non fa che aumentare, ma è una malinconia dolce, legata al dover presto salutare per sempre una serie che, pur facendo ogni tanto molto male, è irresistibile proprio per la sua rappresentazione realistica di problemi ed emozioni all'interno di un universo che poteva scivolare nella parodia pura. Da gustarsi in lingua originale, soprattutto per le voci di Will Arnett e Aaron Paul.

Movieplayer.it
4.5/5

Perché ci piace

  • La performance vocale di Will Arnett raggiunge nuove vette di pathos.
  • Le novità visive e strutturali non smorzano i punti di forza dello show.
  • La scrittura rimane intelligente e splendidamente cattiva.

Cosa non va

  • Perché non possiamo vedere subito gli otto episodi finali?