I 45 anni di Arancia Meccanica: sesso, Drughi e Singin'in the Rain

Il 13 gennaio del 1972 la Gran Bretagna ospitava per la prima volta le sadiche scorribande di Alex e dei suoi infidi Drughi. A quasi mezzo secolo di distanza, proviamo a rievocare gli ingredienti malsani che rendono il film di Stanley Kubrick un capolavoro spietato, feroce e dannatamente attuale.

Malcolm McDowell in una scena di ARANCIA MECCANICA, diretto da Stanley Kubrick
Malcolm McDowell in una scena di ARANCIA MECCANICA, diretto da Stanley Kubrick

Cosa c'è sotto quella spessa e porosa buccia? All'apparenza ci sembra qualcosa di buono, un frutto colorato di un vivo arancione, tondo, profumato. Avvicinandoti, però, ti accorgi che il suono smentisce sia la vista che l'olfatto. Avverti un ticchettio, un suono innaturale per una semplice arancia, un agrume che nasconde un cuore freddo, un congegno esplosivo impossibile da disinnescare. Arancia meccanica sembra dirci tutto sin dal suo meraviglioso titolo, uno strano ossimoro, una coppia stridente dove il naturale incontra l'artificiale, dove le sembianze vengono tradite dall'essenza.

Così il nono film di Stanley Kubrick rivela subito la sua natura ingannevole, la sua vocazione ironica, sfacciata, satirica, piena di contraddizioni, la sua voglia di denunciare un male umano e sociale, privato e pubblico assieme, cadendo in apparente e forse inevitabile contraddizione. Quel germe è la violenza, il modo più facile e istintivo per imporci nel modo e affermare agli altri che esistiamo anche noi, una pulsione irresistibile dell'essere umano che trasforma un frutto in una mina vagante. E se è vero che violenza genera violenza, Kubrick non si sottrae all'abitudine e rischia. Fa del cinema un circo perverso e malato, abitato da folli bestie e da spietati ammaestratori. Adattando l'omonimo romanzo distopico di Anthony Burgess, il grande e provocatorio cineasta allestisce un mondo spoglio, dove le strade sono deserte e gli appartamenti troppo grandi per chi ci vive. Dentro c'è solo l'eco di pugni, calci, grida, stupri e folli canzoni. Un mondo spogliato di freni inibitori dove nessuno viene risparmiato da un onda lattiginosa di ultraviolenza cadenzata da bei sorsi ai bicchieroni di latte più.

James Marcus, Michael Tarn, Malcolm McDowell e Warren Clarke e  in una scena di ARANCIA MECCANICA
James Marcus, Michael Tarn, Malcolm McDowell e Warren Clarke e in una scena di ARANCIA MECCANICA

È di questo che si nutrono Alex e i suoi "fidati" amici, figli bastardi e blasfemi, che si nutrono ancora dai seni di donne "manichino", dentro l'assurdo Korova Milk Bar. Arancia meccanica parte con le malsane gesta dei Drughi, sembra un affresco generazionale, corale, ma è dedicato solo a lui: ad Alex. Ad Alex e ai suoi occhi. Lo capiamo sin dalla prima sequenza, anche lei stridente e in qualche modo menzognera.

Una scena di ARANCIA MECCANICA
Una scena di ARANCIA MECCANICA

Il primo piamo memorabile sullo sguardo sfidante e sadico di Malcolm McDowell si allontana poco alla volta, l'inquadratura sembra abbandonarlo, lasciando spazio ad un bizzarro quadro di gruppo (il primo di tanti), quando in realtà c'è una voce che fa altro. È la voce di Alex che ci parla, ci racconta, si confida. L'immagine lo saluta mentre il suono ci ammalia con il suo racconto. E Arancia meccanica è tutto così: una lotta eterna tra quello che si vede e quello che si sente. Oggi, a 45 anni dalla sua uscita britannica, proviamo a risentirne il sapore, attraverso 5 sorsi d'amarezza. Perché anche a quasi mezzo secolo di distanza, c'è un sapore acidulo che non se va. Come latte andato a male che il grande cinema ci chiede di sorseggiare ancora e ancora.

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1. Il male travestito

Paul Farrell, Warren Clarke, Malcolm McDowell, James Marcus e Michael Tarn in una scena del film ARANCIA MECCANICA
Paul Farrell, Warren Clarke, Malcolm McDowell, James Marcus e Michael Tarn in una scena del film ARANCIA MECCANICA

Pochi minuti per farci capire che nessuno verrà risparmiato. Il disperato barbone seduto sotto un ponte o una ricca coppia borghese nel loro bellissimo appartamento? Tutto e tutti: il senzatetto allo scoperto e l'abbiente nella sua dimora, il povero e il ricco. No c'è scampo: il Male busserà alle loro porte. Un Male quanto mai beffardo e mellifluo, perché travestito da altro, mascherato di continuo dietro sembianze accettabili. Come suggerito dal suo titolo, Arancia meccanica cela il pericolo dietro oggetti, parole e suoni morbidi, dai quali non nessuno si aspetterebbe qualcosa di terribile. A partire dall'aspetto sulla carta "angelico" di Alex, con i suoi azzurri e i capelli biondi a segnare i connotati di un essere diabolico, passando per qualcosa di innocente, puro, candido e legato alla dolcezza dell'infanzia come il latte, che qui diventa un droga da bere per scatenare l'amata ultraviolenza. Senza dimenticare il raffinato apparato linguistico che Kubrick riprende proprio dal romanzo di Burges. In Arancia meccanica le parole sono come ciliegine date in pasto al pubblico, sono dolci, raffinate, gradevoli da ascoltare. Lo stupro diventa un simpatico "su e giù", la violenza è soltanto "un po' di vita e qualche sana risata", mentre calci, pugni e penetrazioni vengono descritte con termini insoliti, curiosi, persino simpatici. Kubrick copre e scopre la violenza con maestria. E tutto quello che ci sembra edulcorato, un attimo dopo diventa spietato e insopportabile.

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2. Scenografie e design: cadere in fallo

Malcolm McDowell in una celebre sequenza di ARANCIA MECCANICA
Malcolm McDowell in una celebre sequenza di ARANCIA MECCANICA

In questa veemente esplorazione della violenza, c'è un tema che sembra essere eletto ad "ago della bilancia": il sesso. Un atto naturale, un bisogno fisiologico che qui diventa una tentazione perenne, pura ossessione, declinata spesso nella sua aberrante degenerazione: lo stupro. La natura tende alla violenza? L'essere umano è destinato alla sopraffazione e alla sottomissione altrui? La tesi spietata sembra asserire. Per raccontare questa mania collettiva, Kubrick si serve di una scenografia fallocentrica, dove design, ambientazioni e costumi rievocano di continuo il dominio del maschile sul femminile. Nel solito bar di fiducia i tavolini hanno le forme sinuose di donne nude, e lo stesso vale per i distributori del latte più. Nella camera di Alex ci sono serpenti attratti dal pube di una donna raffigurata su un quadro, nella villa di una vittima preziosi esemplari di pop art a forma di pene vengono usati come armi, e due belle ragazze leccano gelati equivocabili per poi scatenare il desiderio irrefrenabile di Alex. E poi il costume dei Drughi, "a metà strada tra quello di un poliziotto e di un supereroe" secondo la costumista Milena Canonero, che tra nasi pronunciati e manganelli sottolineano questa meschina e protuberante mascolinità.

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3. Una disperata complicità

Malcolm McDowell in una scena di ARANCIA MECCANICA
Malcolm McDowell in una scena di ARANCIA MECCANICA

Odiare Alex, e poi compatire Alex. Puntare il dito contro Alex, e poi tendergli la mano. Arancia meccanica gioca con il giudizio dello spettatore nei confronti del suo instabile protagonista, un ragazzo della borghesia inglese che sfoga la sua noia in un'insensata aggressività, assieme a compari di scorribande che amici veri non saranno mai e poi mai. Alex si sente un leader, ma è un capobranco poco riconosciuto, pronto ad essere spodestato, costretto ad usare la violenza con i violenti per tenere in mano il suo vanaglorioso scettro. Il nostro è un'anima in pena condannata alla solitudine, per strada come in casa, dove genitori distratti e stralunati hanno ormai perso di vista il malessere del figlio. Se nella prima parte del film Kubrick lo descrive come un cacciatore famelico, nella seconda ribalta tutto, e ci presenta una preda, una vittima usata come "cavia" da esperimenti governativi. Così Alex cerca un ultimo, disperato appiglio. Quell'ancora di salvezza siamo noi, ovvero i destinatari della sua confessione. La voce narrante di McDowell dà quasi per scontata una complicità con il pubblico, si autodefinisce "nostro affezionatissimo", ci chiama "compagni", crea l'illusione di un legame. Qui Kubrick sfrutta un grande classico del cinema (la voce fuori campo) per metterci in crisi, si ferma a metà strada e ci lascia soli davanti ad un bivio. Da una parta la facile condanna, dall'altra un'insperata empatia. È possibile perdonare? È ammissibile giustificare questo ragazzo? Alla nostra repulsione o alla nostra comprensione l'ardua sentenza.

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Malcolm McDowell in una sequenza di ARANCIA MECCANICA
Malcolm McDowell in una sequenza di ARANCIA MECCANICA

4. Il dilemma morale

Malcolm McDowell in una leggendaria scena di ARANCIA MECCANICA
Malcolm McDowell in una leggendaria scena di ARANCIA MECCANICA

Qui arriviamo al nodo centrale del cult kubrickiano, davanti ad un bivio ancora più estremo di quello appena descritto. Sappiamo bene che quella di Alex è una parabola instabile, fatta di picchi di euforia e di una graduale discesa nella disperazione che lo porta ad accettare la Cura Ludovico, una serie di trattamenti sperimentali finalizzati a reprimere istinti violenti. Ha così inizio una lunga e impietosa terapia che, invece di estirpare, soffoca. Il male non viene sconfitto ma bastonato a sua volta, la violenza viene violentata, messa a tacere in maniera artificiale. Il paradosso del metodo governativo per il reinserimento di criminali nella società è tutto qui, profondo e quasi inestricabile: per ritrovare l'umanità si deve passare dal disumano. Dunque è meglio un male autentico o un bene condizionato? È più umano un vero violento o un essere privati del libero arbitrio? Sulla soglia tra sociale e privato, Arancia Meccanica esplora le viscere dell'animo umano, come una vivisezione che per esplorare a fondo non può evitare di tagliare, far sanguinare, provocare dolore.

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5. Violentare il cinema

Warren Clarke, Adrienne Corri e Malcolm McDowell in una scena di ARANCIA MECCANICA
Warren Clarke, Adrienne Corri e Malcolm McDowell in una scena di ARANCIA MECCANICA

Una scena per spiegare un intero cult. Emblematica non a caso. Diventata cult per un motivo fondamentale. Ci riferiamo a quelle pinze sugli occhi di Alex, agli elettrodi attorno al suo cranio, alle gocce di collirio che invitano il ragazzo a guardare ancora, a cibarsi come un bulimico di immagini disturbanti, a nutrirsi di quella stessa brutalità che lui aveva alimentato. Davanti al suo sguardo costretto scorrono stupri, violenze, parate naziste, mentre in sottofondo la musica stride con ciò che si vede. Il suono soave della nona Sinfonia di Beethoven stona con quegli orrendi filmati in maniera insopportabile, così Alex non ne può più e ha un forte rigetto. È questo il momento in cui Kubrick ci pone nella stessa prospettiva di Alex, perché il regista sta giocando allo stesso, sadico gioco con lo spettatore; ha fatto del cinema qualcosa di disarmonico, con immagini e suoni impegnati a fare a pugni. Pochi film hanno creato una distanza così abissale tra sonoro e visivo, in pochi hanno avuto la stessa sfrontatezza di Arancia meccanica nel violentare l'armonia del cinema per raccontare la violenza. Per Kubrick è una questione metacinematografica, e la conferma arriva dalla canzone scelta per mostrare il primo stupro dei Drughi: Singin'in the Rain. Dei morbidi passi di Gene Kelly nessuna traccia. Solo calci, offese e manganellate. Quelle sacre sonorità del cinema più armonico che ci sia (ovvero il musical) vengono distorte con sadica blasfemia, echeggiando nel bagno di una vittima traumatizzata (lo scrittore Frank Alexander) per rimanere impresse per sempre negli occhi e nelle orecchie di tutti. Non conosceremo mai il sapore di un'arancia meccanica, ma guardarla è, e sarà sempre, quanto di più amaro si possa fare davanti ad uno schermo.