Quaranta produzioni totali, quindici anni di attività, più di 28 miliardi di dollari incassati in tutto il mondo. Sono questi gli attuali numeri del Marvel Cinematic Universe, ad oggi il franchise più grande e redditizio dell'intera storia del cinema, un vero unicum creativo che resta ancora inimitabile. Il tempo passa però per tutti ed è vero quanto si sostiene ironicamente ne Lo straordinario mondo di Gumball: "Pensate davvero di poter chiudere delle persone in una stanza e pressarle perché tirino sempre fuori oro? Alla fine le storie cominceranno a ripetersi". Il riferimento nemmeno tanto velato e alle cosiddette writers room hollywoodiane e al ristagno dei film studio, e al netto di un incontrastabile successo commerciale e affettivo, sembra proprio che i Marvel Studios siano entrati con Ant-Man and the Wasp: Quantumania di Peyton Reed (qui potete leggere la nostra recensione) e la nuova Fase 5 del MCU nella loro fisiologica fase di stanca.
Dicotomie e sperimentazioni
Il quesito è presto detto: si tratta davvero della prima e reale crisi qualitativa del franchise o è soltanto una percezione critica? La domanda sorge spontanea guardando ai risultati del terzo capitolo di Ant-Man in termini d'accoglienza, perché il divario tra pubblico e stampa di settore sembra ormai allargarsi sempre di più, aprendo a un ragionamento che dal merito deve anche riflettere sulle reali richieste o esigenze di mercato. Partendo da un'analisi più universale del MCU post-Endgame e anche post-pandemico, gli ultimi tre anni sono stati altalenanti. Considerando un budget medio a film lievitato a circa 200 milioni - contro i 160 della Fase 3 (Avengers esclusi) -, la Fase 4 ha goduto solo di due enormi successi di critica, pubblico ed economici con Spider-Man: No Way Home (1 miliardo e 921 milioni) e Doctor Strange nel Multiverso della Follia (955 milioni), mentre tutti e sei i ristanti cinecomic hanno deluso almeno in una delle tre categorie.
Eternals è il flop più clamoroso finora registrato dagli Studios in ognuna di queste, mentre Shang-Chi (che è forse il prodotto che meglio ha sfruttato un genere nella sua complessità) è riuscito per un soffio a rientrare nei costi e generare profitti minimi nonostante un ampio apprezzamento dell'audience e della stampa specializzata; per tacere poi di Black Widow, che è persino costato una causa tra Scarlett Johansson e Marvel conclusasi infine con un accordo privato. Impossibile conoscere inoltre i reali risultati delle serie Disney+, ma per quanto riguarda accoglienza e condivisione queste hanno dimostrato una maggiore partecipazione più o meno fino a Moon Knight con Oscar Isaac, registrando poi un sensibile calo d'interesse fino a She-Hulk, detestata dalla maggior parte dei fan (33% di score) e comunque recensita peggio (un 80%) di tutte le altre.
È vero: aggregatori e simili lasciano il tempo che trovano, ma in qualche modo danno una panoramica esauriente della forbice tra critica e pubblico, mettendo in risalto tale dicotomia espressiva tra riflessioni e contraddizioni di sorta. Con 5 show nel 2021 e 4 lo scorso anno, la Marvel ha sicuramente messo la quantità sopra la qualità in ambito streaming, sviluppando progetti anche di pochissimi episodi e di infima durata - spesso addirittura monchi - per sfruttare però a cadenza regolare le potenzialità distributive e commerciali della piattaforma. Per lo stesso discorso, in ambito cinematografico hanno aperto a una Fase più sperimentale e inclusiva, votata all'introduzione di nuove leve "vendicatrici" e del Multiverso, interamente transitoria e per certi versi libertina, sicuramente priva della coesione stilistica e creativa delle fasi precedenti.
Marvel Cinematic Universe, bilancio della Fase 4: quanto è super essere umani?
Dov'è la ragione?
Tutto questo ha portato a delle rivalutazioni in itinere del MCU da parte dei piani alti degli Studios, che stanno ora tentando di aggiustare il tiro del franchise ma le cui debolezze strutturali cominciano intanto a trasparire di più. E Quantumania è purtroppo o per fortuna un grande riflesso del momento. Mentre Feige e soci ricalibrano nuovamente uscite e cadenze dell'intero MCU, che nel 2023 vedrà due serie tv - Secret Invasion e Loki 2 - e tre lungometraggi (di cui uno posticipato di mesi per cominciare a lavorare meglio e con meno crunching alle post-produzioni), il terzo film su Ant-Man è a dir poco divisivo e simbolo della stanchezza creativa del giocattolone cinematografico. Il paradosso è che molto più di Spider-Man o addirittura di Thor: Love and Thunder, Quantumania rispecchia pedissequamente e in purezza i canoni della Formula Marvel, il che significa che non è né più né meno di un titolo mediamente riuscito come tanti altri del MCU.
Concretamente, il problema è sia nel merito che nel concetto. Da una parte abbiamo un cinecomic che sembra un gigantesco mcguffin ideato per introdurre sul grande schermo Kang il Conquistatore di Jonathan Majors, privo di reali ispirazioni (si rifà a Star Wars, a Viaggio allucinante, Tron: Legacy e Strange World), a tratti grottesco (la trasposizione di M.O.D.O.K.) e spogliato dell'anima più sincera e spensierata che aveva reso Ant-Man quel piccolo grande eroe valido e diverso. Dall'altra è proprio questa idea di cominciare la Quinta Fase del MCU con questo escamotage a non sorprendere né entusiasmare chi giorno dopo giorno, da ormai quindici anni, per lavoro e necessità, deve seguire questo Universo.
Il Kang di Jonathan Majors in Quantumania: quando un grande nemico è stretto in un piccolo film
La magia si sta affievolendo e l'impegno sta aumentando, mentre per i fan e il grande pubblico generalista si tratta in effetti dell'ennesimo appuntamento per conoscere il passo successivo del franchise, che però non fa un passo aggiuntivo verso qualcosa di diverso e continua a riproporre le stesse situazioni cambiando giusto qualche addendo. La verità è che i Marvel Studios rispettano la richiesta di mercato e puntano sia ai milioni di spettatori fidelizzati in tutto il mondo che ai più giovani, ma anche che il MCU riflette ormai al cinema l'anima più procedurale dei fumetti, serializzando con maggiore decisione il franchise. Ne viene fuori un quadro frammentato dove un film, oggi più di ieri, è solo un tassello del puzzle generale, motivo che sta però conducendo a una degenerazione qualitativa del prodotto, che si ripete senza più rinnovarsi, senza più grinta né impegno al dettaglio.
Il mercato vuole questo? In parte è così, specie dopo la crisi pandemica che ha messo in ginocchio il settore cinematografico. Si può comunque rispettare la domanda provando a rimettere la qualità sopra la quantità? Certamente sì. Perché in definitiva il problema non è Quantumania ma ciò che Quantumania rappresenta: un'idea di cinema mainstream accomodante e di buon intrattenimento che però non brilla in nulla, si tratti di scrittura, regia o azione. E arrivati a questo punto c'è bisogno di rimettere al centro dell'idea filmica storie, talento e originalità. Almeno nella Casa delle Meraviglie. Altrimenti la forbice finirà per rompersi del tutto.