Abbiamo già avuto modo di analizzare più volte il corso, assai poco convincente, intrapreso negli ultimi anni dalla serie antologica della FX, con un progressivo abbandono della componente horror a favore della commedia nera e di toni camp e sopra le righe. Per chi si augurava un'inversione di tendenza per questa decima stagione, è necessario livellare le proprie speranze: come vedremo nella nostra recensione di American Horror Story: Death Valley, si fatica infatti ad apprezzare il tentativo di recuperare la suspense e di rafforzare gli elementi prettamente orrorifici. Questo perché Death Valley, segmento costituito da appena quattro episodi, non mantiene affatto le discrete premesse della puntata iniziale, Take Me to Your Leader, rivelandosi al contrario uno dei capitoli più fiacchi e svogliati negli annali di una serie ormai lontana anni luce dai propri "giorni di gloria".
Tra fantascienza e fantapolitica
Seconda parte di American Horror Story: Double Feature, stagione concepita come un dittico di racconti indipendenti e aperta dai sei episodi di Red Tide (satira sullo show business declinata in chiave di vampirismo), Death Valley è firmata da Brad Falchuk, creatore della serie in coppia con Ryan Murphy, insieme ai co-sceneggiatori Manny Coto, Kristen Reidel e Reilly Smith, partendo da uno spunto potenzialmente interessante: rendere omaggio alla fantascienza classica (cinematografica e televisiva) degli anni Cinquanta e Sessanta. Quello specifico immaginario sci-fi viene rievocato infatti nell'ambientazione (la vicenda si apre nell'America del 1954), nell'uso del bianco e nero per la metà di ogni episodio e nella visione degli alieni come una civiltà ostile che giunge sul nostro pianeta con l'obiettivo di sottometterlo, assumendo nel frattempo sembianze umane.
Si tratta di un approccio abbastanza canonico, perfino naïf nella sua visione manichea degli extraterrestri come invasori spietati, ma che nelle prime battute sembra offrire qualche genuino momento di suspense, a partire dall'espediente alla Scanners delle teste che esplodono. Intrigante pure la componente di ucronia fantapolitica, con Neal McDonough e l'immancabile Sarah Paulson nei ruoli del Presidente Dwight D. Eisenhower e di sua moglie Mamie, impegnati ciascuno a suo modo a gestire i rapporti con questa pericolosa razza aliena che può consentire agli Stati Uniti di surclassare l'Unione Sovietica nella Guerra Fredda. Peccato che poi l'episodio ci trasporti nella contemporaneità, e da lì in poi l'intera struttura di American Horror Story: Death Valley cominci inesorabilmente a scricchiolare: dalla scrittura sciatta a un manipolo di comprimari (due giovani amiche e una coppia di ragazzi gay) a cui la serie non riesce a fornire alcun tipo di spessore.
American Horror Story: Red Tide, la recensione: i piccoli brividi di Ryan Murphy
Un'altra stagione deludente
Quel che è peggio è che, già a partire dalla seconda puntata, pure il meccanismo della rivisitazione della storia americana dà segno di incepparsi: dalla morte di Marilyn Monroe all'omicidio di John F. Kennedy, dal 'falso' allunaggio diretto da Stanley Kubrick agli atroci misteri dell'Area 51, l'ucronia messa in piedi da Brad Falchuk e soci si limita a rispolverare i cliché del più trito complottismo, senza mai risultare davvero inquietante o incisiva. Del resto, il mugugnante Richard Nixon di Craig Sheffer è una macchietta che potrebbe essere uscita direttamente dal Saturday Night Live, mentre la dimensione fantapolitica, al di là degli scontati riferimenti al Vietnam o al Watergate, non sviluppa un'autentica riflessione sull'America del ventesimo secolo (forse non ci prova neppure). E una volta arrivati al finale, quando la linea storica si ricongiunge a quella contemporanea, l'intera faccenda si risolve nella consueta mattanza, ma senza più nulla in grado di sorprendere o turbare lo spettatore.
American Horror Story: 1984, la recensione: la peggior stagione di sempre?
Conclusioni
Al di là di un flebile intrattenimento (consigliabile tutt’al più ai fan sfegatati del genere), questa mini-stagione in quattro puntate si consuma senza colpo ferire, dimostrandosi un prodotto confezionato in maniera ancora più frettolosa e superficiale del solito. Ma se la nostra recensione di American Horror Story: Death Valley somiglia a una stroncatura senza appello, è anche a causa del confronto impietoso con le origini della serie di Murphy e Falchuk: una (ex) formula vincente che da diversi anni, purtroppo, si è ridotta ad essere l’ombra di se stessa.
Perché ci piace
- Un esordio tutto sommato suggestivo, in grado di regalare spunti interessanti e qualche momento di tensione.
Cosa non va
- La scontatissima deriva presa dal racconto subito dopo, con l’intero apparato fantapolitico sviluppato con una banalità disarmante.
- La pessima sezione ambientata nel presente e animata da un quartetto di personaggi del tutto privi di carisma.
- Una scrittura superficiale che finisce per appiattire ogni elemento della trama, senza costruire alcuna svolta degna d’attenzione.