American Horror Story: Red Tide, la recensione: i piccoli brividi di Ryan Murphy

American Horror Story: Red Tide, la recensione della prima metà della stagione 10, Double Feature: sei episodi poco incisivi, tra patti faustiani e satira dello show business.

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American Horror Story: Red Tide: un'immagine di Ryan Kiera Armstrong

Nell'aprire la nostra recensione di American Horror Story: Red Tide, è bene affrontare da subito quello che, con il tempo, è diventato un presupposto fondamentale della serie antologica creata esattamente dieci anni fa da Ryan Murphy e Brad Falchuck: una contaminazione fra l'horror e la commedia nera che, da una stagione all'altra, sembra pendere sempre di più sul secondo versante. Perché se è vero che American Horror Story ha inglobato fin dalle origini una certa componente camp, non va dimenticato che nelle due stagioni inaugurali, l'ottima Murder House e l'eccellente Asylum, a prevalere però era decisamente l'aspetto horror. Man mano, tuttavia, la dimensione satirica o grottesca si è fatta preponderante, al punto da trasformare la stagione numero 8 (Apocalypse) in una farsa sgangherata in cui restavano ben poche tracce di brividi.

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American Horror Story: Red Tide: Ryan Kiera Armstrong e Lily Rabe

Con Double Feature, titolo del decimo capitolo della serie targata FX, Murphy e Falchuck sperimentano un formato diverso dal solito: due mini-stagioni di sei episodi ciascuna e indipendenti l'una dall'altra. Red Tide è dunque il sottotitolo del primo segmento di questo nuovo American Horror Story, e a giudicare dalla première, Cape Fear, il tentativo pareva quello di bilanciare la narrazione in favore dell'horror. Quando però i due personaggi più pittoreschi del lotto esordiscono in un karaoke sulle note di Islands in the Stream, rievocando il duetto fra Kenny Rogers e Dolly Parton, lo spettatore più smaliziato avrà già intuito la direzione che prenderà il racconto da lì a breve: quella di una black comedy in cui la suspense è destinata a cedere via via maggior terreno a situazioni sopra le righe e a una satira abbastanza elementare.

Un patto faustiano firmato col sangue

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American Horror Story: Red Tide: un'immagine di Finn Wittrock

La satira in questione, come inevitabilmente accade quando c'è di mezzo Ryan Murphy, riguarda in particolare Hollywood e dintorni: al mondo dello show business, dal cinema alla televisione, si fa riferimento come quella giungla spietata in cui si infrangono i sogni di gloria di innumerevoli artisti (o aspiranti tali) e in cui il talento viene incasellato a mo' di catena di montaggio per farne poi oggetto di consumo per le masse. In questo contesto si colloca il protagonista di Red Tide, Harry Gardner, un novello Joe Gillis che ha il volto di una delle 'scoperte' di American Horror Story, Finn Wittrock: uno spiantato scrittore televisivo di New York in crisi d'ispirazione e alle prese con un pilot da piazzare presso il network di turno. Al suo fianco ci sono la moglie Doris (Lily Rabe), decoratrice d'interni in attesa di un figlio, e la loro primogenita Alma (Ryan Kiera Armstrong), sguardo sospettoso e una grande passione per il violino.

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American Horror Story: Red Tide: Ryan Kiera Armstrong e Finn Wittrock
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American Horror Story: Red Tide: un'immagine della serie

La "marea rossa" del titolo è quella che bagna le spiagge di Provincetown, cittadina costiera del New England dove Doris è stata incaricata di recarsi per un lavoro della durata di qualche settimana, con marito e figlia al seguito. Una marea rossa perché, come s'intuisce fin dai primi minuti, Provincetown è stata teatro di diversi fatti di sangue; non a caso, del resto, la sua atmosfera brumosa è resa decisamente sinistra dalle apparizioni di strani individui dal pallore cadaverico e avvolti in lunghi impermeabili scuri, che si muovono con l'incedere famelico di zombie. La reale natura di tali creature sarà presto nota ad Harry quando l'uomo viene avvicinato - dopo il karaoke di cui sopra - dal giovane drammaturgo Austin Sommers (Evan Peters) e dall'autrice di romanzi rosa Belle Noir (Frances Conroy). Lo scopo di questa bizzarra coppia di scrittori: proporre al nuovo arrivato il più canonico dei patti faustiani, offrendogli l'occasione di sacrificare la sua umanità sull'altare di un prodigioso talento.

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I volti storici della serie

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American Horror Story: Red Tide: un'immagine di Ryan Kiera Armstrong

L'horror, come spesso accade, si fa quindi metafora di fragilità e lati oscuri dell'essere umano; il punto è che, in Red Tide, tale metafora - la sete di successo trasfigurata in vampirismo - non solo è spiegata a chiare lettere ad ogni puntata, ma viene sviluppata nella maniera più paradigmatica e banale possibile, a partire dall'onomastica (il locale frequentato dagli scrittori-vampiri si chiama Musa, mentre la figlia di Harry e Doris è Alma, "anima"). E se tutto sommato i primi episodi riescono a provocare qualche sussulto, da lì a poco la tensione risulta smorzata dai toni farseschi, dai ripetuti inside joke (il tallone d'Achille di Murphy & co.), dalla scelta di introdurre comprimari eccentrici che è impossibile prendere sul serio: Leslie Grossman, per dire, sarebbe un'interprete deliziosa, se non fosse che la sua Ursula Caan, cinica agente del mondo della TV, appartiene più a una sitcom che non a una storia orrorifica.

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American Horror Story: Red Tide: Frances Conroy ed Evan Peters
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American Horror Story: Red Tide: un'immagine di Sarah Paulson

Evan Peters e Frances Conroy, fedelissimi di American Horror Story fin dalla prima stagione, paiono ormai ingabbiati in un perenne typecasting, a dispetto delle loro capacità, mentre a Finn Wittrock e Lily Rabe spettano i ruoli più 'seri', ma in fondo pure i meno interessanti. Nel cast si contano poi un redivivo Macaulay Culkin, la giovanissima Ryan Kiera Armstrong, dotata della giusta freddezza, e l'immancabile Sarah Paulson, in grado di cavarsela pure in una parte estrema (il nome, Tuberculosis Karen, è già tutto un programma) e ad alto rischio di gigioneria. Il punto debole, semmai, è nella scrittura di Brad Falchuk, che si perde fra ridondanze e inutili riempitivi: un'intera puntata, Blood Buffet, è costituita da flashback che non aggiungono pressoché nulla all'essenza dei personaggi né alla tessitura del racconto, così come la bislacca apocalisse hollywoodiana dell'epilogo.

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Conclusioni

Reduce dai tonfi di Apocalypse e 1984, la decennale serie horror della FX prova a raddoppiare la posta in gioco con due capitoli distinti; ma come rilevato nella recensione di American Horror Story: Red Tide, la prima parte del dittico fatica davvero a convincere, pur senza ripetere il mezzo disastro degli ultimi anni. Se gli intenti satirici e le pennellate farsesche si confermano la nota dolente di Red Tide, rimane la speranza che la seconda parte, Death Valley, non incappi negli stessi difetti.

Movieplayer.it
2.5/5

Perché ci piace

  • Le atmosfere sinistre della costa del New England e qualche occasionale momento di suspense.
  • Il cast, composto quasi esclusivamente da ‘veterani’ della serie, in grado di ricavare il meglio (o quasi) dai rispettivi personaggi.

Cosa non va

  • Una narrazione che non riesce a mantenere adeguati livelli di tensione per sei puntate, finendo per incappare in ridondanze e riempitivi.
  • L’amalgama poco efficace fra suggestioni horror e una vena satirica che rivela però scarsissimo mordente.
  • Quell’esasperata tendenza alla farsa e al camp che è spesso il tallone d’Achille dei prodotti targati Ryan Murphy.