Agostino Ferrente ci parla di Selfie: “Io racconto ragazzi che nonostante tutto ce la fanno”

Intervista ad Agostino Ferrente, che al Festival di Berlino 2019 ha presentato Selfie, documentario girato attraverso gli occhi due ragazzi.

A 5 anni da Le Cose Belle, documentario presentato alle Giornate degli Autori di Venezia, Agostino Ferrente con Selfie, in concorso nella sezione Panorama del Festival di Berlino 2019 torna nella Napoli adolescente, questa volta esplorando un altro quartiere difficile, il Rione Traiano. Lo fa scegliendo un modo insolito e diretto per entrare in quel mondo: un cellulare nelle mani dei due protagonisti, i sedicenni Pietro e Alessandro. I due hanno la stessa età che avrebbe avuto Davide Bifolco se fosse ancora vivo. Il ragazzo è stato ucciso nel 2014 poiché scambiato da un poliziotto per un latitante in fuga. L'omicidio di Bifolco diventa il modo più veloce per avvicinare questi ragazzi e indurli a parlare della loro realtà.

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Guardarsi in un cellulare, guardarsi allo specchio

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Selfie: una sequenza del film

Con un iPhone in modalità selfie, Alessandro e Pietro diventano attori della loro storia di vita ed allo stesso tempo operatori sotto la guida attenta di Agostino Ferrente. Il regista rivela il perché di questo diverso approccio: "Partivo da un valore aggiunto: sapevo che quei ragazzi potevano usare il cellulare meglio di me. Me lo sbloccavano quando mi si sbloccava". Nonostante la partecipazione attiva dei due giovani attori per caso, la regia rimane nelle mani di Ferrente che precisa: "Non c'è una delega di regia, non ho detto: voi girate e io monto. Io credo che il film sia del regista. Li indirizzavo, quando gli tremava la mano gliela tenevo o gli dicevo di dare il cellulare ad altri per farsi riprendere. Credo che il mezzo abbia abolito la distanza". A chi critica la scelta del selfie, come titolo e come modalità, Agostino Ferrente non si stanca di ripetere: "anche i produttori mi dicevano di non chiamare questo film "selfie", ma io dico: il selfie è uno specchio. Invece di raccontare ciò che i loro occhi vedono, i palazzoni e così via, ho voluto raccontare i loro occhi. Non guardo la luna ma il dito."

Alessandro e Pietro

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Selfie: una scena del film

L'incontro tra Ferrente e i suoi protagonisti, Alessandro Antonelli e Pietro Orlando è stato di quelli casuali e fortunati: "avevo pensato di andare in una scuola di cinema e prendere i protagonisti là dentro, ma i ragazzi erano tutti nerd, non mi suscitavano innamoramento" racconta il regista. I due ragazzi si sono "imposti" nell'immaginario di Ferrente a partire da Alessandro: "Parlavo con il padre di Davide, il ragazzo ucciso, in un bar... e in quel bar è venuto Alessandro a portarmi il caffè. Mi sono subito innamorato di lui. Poi sono tornato al bar e si è presentato un altro ragazzo, aveva i baffi e diceva di avere 16 anni e di essere il migliore amico di Alessandro. Mi ha detto che non potevo separarli, che dovevo prendere pure lui. Praticamente si è imposto!".

La Napoli dei quartieri difficili

Quando si ritrae una realtà apparentemente senza futuro come quella in cui i protagonisti sono nati e cresciuti, una domanda è sempre inevitabile: c'è speranza di salvezza per questi ragazzi? Agostino Ferrente risponde: "Dipende da come guardi il bicchiere, se mezzo pieno o mezzo vuoto. Quel quartiere è come tutte le periferie delle grandi città. Quando portavo in giro per il mondo il mio film Le cose belle, c'era sempre qualcuno che rimarcava che Napoli non è solo questo. E io dicevo lo so, ma la Napoli di cui siamo orgogliosi ci pensa trip advisor a mostrarcela".

Il barista e il barbiere

Il regista Agostino Ferrente in una foto promozionale
Il regista Agostino Ferrente in una foto promozionale

Nell'opporsi al perpetuare quel meccanismo spettacolarizzante alla Gomorra - La Serie che porta i ragazzi di questi quartieri a nascere già con una percezione e fascinazione per quei mondi, Ferrente indirettamente si rivolge anche ai suoi colleghi: "Con tutto l'affetto per i colleghi, mi pare che quando vengono al sud hanno come un effetto safari. senza fare vittimismi, vengo da paesi dove i miei compagni di scuola oggi hanno il 41 bis. Mi riconosco in loro, in questi ragazzi. Io sono scappato da quella realtà". Sul possibile futuro dei suoi protagonisti nel mondo dello spettacolo il regista aggiunge: "C'è un po' questa abitudine, questo vizio per cui lo scrittore o il regista va in posti disagiati, trova dei ragazzi e li fa diventare... attori, registi, cose così. Ma non c'è niente di male nel voler fare il parrucchiere o il barista. Non è che o diventi attore o camorrista, magari diventi barbiere...

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Il ragazzo che si salva è un miracolo

Con Selfie, Agostino Ferrente non vuole per forza lanciare un messaggio politico o sociale ma pur limitandosi a raccontare una realtà nella sua più intima verità, inevitabilmente mostra i limiti delle istituzioni e la loro incapacità di risolvere i problemi alla radice: "So che sfioro il retorico e il populista, ma se l'istituzione è presente solo con le camionette e non con le biblioteche, se ci sono solo sale da biliardo e motorini che vi aspettate? E' come chiudere il recinto quando i buoi sono scappati" commenta Ferrente e conclude: "Se i ragazzi lasciano la scuola a 14 anni poi è facile che te li ritrovi in cronaca, sono predestinati. In quelle situazioni, il ragazzo che si salva è un miracolo. Io racconto ragazzi che nonostante tutto ce la fanno".