Un inno alla vita, una struggente e disincantata celebrazione dell'amore madre-figlia che commuoverà chiunque. Preparate i fazzoletti, perché come leggerete nella recensione di 18 regali, il nuovo film di Francesco Amato, siamo dalle parti del sick movie, un genere con un'identità ben precisa e delle regole proprie che ricorrono anche in questo caso: la malattia, la rinascita, il destino avverso, la morte, il ribelle di turno che va incontro a un cammino di redenzione.
Al centro le emozioni, libere di scorrere sottopelle e esplodere inevitabilmente nel pianto finale; impossibile non pensare infatti alla storia vera che ha ispirato il film: quella di Elisa Girotto, che appena quarantenne nel 2001, incinta della sua primogenita, scoprì di avere un cancro. Morirà poco dopo la sua nascita, ma non prima di aver deciso di lasciare alla figlia appena nata diciotto regali, uno per ogni compleanno fino alla maggiore età.
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La trama: tra reale e magico
Da My life a Le pagine della nostra vita, la narrazione della malattia come occasione di rinascita ha regalato al cinema titoli diventati capisaldi del genere: 18 regali si inscrive nel solco di quella tradizione e ne mutua tematiche e meccanismi, a partire dal racconto di una vicenda reale. In collaborazione con Alessio Vicenzotto, marito di Elisa, che è stato coinvolto nel processo di scrittura, Francesco Amato firma una storia potentissima, evita la retorica della lacrima facile e si fa artefice di una regia sincera e autentica. La trama insiste sugli ingredienti tipici del genere, la storia è nota: Elisa (Vittoria Puccini) è morta prima di poter vedere crescere sua figlia ed è per questo che ha voluto lasciarle diciotto regali per i futuri compleanni, dalle bambole ai libri, dai giochi ai viaggi che avrebbe voluto fare con lei. Da quel momento ogni anno Alessio (Edoardo Leo) consegnerà alla figlia Anna (Benedetta Porcaroli) un regalo rispettando le volontà di Elisa.
Ma il giorno del diciottesimo compleanno, Anna guidata da un desiderio di ribellione e oppressa da un vuoto incolmabile, si rifiuta di scartare l'ultimo regalo e scappa via dalla festa organizzata dal padre. Ubriaca mentre vaga in mezzo alla strada viene investita da una macchina e al suo risveglio si ritrova faccia a faccia con la madre che non ha mai conosciuto. Un salto indietro nel tempo che permetterà alle due donne di incontrarsi.
Così il magico irrompe nel reale e gli autori rimodulano la storia di Elisa con un'intuizione che permette alla sceneggiatura di spingersi oltre la semplice istanza cronachistica o la narrazione melensa dell'elaborazione del lutto.
Madre e figlia si ritroveranno e si scopriranno in un territorio che non è la realtà e neppure il sogno: è semplicemente una "dimensione altra", è lo spazio del racconto surreale e dell'amore altrimenti impossibile, l'unico "tempo" in cui ad Anna è permesso incontrare Elisa, proprio qualche giorno prima della morte e senza che questa sospetti della sua vera identità.
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Il rapporto madre-figlia e le emozioni dei personaggi
La rottura della linearità temporale sospende l'incredulità e catapulta lo spettatore nel mezzo di un rapporto d'amicizia, che ben presto si rivelerà per quello che è: la relazione conflittuale tra una madre e una figlia adolescente, che spesso fa spazio a uno sguardo giocoso e scanzonato, senza tralasciare la struggente tenerezza di fondo dettata dall'inesorabile compiersi del destino.
Tra inciampi, iniziali diffidenze e qualche disavventura dal sapore smaliziato, Elisa e Anna impareranno a conoscersi, a cedere l'una all'altra un pezzo di sé e a sorprendersi.
Con loro lo spettatore vivrà il flusso delle emozioni e la sincerità di personaggi credibili, merito di un cast di interpreti capace di abbandonarsi alla verità dei sentimenti senza mai sottrarsi: Vittoria Puccini nei panni di una madre coraggiosa, determinata, pragmatica e innamorata della vita, e Benedetta Porcaroli perfetta nel ruolo di una adolescente ribelle e inquieta. Entrambe gestiscono al meglio lacrime e commozione, in un film profondamente emotivo ed emozionale, che certo non ne risparmierà allo spettatore. Schivato il pericolo melassa, non sempre però il racconto riesce a evitare certi abusi come alcune metafore fin troppo sottolineate o la musica a volte strabordante.
Conclusioni
Alla fine della recensione di 18 regali rimane il piacere di una storia che fa delle emozioni e della sincerità il proprio punto di forza. Il merito è di una regia misurata e una sceneggiatura che non si accontenta del racconto cronachistico, ma si spinge oltre, nel territorio del magico. Il resto lo fanno le interpretazioni, mai sopra le righe, calibrate su una scrittura solida, semplice e autentica.
Perché ci piace
- Una storia di emozioni capace di commuovere senza necessariamente dover cedere alla retorica e al sentimentalismo ricattatorio.
- L'irruzione della dimensione magica, un luogo altro dove tutto diventa possibile.
- Un cast in grado di abbandonarsi alla verità dei sentimenti e rendere i personaggi perfettamente credibili.
Cosa non va
- Alcune metafore insistite e una colonna sonora ingombrante rischiano di appesantire la narrazione e stancare lo spettatore.