Recensione Boris il film (2011)

Riuscita la missione ambiziosissima degli autori Giacomo Ciarrapico, Luca Vendruscolo e Mattia Torre di adattare al grande schermo la fortunata 'fuoriserie' Boris, che metteva e continua a mettere in scena una satira pungente sulla politica, sui network privati, sui cinepanettoni, sul precariato dei giovani e sull'Italia dei nostri giorni.

Riso amaro

Il giovane Ratzinger corre sul prato gioioso per la scoperta di un vaccino: no, non è una favola raccontata da un'emittente radiofonica cattolica, ma una scena che il regista René Ferretti dovrà girare suo malgrado al ralenti. Una sequenza che getta il povero Maestro della fiction nella cupa depressione e lo convince che in Italia non c'è nessuna chance per la qualità, perché la Rete e il pubblico non l'apprezzano. Quando però Sergio lo contatta mesi dopo per una nuova impresa, un barlume di speranza lo raggiunge e René torna sulla scena per l'adattamento de "La casta", un bestseller impegnato che promette il successo e la svolta. Ma l'uomo non sa ancora che le star della recitazione, i direttori della fotografia più stimati e gli scenografi snob ingaggiati per la nuova superproduzione potrebbero mandare all'aria il suo piano e si ritrova costretto ad affidarsi al surreale trio di sceneggiatori democratici, più fannulloni che mai, e a richiamare sul set il suo vecchio entourage, un gruppo di cialtroni abituati a "smarmellare tutto", a lavorare "a cazzo di cane", a ubriacarsi e sniffare dietro le quinte. "Eeeh...azione", e un altro delirio trash spunta all'orizzonte!


Una rondine non fa primavera. Ma un piccolo miracolo cinematografico italiano può far auspicare una sospirata rinascita nel mondo dell'intrattenimento mediatico. A fronte di una saturazione stagionale ma non ancora stagionata di cinecolombe e teen movies Boris il film, che sposa il genere della commedia con originalità, ha tutte le carte in regola per convincerci che nel nostro Paese l'arte e la libertà d'espressione non debbano sempre essere stritolate dalla morsa della censura politica. Al contrario, il politically incorrect, tornato in voga al cinema e mutuato dalla televisione, come dimostrano i successi di Checco Zalone, di Antonio Albanese e di Paola Cortellesi, si sta sempre più guadagnando spazio in un cinema che non vuole essere a tutti i costi impegnato né d'autore, ma che vuole far ridere di gusto e far riflettere con intelligenza. Forte della fidelizzazione dei suoi numerosissimi fan ai mitici personaggi della serie, Boris tenta al cinema l'esperimento inverso a quello intrapreso da Stefano Sollima con Romanzo Criminale - La serie dimostrando un punto di svolta importante per l'Italia: il tempo del vampirismo e della concorrenza tra il piccolo e il grande schermo è finito da un pezzo. La vecchia inimicizia tra la TV e il cinema si polverizza nel segno di un incontro, di una sovrapposizione, di una contaminazione che Hollywood ha già abbondantemente esplorato.

La missione ambiziosissima degli autori Giacomo Ciarrapico, Luca Vendruscolo e Mattia Torre, sceneggiatori e registi del film, riesce: la messa in scena di una satira che getta nell'olio bollente i tabù più recenti - dalla politica delle raccomandazioni, dei "pacchetti", degli appalti truccati e della corruzione ai network privati che monopolizzano il mercato, dall'azzeramento dei gusti del grande pubblico, assuefatto ormai ai cinepanettoni volgari e superficiali, al precariato stabile delle giovani leve, schiavizzate come "topini" dai loro superiori - funziona alla perfezione e diverte. L'unico neo è che la durata standard del film non permette agli spettatori che non conoscono la serie di apprezzare la travolgente verve dei suoi personaggi. Capitanati da René, il regista al vetriolo più represso d'Italia, il mitomane Stanis (un Pietro Sermonti imperdibile nella parodia di Fini), l'integerrima Arianna, lo stagista ingenuo Alessandro, l'ubriacona Itala, il cocanoimane Duccio, il coatto Biascica, lo schiavo inappuntabile, la "cagna maledetta" Corinna Negri, il grossolano Martellone, i surreali sceneggiatori democratici, l'ipocondriaco Sergio e il gretto Lopez al cinema rappresentano un prolungamento convincente delle loro psicologie, dei loro tic e delle loro manie al cinema. I loro personaggi non vivono di vita propria e si ha l'impressione che a rubargli la scena siano le new entry, trovate fantasiose che le menti laureate di Boris ci regalano con generosità: la spassosa Marilita Loy, attrice di talento col morbo dell'insicurezza e dichiarata parodia di Margherita Buy, Francesco Campo (un sorprendente Claudio Gioè) che si presta a recitare la parte dell'attore eccellente tra i raccomandati incapaci con un risultato finale impressionante, Glauco, una sorta di clone del primo René, incaricato di realizzare l'ennesimo cinepanettone e alle prese con un anomalo rappresentante della Medusa, una scimmietta circense.
Viene da chiedersi allora se cambiare la vaschetta a Boris (questo il nome del pesciolino rosso che nella prima stagione portò fortuna al bravo Francesco Pannofino) e portarlo sul grande schermo sperando che diventi "dopo Lo squalo, un altro gigante del cinema", come annuncia la locandina, riuscirà a lasciare tutti gli spettatori in sala basiti (o "F4", come vuole la celebre scorciatoia da tastiera degli sceneggiatori poltroni). Un finale sarcastico che sarebbe piaciuto a un Risi e a un Monicelli conferma una una certezza marmorea: l'impaziente attesa dei fan delle tre stagioni non è stata delusa e non si può fare a meno di guardare, giudicare e ridere a Boris il film solo ed esclusivamente con "gli occhi del cuore"!