La donna che non conosceva la paura
E' impossibile narrare la storia della Repubblica Islamica del Pakistan senza affrontare l'ascesa e la caduta della famiglia Bhutto, più volte definita dalla stampa internazionale 'i Kennedy del Pakistan' per le affinità in carisma, successo, potere, bellezza, eleganza con la celebre dinastia americana. I registi Duane Baughman e Johnny O'Hara affrontano il ritratto del membro più rappresentativo della potente famiglia, la volitiva Benazir Bhutto, il cui tragico decesso, avvenuto nel 2007 in seguito a un sanguinoso attentato suicida, rappresenta una delle pagine più drammatiche della storia recente. Il documentario, presentato a Roma alla presenza del figlio della Bhutto, Bilawal Bhutto Zardari, è stato assemblato a poche ore di distanza dalla morte di Benazir Bhutto ed è frutto di un accurato lavoro di montaggio di materiale d'archivio unito a una serie di importanti testimonianze scelte tra gli amici e sostenitori della donna, ma anche tra i suoi più acerrimi detrattori.
Per comprendere a fondo la figura della leader del Partito del Popolo Pakistano, Baughman e O'Hara scelgono di partire affrontando la ricostruzione dell'ascesa al potere dell'influente genitore della leader politica, Zulfikar Ali Bhutto, primo presidente del Pakistan eletto democraticamente che guidò la nazione verso la modernizzazione prima che un colpo di stato militare non lo deponesse dalla carica di Primo Ministro, condannandolo all'impiccagione nel 1979. La figlia primogenita Benazir, cresciuta in una famiglia ricca e progressista ed educata a Harvard e Oxford, fu la prescelta per farsi carico della pesante eredità politica paterna e, con essa, dei nemici e degli odi sorti in seno alla nazione pachistana. A livello stilistico, Bhutto non brilla per originalità né offre una visione personale sulla materia trattata. La qualità del prodotto, ben lontana dall'acume di maestri come Errol Morris, non si eleva dalla media dei documentari storico-politici di matrice televisiva. La rigida alternanza interviste/materiali di repertorio permette pochi guizzi creativi, ma pur mantendo una linearità di fondo amplificata dalla scelta di esporre i fatti in ordine rigorosamente cronologico, il film si distingue per lucidità ed equilibrio. Baughman e O'Hara non hanno timore di accostarsi alla figura di Benazir Bhutto con sostanziale obiettività dipingendone luci e ombre, facendo uso di interviste contenenti opinioni negative sulla celebre leader, compresa quella dell'ex presidente Pervez Musharraf che ha accettato di parlare di fronte alla macchina da presa in cambio di una scatola di sigari cubani e di una bottiglia di champagne. Dal matrimonio combinato con l'ex playboy Asif Ali Zerdari, necessario per acquisire lo status di donna sposata e permettersi così la discesa in politica sedando in parte i pregiudizi della società islamica, alle accuse di corruzione rivolte alla ricca e popolare coppia dall'opposizione conservatrice, fino alle rivalità sorte in seno alla famiglia (le testimonianze della nipote Fatima rappresentano alcuni degli attacchi più feroci mossi a Benazir), i due registi ricostruiscono un quadro a tinte fosche della situazione politica e privata vissuta dalla Bhutto durante e dopo i due mandati a capo del governo pachistano. La popolarità e il carisma della leader del PPP, uniti all'uso delle struggenti testimonianze dei tre figli che ricordano gli ultimi momenti vissuti insieme alla madre in esilio a Dubai prima del suo ritorno in Pakistan, rappresentano un ulteriore tassello del complesso quadro che si va a comporre nel corso della pellicola senza mai sfiorare il rischio di scivolare nell'iconografia sacra, né tantomeno nella beatificazione del soggetto del film. L'immagine della Bhutto che emerge è quella di una donna forte, ambiziosa, idealista, amata e sostenuta dal popolo pachistano, ma minata dalla fragilità del proprio potere politico. Il documentario si limita ad accennare la fitta rete di accadimenti politici al centro della quale la figura della leader pachistana si va a inserire, senza soffermarvisi troppo per mancanza di tempo. L'occupazione sovietica dell'Afghanistan, la corsa del Pakistan al nucleare, i dissidi interni alla nazione, l'ascesa dei talebani, l'influenza degli Stati Uniti alla base del sostegno dei nemici della famiglia Bhutto, molti sono i tasselli che vanno a comporre un intricato puzzle di eventi che necessiterebbero di un ulteriore approfondimento per comprendere a fondo la storia contemporanea dell'Oriente. Bhutto ha il merito di essere un prodotto utile, anche se non esaustivo, per la sua chiarezza e per la capacità di informare chiarendo punti oscuri a molti e restituendo il giusto peso a una dei leader politici più significativi del ventesimo secolo. Nonostante gli aspetti controversi sfiorati dalla pellicola, l'eredità lasciata da Benazir Bhutto nel Pakistan di oggi non si cancella. La leader del Partito del Popolo è stata la prima donna a prendere la guida del paese e ha lottato per il progresso, l'educazione, la sanità e per l'emancipazione femminile. Col suo esempio ha ispirato milioni di giovani donne musulmane, non solo pachistane, ma di tutto il mondo, le ha incoraggiate a lottare per i proprio ideali con coraggio aprendo loro la strada a mestieri di prestigio, allo sport, fornendo loro assistenza sanitaria. Chiunque voglia comprendere più a fondo la situazione politica attuale troverà notevoli motivi di interesse in questo lavoro, la cui visione è senza dubbio consigliata.
Movieplayer.it
3.0/5