Il ragazzo e l'airone non è solo l'ultima opera di Hayao Miyazaki: secondo chi lo conosce da decenni, è il suo film più personale, segnato da perdite, memorie condivise e simbolismi autobiografici. Per coglierne davvero la profondità, serve conoscere molto bene il suo autore, perché molte scene si illuminano solo attraverso le lenti della sua storia privata. Questo è quanto hanno dichiarato i suoi amici più stretti.
Il ragazzo e l'airone: il film scritto da (e per) Miyazaki
Ci sono storie che sembrano nascondere un segreto tra le pieghe della narrazione, e Il ragazzo e l'airone è una di queste. Dietro il surrealismo e la narrazione a tratti frammentata del film, si cela un'opera intessuta di ricordi, rimpianti e rapporti che hanno plasmato non solo un film, ma una vita intera. È Toshio Suzuki, cofondatore di Studio Ghibli e collaboratore storico di Hayao Miyazaki, a rivelare ciò che il pubblico più attento aveva forse già intuito: "Sono d'accordo nel dire che è il film più personale di Miyazaki, perché è stato lui stesso a dirmelo." Un'affermazione che apre una chiave di lettura completamente nuova.

Secondo Suzuki, ogni personaggio cardine del film è l'eco di una presenza reale nella vita del regista: "Miyazaki è Mahito, Takahata è il grande zio, e l'airone grigio... sono io." Una dichiarazione tanto semplice quanto disarmante, che rilegge ogni scena come una pagina di diario. Addirittura, una delle sequenze più tenere - quella in cui Mahito e l'airone discutono seduti fianco a fianco, guardando davanti a sé - è direttamente ispirata alle riunioni che Miyazaki e Suzuki tenevano nello studio: mai uno di fronte all'altro, sempre fianco a fianco, come due uomini che si conoscono troppo bene per aver bisogno dello sguardo. "Ricordo tutto di lui. Ci sono cose che solo io so. E ci sono cose che solo noi due sappiamo", racconta Suzuki.
A rendere il film ancora più complesso e toccante è il suo legame con una perdita reale: Isao Takahata, amico, rivale e compagno artistico di Miyazaki, scomparso nel 2018. Originariamente, il personaggio del grande zio avrebbe dovuto avere un ruolo molto più centrale, ma, come spiega ancora Suzuki, "Dopo la morte di Takahata, Miyazaki non è riuscito ad andare avanti con quella storia, così ha cambiato il racconto: è diventato il legame tra il ragazzo e l'airone." Un cambio di rotta che dice molto sulla fragilità dell'uomo dietro il maestro dell'animazione, e che spiega la malinconia sognante che pervade il film.
Questo carico simbolico però, per quanto intenso, si rivela anche il punto debole per chi si accosta al film senza conoscere i retroscena. Il ragazzo e l'airone diventa così un film che parla a pochi con voce cristallina, e a molti in modo obliquo. Il suo linguaggio è quello della memoria, delle metafore, dei non detti. E come accade con ogni simbolismo, la risonanza emotiva dipende da chi guarda. Per chi sa leggere tra le righe, ogni scena è un addio mascherato, un'ultima stretta di mano o uno sguardo che non ha mai avuto luogo. Per chi non ha accesso a questo contesto, il film può apparire astratto, quasi respingente. Eppure, proprio in questa distanza tra autore e spettatore, tra biografia e visione, risiede il cuore di quest'opera: la volontà di chiudere un cerchio non spiegandolo, ma lasciando che voli libero.