The Irishman "rischia" di fare la parte del leone agli Oscar 2020? Probabilmente sì, a giudicare dalle nomination appena comunicate, tra cui spicca, naturalmente, quella come Miglior film. Che sarebbe poi, in fondo, niente altro che un ribadire quanto già sancito, per esempio, dai New York Film Critics Circle Awards, o dalla National Board of Review, o semplicemente da critica e pubblico all'unisono (o quasi).
Con le sue 10 candidature, il film di Netflix è ora tra i frontrunner agli Oscar 2020.
Le nomination ottenute da The Irishman sono: miglior film, migliore regia per Martin Scorsese, miglior attori non protagonista per Al Pacino e Joe Pesci, migliore sceneggiatura non originale, miglior montaggio, migliore fotografia, migliori costumi, miglior scenografie, migliori effetti speciali.
Certo, i Golden Globe, appena una settimana fa, non sono stati generosi con questo capolavoro da 209 minuti di Martin Scorsese, nominandolo in ben 5 categorie per poi farlo tornare a casa a bocca asciutta, battuto da 1917 e da Sam Mendes sia come miglior film drammatico, sia per la regia. E alla fine il riconoscimento della serata è arrivato, doveroso, proprio dal regista britannico: "Non c'è nessuno in questa stanza o nel mondo che non sia all'ombra di Martin Scorsese".
E in effetti questa stagione dei premi 2019-2020 ha riunito, ironia della sorte, due entità mai troppo fortunate quando si tratta di riconoscimenti istituzionali: da un lato Martin Scorsese, famoso per le 12 nomination agli Oscar accumulate nel corso della carriera (prima di The Irishman) e una sola statuetta portata a casa, dall'altro Netflix, con cui l'Academy non è mai stata troppo morbida.
Eppure a The Irishman, dicono in tanti fin dal momento della sua uscita, il miracolo potrebbe riuscire, perché non è solo il film testamento di uno dei più grandi registi viventi, e non è soltanto forse il film più perfetto di una carriera senza eguali, ma è anche una delle più grandi scommesse di Netflix, un enorme sforzo produttivo (costato circa 140 milioni di dollari) sostenuto quando non c'erano altri produttori a Hollywood disposti a realizzare e distribuire un film troppo costoso, troppo lungo, dalle sorti al box office troppo incerte in tempi di abitudine all'action supereroistica.
The Irishman, però, è soprattutto un atto d'amore (forse l'ultimo?) nei confronti del cinema stesso di una generazione, di registi e attori, che ha saputo portare il nome di Hollywood al suo massimo splendore. Ed è un attestato di stima, un regalo reciproco di Martin Scorsese, che ha ne ha fortemente voluto la regia, e di Robert De Niro, corpo inscindibile della sua cinematografia, colui che per primo è rimasto affascinato, tra le pagine di Charles Brandt, dalla figura di questo vecchio irlandese che si scopre gangster spietato un po' per caso. Ma che ha soprattutto compiuto il vero miracolo: quello di portare Al Pacino, sogno proibito da 40 anni del regista di Taxi Driver, e Joe Pesci, pensionato irremovibile per tutto il resto del mondo, alla corte di sua maestà Martin Scorsese. Per riportare chiunque, supereroe o no, Oscar o meno, ancora per 209 minuti, a spasso in un pezzo di storia del cinema.